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Chi sono i manifestanti di Istanbul

 

Istanbul, 24 giugno 2013, Nena News – Istanbul, Turchia che continua il suo percorso di rivolta. Dall’occupazione del parco Gezi della polizia lo scorso sabato, una patina di finta normalità si è distesa silenziosa in tutta la città. Le scritte colorate, le bandiere, le tende, quell’atmosfera di vita activa in costruzione continua ha lasciato spazio a strade pulite, a nastri bianchi e rossi che circondano un parco con erba perfetta, fiorellini appena piantatati protetti da poliziotti giovani seduti nei punti strategici di questa arena di verde cittadino.

Intorno a piazza Taksim riprende il ritmo di una città che non può permettersi di fermarsi, il quotidiano shopping e i servizi a esso connessi sono il nucleo principale di un’economia che deve crescere, produrre, promuovere progresso, posti di lavoro, nuove fasce di consumatori.

Nonostante questa bolla di normalità sia stata riattivata, la gente non si ferma, la protesta continua assumendo nuove forme e idee. Ogni giorno, instancabili, gruppi di cittadini si danno il cambio per alzare la testa di fronte alla bandiera turca e al palazzo culturale di Ataturk di Taskim, si ritrovano nei parchi cittadini dei tanti quartieri di questa città per discutere e ripensare le prossime azioni del movimento. Intanto, gli arresti non si fermano; in queste tre settimane di proteste a Istanbul e ad Ankara secondoHurriet Daily News 55 persone sono state incarcerate, la metà sta ancora aspettando di essere processata con l’accusa di aver organizzato le manifestazioni e per aver provocato le violenze durante gli scontri con la polizia. 

Chi sono queste donne, uomini, anziani e ragazzi scesi in strada in questi giornate di proteste? Quali sono le storie degli occupanti del parco Gezi? Soprattutto, quali e quanti sono quelli che sono scesi nelle strade nelle altre parti della città e quali sono le loro ragioni?

Dal 28 maggio, da quel fatidico giorno in cui la polizia è entrata nel parco per distruggere le tende degli attivisti ambientali arrivati per proteggere gli alberi secolari, la scintilla si è propagata in tutti gli animi dei cittadini di questa Turchia. Un gruppo di persone eterogenee, che è cresciuto in proporzione all’aumento delle violenze perpetrate dalla polizia nei giorni successivi. Venerdì 31 maggio e sabato primo giugno hanno visto le aree intorno a Taksim diventare l’arena di una guerriglia urbana organizzata, cercata, voluta, l’espressione di una malcontento popolare che finalmente era riuscito a trovare la sua valvola di sfogo. 

Yeterli! Basta! La popolazione Turca ha detto basta a questo tipo di violenza brutale da parte di un organo dello Stato che dovrebbe proteggere e non terrorizzare. Basta a un governo autoritario capace solo di dare ordini invece che integrare le proprie decisioni con quelle dei cittadini. Basta a un processo di rinnovamento urbano per trasformare Istanbul in una città del profitto e della ricchezza per pochi. Le ragioni profonde che hanno portato e risvegliato i manifestanti a Istanbul sono tante, hanno le loro radici nella storia socio-economica e politica di una Turchia in forte cambiamento. Secondo l’indagine effettuata da Kodav, un’organizzazione di ricerca turca nelle proteste di Istanbul ha partecipato più di centomila persone.

Non solo Takskim è stata il simbolo delle proteste, in queste tre settimane tante zone della città sono scese per le strade, oltre a Beyoglu, dove vi è localizzata anche Taskim, anche Cihancir, quartiere radical chic, ha visto in prima linea studenti, professori, artisti, architetti, internazionali adottati con pentole e mascherine per esprimere il loro dissenso nei confronti di un governo “capace di rispondere solo con la violenza ad una richiesta pacifica dei suoi cittadini”, “per rivendicare il diritto di un popolo ad integrare le differenze e non ad assimilarle ed eliminarle”, “per gridare il diritto fondamentale ad essere parte integrante della vita pubblica”.

In questo quartiere storico, fatto di stradine e viottoli colorati, di case bohémiennes che ricordano Parigi per i suoi tanti comignoli, vive il dottorando Andrea che non smette di ripetere l’emozione per aver avuto l’opportunità di vedere questo popolo in rivolta. Un dissenso che secondo la sua visione è il frutto di un processo lungo, di una repressione psicologica e storica che dovevano prima o poi sfociare in questa rivolta. Nelle strade e nei palazzi ci sono tante signore come Gulden che ha paura di scendere nelle vie per la violenza inaudita della polizia, ma che apre la sua casa ai dimostranti, che dona con il suo cestino acqua e anti acidi, che instancabile suona la sua arma della rivolta: due pentolini. “Io sono parte della protesta, sono e condivido questo malcontento”. Gulden racconta le sue ragioni dicendo: “Ognuno ha il suo modo per partecipare e questo è il mio. Non mi sento diversa dai manifestanti che sono al parco di Gezi o in piazza Taksim. Basta a questo governo sordo e violento, dobbiamo riprenderci la città e richiedere che il diritto d’informazione e di libera espressione sia promosso e protetto”.

In un’altra area di Beyoglu, Tarbalasi, uno dei quartieri storicamente abitati da greci ortodossi e armeni, in questo periodo divenuta la casa di tanti emigrati kurdi dal Sud Est della Turchia e dall’Africa, è diventata un centro della protesta.Per la sua vicinanza alla via mondana Istiklal, è una delle aree soggette a trasformazione urbana, alle politiche di allontanamento di un governo che è attento al profitto, ma non a integrare e proteggere l’identità creativa, culturale e umana di un popolo.Questa gente, già minoranza, che è sempre stata vista come diversa, criminale, poco acculturata, in queste giornate di protesta è scesa in strada per rivendicare ancora una volta il suo no a questo tipo di politiche. In queste case antiche, con ancora i pavimenti in legno e i segni in un passato che sembra non sia mai scomparso, la dignità dei suoi abitanti è forte, la leggi nei loro volti. La rivolta che c’è stata nella via di Tarbalasi ha visto in primo piano ragazzini arrabbiati, ingranaggi silenziosi grazie ai quali questa città riesce ed esistere, nonni che lavorano anche dieci ore al giorno con i loro carretti di simit (tipiche ciambelle turche al sesamo) che non si fermano mai. Mert mi racconta di come per la prima volta non si sia sentito diverso, non ha partecipato solo per la questione kurda, ma per un dissenso che ha accumunato tutti.Mert continua dicendo: “Il parco di Gezi e la piazza sono diventati la casa di un dissenso che ci vede tutti pronti a combattere per concretizzare il nostro sacro diritto di essere e di vivere la nostra differenza religiosa, politica ed identitaria come meglio preferiamo senza che qualcuno ci dica come e in che modo farlo!. Un’altra delle zone centro delle rivolte fin dai primi giorni è Besikatas. Un quartiere liberale, famoso per la sua squadra di calcio e la tifoseria anarchica chiamata Carsi. La gente è scesa per le strade e ha combattuto giornate d’intensa e violenta guerriglia con la polizia. Ha spostato autobus come se fossero marionette, ha vissuto una protesta territoriale, dove ogni individuo si è sentito capace di qualunque cosa, guerriero urbano, consapevole di non voler più rimanere in silenzio. La gente di quest’area è anch’essa eterogenea: 
ci sono uomini in carriera, disoccupati, giovani anarchici, comunisti, anziani nostalgici. Sono scesi in strada in solidarietà con Taksim, con la protesta nata per salvare degli alberi che ha incanalato e assorbito un’indignazione più ampia che accomuna una popolazione intera.

Omut mi lancia sguardi di fredda consapevolezza, racconta dicendo:“Noi siamo di Besiktas, ma non ci sentiamo diversi, stiamo tutti combattendo la stessa lotta. Abbiamo forse mille ragioni differenti per essere arrabbiati e indignati, ma ce n’è una più profonda che ci lega e non ci farà smettere di lottare: la consapevolezza che siamo uniti in questa voglia di cambiamento. Voglio sentirmi accettato per chi sono e non per la religione, il posto in cui provengo o la persona che amo. Questo è un mio diritto”.

Storie di una piazza che muta, si trasforma e richiede. Volti di una città che nelle sue eterogenee onde di cemento si sentono accumunati e guerriglieri di una medesima lotta.

Come c’è scritto all’entrata del pub dei personaggi di questa città dalle mille e una notte, Istanbul è la casa di tutti e la casa di nessuno. Una giungla che cambia e si converte con una rapidità folle. Adesso gli attori di questo pazzoide mutamento sono i guerriglieri urbani che si stanno riprendendo il loro diritto a vivere e ricreare non solo uno spazio urbano ma a ridefinire questa barbara civitas.

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