I Generali si sono ripetuti!
Il presidente dell’Egitto, Mohamed Morsi, è stato deposto un anno dopo essere stato eletto democraticamente dal popolo egiziano.
Per coloro che si oppongono a Morsi e alla Fratellanza Musulmana (FB), la presa di posizione dell’esercito è vista come sostegno ad una rivoluzione popolare e uno sforzo tardivo di far rivivere o ripristinare la rivoluzione egiziana che aveva spodestato Hosni Mubarak più di due anni fa.
Ma per i sostenitori di Morsi, o per coloro che semplicemente hanno un qualche rispetto per la gestione democratica del potere e per lo stato di diritto, l’azione da parte dell’esercito non è altro che uno sfacciato anche se “morbido” colpo di Stato militare.
In buona sostanza, cosa è avvenuto? Questi sono i fatti.
In Egitto, l’esercito ha sempre goduto di uno status privilegiato e autonomo, ed è tacitamente considerato il potere “alle spalle del trono”.
Per decenni, il potere politico è stato concentrato nelle mani di una élite, rappresentata da una classe affaristica e politica generalmente corrotta, che ha monopolizzato il potere e saccheggiato le risorse del paese. Quindi, la rivoluzione che ha rovesciato Mubarak esprimeva in buona sostanza un rifiuto non solo contro il dittatore, ma anche contro tutto il suo regime corrotto.
Una delle principali richieste della rivoluzione era quella di sbarazzarsi della dittatura e della repressione, e di sostenere i principi della democrazia e dello Stato di diritto.
Nel corso dei due anni successivi, il processo politico seguito alla caduta di Mubarak ha permesso alla volontà del popolo egiziano di esprimersi numerose volte attraverso elezioni libere e giuste e mediante referendum.
Il popolo in Egitto si è recato alle urne almeno sei volte: per votare un referendum costituzionale per decidere il futuro percorso politico (marzo 2011), per eleggere la Camera Bassa e Alta del Parlamento (novembre 2011-gennaio 2012), per eleggere a doppio turno un Presidente civile (maggio-giugno 2012), e per ratificare la nuova Costituzione (dicembre 2012).
Ogni volta, l’elettorato ha scelto di votare secondo le indicazioni dei partiti islamisti, con la conseguente frustrazione dell’opposizione laica e liberale.
Per l’insoddisfazione degli Islamici, tutte le loro vittorie alle urne sono state ribaltate sia dalla Suprema Corte Costituzionale (SCC), la stessa designata da Mubarak, o dai militari.
La Camera Bassa del Parlamento, di cui gli Islamisti hanno conquistato il settantatre per cento dei seggi, è stata sciolta dalla SCC un anno fa, mentre l’esercito ha appena sospeso la nuova Costituzione, spodestando nel contempo il Presidente democraticamente eletto.
Indubitabilmente, la Fratellanza Musulmana ha commesso errori colossali.
Per esempio, i Fratelli Musulmani sono venuti meno rispetto a diverse promesse nei confronti dei loro partner della coalizione laica e liberale, compresa quella di non abusare della maggioranza dei seggi parlamentari, di non presentare un candidato alla presidenza, o di non escludere gli altri nella composizione della Assemblea Costituente per la Costituzione.
Forse, il loro errore più grave è stato quello di allearsi strettamente con i gruppi salafiti durante il processo di scrittura della Costituzione, alienandosi così la collaborazione di molti esponenti del mondo laico, liberale, così come dei Cristiani, anche se ai Fratelli Musulmani non importava molto della battaglia ideologica costituzionale.
Quello che soprattutto li motivava era non dover essere presi in contropiede e scavalcati dai Salafiti sull’identità islamica dello Stato. Per raggiungere questo obiettivo, hanno rinunciato al dialogo con la maggior parte degli altri.
Per di più, Morsi e la Fratellanza non hanno dato seguito alla loro promessa di piena collaborazione nella conduzione della cosa pubblica. Molti dei gruppi giovanili e di opposizione hanno ritenuto che il Presidente e i dirigenti della Fratellanza non erano sinceri nelle loro esternazioni e solo cercavano la loro partecipazione collaborativa per ragioni di facciata.
Perfino i loro alleati islamici, come il Partito Salafita Al-Noor, lamentavano che i Fratelli Musulmani volevano monopolizzare i più importanti centri di potere dello Stato.
Non importava che i Fratelli Musulmani non controllassero l’esercito, i servizi di spionaggio, gli apparati di sicurezza, la polizia, il corpo diplomatico, il sistema bancario, e nemmeno la burocrazia. Ma a causa della loro mancanza di trasparenza e di apertura, la percezione era che stessero cercando di controllare i principali gangli di potere dello Stato e di escludere gli altri soggetti su basi ideologiche, mentre la realtà era che tale controllo si rivelava inesistente o superficiale.
Tuttavia, per la gente media della strada ciò che importava era la sicurezza e poter godere di sufficienti mezzi di sostentamento.
Durante questo suo anno di potere, Morsi ha affrontato enormi sfide: il deterioramento della sicurezza e dei servizi di base, la mancanza di giustizia sociale, e il declino economico.
A molti è sembrato che venissero posti in essere deliberati tentativi da parte di settori ben radicati dello Stato (elementi arroccati e burocrati fedeli al vecchio regime) per garantire il fallimento della sua presidenza.
La sua carenza di trasparenza e di aperture al suo popolo nel presentare una visione ottimistica o di progresso veniva ad aggiungersi allo scetticismo pubblico e alla percezione di incompetenza.
Un altro grave errore da parte della Fratellanza Musulmana è stata l’incapacità di separare il suo movimento socio-religioso dalla sua espressione politica, manifestata nel Partito della Libertà e Giustizia (PLG).
Mentre l’opinione pubblica in tempi passati rispettava la Fratellanza per i suoi servizi sociali e la sua sensibilizzazione religiosa, l’impegno in politica per sua natura diventava una fonte di divisione e di rancore. Per esempio, quando la Fratellanza ha presentato il suo candidato alla presidenza nel marzo 2012, è stato il Consiglio della Fratellanza a rendere pubblica la dichiarazione al posto del Partito PLG.
Dunque, agli occhi del pubblico è sempre esistita ben poca distinzione tra la Fratellanza Musulmana e il Partito della Libertà e Giustizia. Così, correttamente o meno, i Fratelli Musulmani venivano ritenuti responsabili degli eventuali passi falsi politici commessi dal Partito.
In parte a causa delle nette divisioni di natura ideologica fra i promotori della rivoluzione del 2011, gli ex fedelissimi del regime, politici e uomini d’affari corrotti sono stati in grado di riorganizzarsi e di giocare un ruolo crescente nelle battaglie politiche che hanno travolto il Paese.
Il Partito Nazionale Democratico (NDP) di Mubarak, che ha dominato la vita politica per decenni, è stato l’unico partito nel Paese in grado di organizzarsi a livello nazionale e a contrastare la Fratellanza Musulmana. Ma dal momento che l’opinione pubblica respingeva l’NDP (che era stato messo al bando subito dopo la detronizzazione di Mubarak), questo partito non ha partecipato alle elezioni parlamentari nell’autunno del 2011.
Tuttavia, dal giugno 2012, Ahmad Shafiq, ultimo primo ministro di Mubarak, ha rappresentato gli interessi di questo Partito Nazionale Democratico. Passato al secondo turno delle elezioni presidenziali come uno dei due candidati rimasti, alla fine perdeva per meno del quattro per cento.
[Shafiq ha perso il ballottaggio contro Mohamed Morsi, candidato del Partito della Libertà e Giustizia, col 48,3% dei voti a fronte del 51,7% del suo avversario.]
Morsi ha assunto il potere dal 30 giugno 2012.
Quando si è rivelato non più inclusivo, come aveva promesso, nelle sue nomine di alto livello, quasi subito l’opposizione gli si è rivoltata contro.
Due mesi dopo il suo giuramento, il 24 agosto, gli oppositori hanno chiamato a raccolta per una protesta di massa con la parola d’ordine: “Protestiamo per spodestare il dominio della Fratellanza!” L’ostilità e l’acrimonia aumentavano nel momento in cui la scrittura della nuova Costituzione arrivava a definizione.
Nel frattempo, le nuove aperture politiche e le nuove libertà nel paese consentivano ai mezzi di informazione privati, posseduti e controllati da molti fedelissimi sostenitori del vecchio regime, di prendere di mira Morsi e la Fratellanza Musulmana in una campagna orchestrata per alienare e infiammare la pubblica opinione.
Il Presidente non faceva tempo ad emettere il suo incauto e sfortunato decreto costituzionale che l’opposizione non solo si dimostrava unita contro Morsi e la Fratellanza, ma anche determinata a rimuoverli dal potere.
Morsi ha sostenuto che la sua mossa era necessaria per proteggere le strutture politiche di una nascente democrazia, che i giudici stavano annullando una per una.
Alla fine invertiva la rotta e annullava il suo decreto, anche se l’opposizione respingeva tutti i suoi appelli per un dialogo politico.
Tuttavia, il suo obiettivo di adottare una nuova Costituzione, che l’opposizione comunque rigettava con veemenza, e la sostituzione del procuratore generale nominato da Mubarak, una richiesta che i gruppi giovanili e rivoluzionari avevano preteso, venivano già conseguiti.
Questo singolo atto dimostrava l’esistenza di un punto di incontro per tutta l’opposizione e i resti del vecchio regime (residuati!), uniti sotto il Fronte di Salvezza Nazionale (NSF), al fine di affrontare e sconfiggere Morsi e la Fratellanza.
Costoro mettevano in azione una campagna vigorosa per cancellare questa Costituzione, che con loro sgomento, era stata approvata dal 64 per cento dei votanti.
[N.d.tr.: Secondo i partiti di opposizione la nuova Carta costituzionale, oltre a dare troppi poteri al Presidente, è troppo “islamista” e discrimina quella parte della popolazione che non è di fede musulmana. Tra gli oppositori c’è anche la comunità cristiana che rappresenta circa il 10% della popolazione di 83 milioni del paese. I supporter di Morsi giustificano i cambiamenti introdotti dalla nuova Carta, sostenendo la loro necessità per accelerare il processo di democratizzazione del paese a due anni dalla caduta del regime di Hosni Mubarak]
Nel frattempo, i Fratelli Musulmani e i loro alleati islamici puntavano a colpire gli elementi corrotti del potere giudiziario, che rappresentavano non solo uno dei principali ostacoli, ritardando o annullando le nuove componenti democratiche dello Stato, ma anche ribaltavano i verdetti di colpevolezza e rilasciavano tutti gli elementi corrotti del regime di Mubarak.
Sebbene questa fosse stata perfino una richiesta da parte dei rivoluzionari, l’opposizione, che finora non aveva avuto buon successo alle urne, si allineava con la magistratura e accusava gli Islamisti di aggredire un ramo indipendente dal governo, il potere giudiziario, che però aveva sempre palesato riserve, se non una secca avversione, nei confronti della rivoluzione.
Dalla primavera del 2013, la Fratellanza e i suoi sostenitori si stavano preparando per le nuove elezioni parlamentari, che si aspettavano di vincere. La loro strategia era che, se avessero vinto le elezioni parlamentari e avessero costretto alle riforme il sistema giudiziario, sarebbero stati in grado di controllare o influenzare tutti i settori governativi, e facilmente avrebbero proposto ed imposto il loro programma.
Intuendo il pericolo di questo scenario, nel mese di marzo il coordinatore del Fronte di Salvezza Nazionale dr.Mohammad El Baradei incontrava Ahmad Shafiq negli Emirati Arabi Uniti.
In un’intervista della settimana scorsa, Shafiq rivelava che lui e El Baradei avevano concordato un piano elaborato per deporre Morsi e i Fratelli Musulmani. Inoltre il piano prevedeva che Morsi e i dirigenti della Fratellanza sarebbero stati arrestati e processati.
Comunque, Shafiq si lamentava che El Baradei e l’opposizione non corrispondevano in pieno al loro ruolo nell’“affare”, vale a dire non promuovevano e non sostenevano a dovere Shafiq per aiutarlo a diventare il prossimo Presidente, e che invece proprio loro avevano iniziato a prendere le distanze da lui.
In tutta questa lotta politica per il potere, i movimenti giovanili, che erano stati alla testa della rivoluzione del 2011 contro il regime di Mubarak, sono stati emarginati, mentre le loro rivendicazioni non sono state prese in considerazione.
Morsi e la Fratellanza solo a parole aderivano alle loro richieste ed esigenze. Tuttavia, durante il suo discorso alla nazione della scorsa settimana, Morsi tardivamente riconosceva questa negligenza nell’affrontare queste richieste, come aveva promesso.
Verso la fine di aprile, i gruppi giovanili si erano già coagulati in un nuovo movimento chiamato “Tamarrud” o Ribellione. Il tema centrale del loro programma era quello di pretendere elezioni presidenziali anticipate attraverso una raccolta di 15 milioni di firme, un milione in più rispetto a quelle che Morsi aveva ricevuto durante la sua corsa presidenziale.
Durante il corso degli avvenimenti, l’opposizione laica e i residuati del vecchio regime avevano abbracciato il messaggio di Tamarrud, e utilizzavano gli uffici del Fronte di Salvezza Nazionale e tenevano diverse conferenze stampa presso la sede di ben noti mezzi di comunicazione di proprietà di fedelissimi di Mubarak.
Esistono anche prove aneddotiche che il movimento Tamarrud ha ricevuto sostegno finanziario da elementi revanscisti del vecchio regime.
Nel frattempo, i media privati davano inizio ad una campagna ben orchestrata e ad un assalto continuo contro la Fratellanza, in particolare, e in generale contro gli Islamici. Il livello di ostilità e di odio vomitato contro costoro ricordava assolutamente la propaganda nazista degli anni Trenta contro gli Ebrei.
Negli ultimi due mesi, venivano segnalati decine di episodi, in cui i sostenitori della Fratellanza erano stati aggrediti verbalmente e fisicamente da sconosciuti a causa delle loro presunte frequentazioni.
Mentre la campagna contro la Fratellanza era in pieno svolgimento, il Presidente e la sua fazione non la prendevano sul serio, e quindi non cercavano di offrire un compromesso all’opposizione, o non affrontavano in modo schietto le sollecitazioni degli oppositori.
Calcolavano male quando ritenevano che il sostegno popolare alle iniziative di “Tamarrud” fosse di scarso spessore.
In breve, i Fratelli Musulmani stavano affrontando una tempesta perfetta.
In realtà, e come si poteva chiaramente percepire, la Fratellanza si era alienata i suoi ex partner liberali e laici, i gruppi giovanili, la magistratura, i media, l’opinione pubblica in generale a causa della mancanza di servizi e dell’aumento dei prezzi.
I sostenitori del vecchio regime e i loro alleati all’interno dei gangli del potere dello Stato approfittavano di questo malcontento pubblico. Molti ex funzionari dei servizi di sicurezza e ricchi uomini d’affari legati al vecchio regime sono stati visti organizzare la mobilitazione per le proteste del 30 giugno, giorno stabilito da “Tamarrud” per forzare la cacciata di Morsi.
Il 2 luglio, la Corte d’Appello invalidava la nomina del Procuratore Generale nominato dal Morsi e rimetteva in carica il Procuratore corrotto nominato da Mubarak, fatto dimettere lo scorso novembre.
Inoltre, al fine di ulteriormente infangare la scena politica, il tribunale ordinava che il Primo Ministro di Morsi, dr. Hisham Qandil, venisse arrestato e condannato ad un anno di carcere per non avere eseguito una precedente ordinanza della corte, diretta contro il Primo Ministro dell’era di Mubarak.
Comunque, il 30 giugno, in piazza Tahrir e in tutto l’Egitto, un numero impressionante di Egiziani protestavano contro la Fratellanza. Questo faceva ricordare i primi giorni delle proteste del 2011 contro Mubarak.
Anche se i manifestanti non includevano i gruppi islamisti, erano decisamente differenti fra loro.
Vi erano rappresentati molti gruppi di giovani, che esprimevano la loro frustrazione per essere emarginati e per le loro richieste trascurate.
Molti erano semplici cittadini disperati a causa delle difficoltà economiche e della mancanza di servizi di base.
Molti erano laici che odiavano gli Islamisti, e che volevano rovesciarli con mezzi rivoluzionari, dato che non avevano potuto sconfiggerli alle urne.
Molti erano Cristiani che temevano gli Islamici e tacitamente erano stati incoraggiati a partecipare dalla Chiesa copta.
Ma era anche evidente che molti erano i fautori e i fedelissimi del regime di Mubarak, visto che l’immagine dell’ex dittatore veniva ben visibilmente sollevata e salutata in piazza Tahrir, tra canti in suo sostegno.
Molti erano anche i funzionari dei servizi di sicurezza, ex ed ancora in servizio, che si erano presentati nelle loro uniformi.
Anche due ex ministri degli Interni che avevano prestato servizio durante il governo di transizione militare e dell’ex regime guidavano le proteste nelle vesti di rivoluzionari, sebbene essi a suo tempo fossero stati accusati dai gruppi giovanili di aver ucciso i loro amici e compagni rivoluzionari.
Molti manifestanti erano anche teppisti assoldati da politici del Partito Nazionale Democratico (ex Mubarak) e da uomini d’affari corrotti.
In effetti, nel corso della tre giorni di protesta, secondo funzionari pubblici, questi delinquenti hanno violentato più di 100 donne in piazza Tahrir, comprese alcune giornaliste.
Nel frattempo, in maniera ben orchestrata, decine di edifici di appartenenza della Fratellanza e del Partito della Libertà e Giustizia, incluso il loro quartier generale venivano date alle fiamme, incendiate o saccheggiate.
Più di una dozzina di loro militanti venivano uccisi, mentre centinaia sono stati feriti. In poche ore, cinque ministri venivano destituiti e decine di alti funzionari, tra cui i portavoce presidenziali e decine di diplomatici, venivano costretti a rassegnare le dimissioni, nel tentativo di portare al collasso lo Stato.
Nel frattempo, anche i sostenitori pro-Morsi in gran numero andavano radunandosi in una diversa piazza al Cairo. Dopo che la Fratellanza e i suoi alleati avevano assistito alle manifestazioni di massa dei loro avversari, il 30 giugno convocavano per il giorno successivo una massiccia mobilitazione, inoltre organizzando in tutto il paese più di 20 grandi manifestazioni di protesta che vedevano la partecipazione di milioni di sostenitori.
Con poche eccezioni, i media laici e liberali hanno ignorato queste proteste.
Il pomeriggio del 30 giugno, il ministro della Difesa e comandante generale dell’esercito Abdel Fattah El-Sisi, che era stato nominato da Morsi nello scorso agosto, lanciava un ultimatum al Presidente e all’opposizione di raggiungere un compromesso entro 48 ore, altrimenti l’esercito sarebbe intervenuto.
In realtà, si trattava di un ultimatum al Presidente di rassegnare le dimissioni, visto che l’opposizione aveva in passato respinto ogni tentativo di dialogo o di compromesso.
Il 1° luglio, il Presidente frustrato si rivolgeva alla nazione e categoricamente respingeva l’ultimatum dei militari, appellandosi al suo popolo, a sostegno della sua legittimità come Presidente democraticamente eletto.
Immediatamente dopo il discorso, i sostenitori del Presidente, che stavano tenendo una grande manifestazione a Giza, venivano aggrediti da teppisti e cecchini. Sedici persone venivano uccise e centinaia ferite.
Dal 2 luglio, diventava evidente che l’esercito aveva deciso di rovesciare Morsi e appoggiare l’opposizione. Però, quando i militari si sono messi in contatto con i governi stranieri, risultava che molti governi occidentali, specialmente gli Stati Uniti, avevano difficoltà ad accettare il rovesciamento militare di un Presidente eletto.
Il ministro della Difesa Chuck Hagel, e il Capo di Stato Maggiore, il gen. Martin Dempsey, si mettevano in contatto con i loro omologhi egiziani, raccomandando che avrebbero dovuto invece incoraggiare Morsi alle dimissioni, o di conservarlo al potere come “Presidente fantoccio”.
Tuttavia, dopo aver ufficialmente annunciato che Morsi era stato rimosso dal potere, subito i generali si sono circondati di diversi leader civili e religiosi, tra cui il capo di Al-Azhar, il Papa Copto, El Baradei come portavoce del Fronte di Salvezza Nazionale, e rappresentanti di “Tamarrud” e del partito salafita “Al-Noor”.
Si trattava di un tentativo sfacciato di far sembrare il rovesciamento di Morsi avvenuto con il più ampio consenso da parte di leader civili e religiosi.
In buona sostanza, Abdel Fattah El-Sisi faceva sue tutte le richieste dell’opposizione e dei vecchi sostenitori di Mubarak.
Non solo egli aveva deposto Morsi e lo aveva sostituito con il presidente della Suprema Corte Costituzionale, ma aveva anche sospeso la Costituzione e sciolto il governo. Inoltre, unilateralmente, al Presidente appena insediato aveva concesso il potere di emettere decreti costituzionali e l’autorità legislativa.
In pochi minuti, in piazza Tahrir e in molte città dell’Egitto si succedevano grandi festeggiamenti e lanci di fuochi d’artificio. Nel frattempo, i sostenitori di Morsi si dimostravano intronati e adirati per il corso degli eventi. Avevano erroneamente conservato la speranza che l’esercito avrebbe imposto una sorta di compromesso, che non eludesse la volontà del popolo egiziano, che, solo pochi mesi prima, aveva eletto un Presidente e approvato una nuova Costituzione con un ampio margine di consensi.
Subito dopo l’annuncio di Sisi, il nuovo regime dava inizio al suo giro di vite contro i media che avevano sostenuto il Presidente deposto. Quattro canali televisivi satellitari, che appartenevano alla Fratellanza o agli Islamisti, così come due canali di Al Jazeera, venivano sospesi e sconnessi dalle frequenze. Le emittenti che protestavano in favore di Morsi in tutto l’Egitto venivano circondate dall’esercito. Le telecamere venivano rimosse e l’energia elettrica tagliata in previsione dell’evacuazione forzata dei dimostranti, e il cibo e l’acqua venivano loro negati.
Nel frattempo, i leader della Fratellanza Mohammad El-Beltagi e Esam El-Erian, che avevano giocato un ruolo fondamentale durante la rivoluzione del 2011, definivano la cacciata di Morsi da parte dell’esercito un colpo di stato illegale e giuravano di opporsi ad esso, quindi lanciavano appelli ai loro sostenitori di resistere con tutti i mezzi pacifici, anche a costo della loro vita.
Per di più, Morsi pubblicava su Internet un video di undici minuti, in cui respingeva il suo rovesciamento e sfidava il golpe dei militari, insistendo sulla sua legittimità costituzionale come Presidente regolarmente eletto dal paese.
Allora, immediatamente venivano messe in atto misure restrittive contro i leader dei Fratelli Musulmani e contro i loro sostenitori, e questo suggeriva fortemente la premeditazione.
Entro due ore dalla dichiarazione di Sisi, Morsi e alcuni suoi importanti assistenti venivano arrestati e trasferiti presso il Ministero della Difesa.
Anche l’ex portavoce e Presidente del Partito della Libertà e Giustizia, dr. Saad Katatni, il leader e Guida generale della Fratellanza dr. Muhammad Badie, così come i suoi vice Khayrat El-Shater e Rashad Bayyoumi venivano imprigionati. Venivano anche arrestati l’ex candidato presidenziale e islamista Hazem Salah Abu Ismail e il predicatore Safwat Hegazi , con l’accusa di aver “insultato i militari”.
Il quotidiano Al-Ahram riferiva che più di 300 mandati di arresto erano stati spiccati contro i Fratelli Musulmani e i loro sostenitori, decine di costoro erano già stati rastrellati, mentre tutte le proprietà, beni ed edifici della Fratellanza e del Partito della Libertà e Giustizia venivano sequestrati e i loro conti bancari congelati.
Inoltre, pochi minuti dopo l’annuncio della destituzione di Morsi, il re Abdullah dell’Arabia Saudita e Muhammd Bin Zayed degli Emirati Arabi Uniti, i due paesi più apertamente ostili al governo della Fratellanza, rilasciavano dichiarazioni di consenso, congratulandosi con l’esercito. Ironia della sorte, Bashar Al-Assad di Siria esprimeva il suo sollievo e la sua gioia per la cacciata di questo “regime islamista”, che stava minacciando il suo paese.
Intanto, l’opposizione laica e liberale, molti gruppi di giovani e i loro sostenitori asserivano che le loro proteste sfociate nella cacciata di Morsi da parte dei militari erano del tutto analoghe a quelle che avevano prodotto il rovesciamento di Mubarak.
Ma questa opportunistica argomentazione trascura il fatto che Mubarak non era un Presidente legittimo, o eletto per volontà del popolo egiziano, mentre Morsi, che uno lo sostenga o che gli si faccia opposizione, che lo si ami o che lo si odi, è stato regolarmente eletto attraverso elezioni libere, eque, con partiti che si sono apertamente contrastati, che tutto il mondo ha osservato e accettato. Inoltre, Mubarak ha ucciso centinaia di giovani per rimanere al potere, mentre decine di giovani sono stati uccisi per le strade per difendere la legittimità della presidenza di Morsi.
Per di più, la maggior parte delle persone e dei gruppi che oggi si oppongono a Morsi, dopo un anno della sua gestione del potere, mai hanno mosso un dito durante il trentennale regno di Mubarak. L’apparato di sicurezza di Mubarak ha utilizzato teppisti per terrorizzare gli oppositori e sovrintendere elezioni fraudolente, mentre gli stessi delinquenti oggi aggrediscono e terrorizzano i sostenitori disarmati di Morsi. (N.d.tr.: in filmati si sono osservati sostenitori di Morsi, o oppositori dell’esercito, sparare con armi da guerra contro i militari!)
Mentre i mezzi di informazione ufficiali e governativi, gli uomini d’affari e i magistrati corrotti hanno appoggiato Mubarak per decenni, questi stessi hanno attaccato Morsi fin dal suo primo giorno in carica.
Per decenni, liberali, democratici, e attivisti dei diritti umani hanno predicato agli Islamisti che la democrazia è l’unico sistema legittimo per la partecipazione politica pacifica e per la transizione del potere.
Nel 1992, quando l’esercito in Algeria era intervenuto e ha annullato le elezioni, dopo che il Fronte Islamico di Salvezza (FIS) le aveva vinte, l’Occidente, con alla testa Stati Uniti e Francia, girava la testa da un’altra parte. Nel frattempo, l’Algeria veniva inghiottita in una guerra civile per più di un decennio, in un conflitto che ha provocato oltre duecentomila morti.
Due decenni più tardi, che si sia o no d’accordo con il suo programma politico, che si accordi alla Fratellanza Musulmana preferenze o la si disprezzi, non vi è dubbio che questa organizzazione ha abbracciato le regole della democrazia e lo stato di diritto. Non ha mai impiegato o sostenuto l’uso della violenza.
Eppure, per colmo di ironia, quelli che hanno invocato, incoraggiato e applaudito l’intervento militare per cacciare un Presidente democraticamente eletto sono stati i partiti e gli individui laici, liberali e di sinistra, come El Baradei, Amr Mousa, Naguib Sawiris, Ayman Noor, e Hamdein Sabbahi, in compagnia degli attivisti per i diritti umani e civili, che spesso sostengono la libertà di informazione e di associazione politica.
La comunità internazionale ha guardato da un’altra parte quando la volontà del popolo algerino e palestinese è stata vanificata, quando questi popoli hanno eletto al potere Islamisti nel 1992 e nel 2006. Questa è la terza volta in due decenni che Islamisti vengono sloggiati dal potere.
Resta da vedere se l’Occidente assumerà una forte posizione contro quest’ultimo tentativo dei militari di impedire agli Islamisti di gestire il potere.
Comunque, tutto ciò potrà condizionare il rapporto tra i gruppi islamici e i governi occidentali in un prossimo futuro. La direzione di una tale relazione, manifestata alle persone di tutto il mondo, avrà un significato profondo. O l’Occidente sostiene i principi democratici e lo Stato di diritto, o li nega. Quando il 30 giugno il Presidente Obama ha chiamato Morsi, lo ha ammonito sostenendo che “la democrazia è qualcosa di più delle elezioni”.
Ma ciò che è altrettanto essenziale riconoscere è che non esiste democrazia senza il rispetto e la protezione della legittimità dei suoi risultati, indipendentemente dal loro esito.
* Esam Al-Amin è l’autore di “The Arab Awakening Unveiled: Understanding Transformations and Revolutions in the Middle East. – Il risveglio arabo senza veli: comprendere le trasformazioni e le rivoluzioni in Medio Oriente”. L’autore può essere contattato a alamin1919@gmail.com“>alamin1919@gmail.com.
Per concessione di CounterPunch
Fonte: http://www.counterpunch.org/2013/07/04/in-egypt-the-military-is-supreme/
Data dell’articolo originale: 04/07/2013, URL dell’articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=10030
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
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