Meno di due settimane fa avevamo parlato delle cariche al corteo dei movimenti per il diritto all’abitare come la prova, semmai ce ne fosse stato bisogno, dell’assenza di un governo cittadino “amico”, di un governo di dialogo in grado di ricompattare quella faglia sempre più larga tra rappresentanza e base elettorale. Qualcuno ci ha “rimproverato” di essere stati troppo duri con Marino; di aver accollato a lui e alla sua giunta la decisione politica di quelle cariche che, sempre bene ricordarlo, erano state fatte per difendere il blitz di Castellino&Co. sotto al Campidoglio nella giornata di incoronazione del nuovo sindaco. Un rimprovero che, dopo i fatti accaduti ieri nella rossa Garbatella, dovrebbe far riflettere anche i più accessi e miopi sostenitori del marinismo. Prendete un corteo territoriale, un centinaio di persone o giù di lì; prendete alcune strutture autorganizzate, un volantinaggio e un paio di azioni simboliche. Aggiungete la festa de L’Unità nel parco centrale di San Paolo; un dibattito “incravattato” sul senso della crisi e sulle politiche per placare la precarizzazione giovanile. Una miscellanea ad alto potenziale di rischio? Per il PD romano si, perché all’avvicinarsi del corteo – intento a volantinare la propria versione su crisi e welfare e a ricordare agli avventori della festa che il PD è un partito del governo delle larghe intese – le forze dell’ordine hanno nuovamente caricato, come sotto al Campidoglio, a freddo, procurando anche questa volta qualche taglio sparso sulle teste dei manifestanti. Non ci soffermiamo a domandare perché le forze dell’ordine presidiassero una festa di partito; puntiamo subito ad un paio di riflessioni. Prima di tutto, la litania sulle zone franche in cui le amministrazioni amiche influenzano le politiche d’ordine pubblico si conferma una teoria abbastanza fantasiosa. E questo non solo (o unicamente) per una condotta sbagliata delle amministrazioni municipali ma perché, come abbiamo detto più volte, il nucleo nevralgico delle decisioni territoriali non risiede più nei municipi ma altrove; vale cioè lo stesso discorso che facciamo, in un’ottica più generale, per le cessioni di sovranità nazionale ai centri nevralgici del capitale internazionale (BCE, FMI e simili), con la conseguente riduzione delle amministrazioni locali a mera cinghia di trasmissione. In secondo luogo, invece, possiamo riaffermare che nonostante avesse vestito la maschera dell’oppositore alle politiche di centrodestra, Marino ha fatto più danni che altro in queste prime giornate romane, dimostrando la natura incompatibile non tanto dei movimenti in relazione alle rappresentanze politiche (poiché alcuni esperimenti di dialogo sono noti e pubblici), quanto di queste verso gli stessi movimenti. A questo proposito il pensiero va dritto alla retorica, più volte sentita in tutta Italia, dell’uso strumentale, tattico, che si fa del rapporto con istituzioni e partiti. Crediamo che fatti come questi confermino che l’esasperazione dei tatticismi, con il conseguente rischio di scivolare nel rapporto strategico con lor signori, non sta cambiando di una virgola i rapporti di forza e che il vero uso strumentale l’abbiano fatto quelli che alla fine, risultati vincitori anche con i voti di chi si è turato il naso, reprimono le lotte e i dissensi di piazza con una modalità d’azione che mostra quella famosa continuità tra centrosinistra e centrodestra contro cui, oggi più che mai, dovremmo iniziare ad organizzare la risposta collettiva e dal basso.
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Daniele
Dalla demolizione del PCI ad opera ANCHE E SOPRATTUTTO dell’attuale Presidente della Repubblica, il disegno chiaro e preciso di scivolare verso un nuovo fascismo per salvare chiappe e poltrone è stato, è ancora e sarà sempre uguale a se stesso; solo un idiota può credere ancora ad una qualche differenza tra Forza Nuova e PD.