I servi felici sono i nemici più agguerriti della libertà. (Marie Ebner-Eschenbach)
I tempi, e gli esiti, degli incontri diplomatici vanno capiti come si fa per gli avvertimenti mafiosi. Anche in questo campo, come per il linguaggio di Cosa Nostra, chi conosce il contesto, i linguaggi e i codici deve saper far decantare il clamore degli avvenimenti per interpretare il significato di quanto accaduto. L’incontro tra Matteo Renzi e Angela Merkel, avvenuto in forma privata ma reso noto alle agenzie di stampa l’11 luglio scorso, aveva quindi bisogno di tempo per essere interpretato. Oggi, in questo lasso di tempo, non è che non sia accaduto niente: Renzi ha fatto passi da gigante nel proporsi come segretario del Pd, incassando l’alleanza con gli ex dc di Franceschini, Angela Merkel ha vinto le elezioni in Germania. Con un chiaro risultato che, anche senza una maggioranza, gli permetterà di tenere le leve del governo federale per i prossimi quattro anni.
Come possiamo leggere oggi quell’incontro? Vediamo un attimo le prospettive dei due personaggi e cerchiamo di capire se si possono incontrare.
ANGELA MERKEL
La vittoria elettorale della Cdu-Csu, e quindi della cancelliera uscente Angela Merkel, è netta quanto tutta da leggere. Non tanto perchè l’indice Ifo, che misura la fiducia delle imprese tedesche, è minore rispetto alle aspettative post-elettorali.Perchè è comprensibile che con una stagnazione globale, e una guerra monetaria mondiale strisciante, siano proprio i capitalisti a guardare con circospezione alla crisi del loro stesso capitale. Quanto per le conseguenze di questa vittoria, che ha raccolto un consenso interno trasversale, verso i paesi del sud come l’Italia. Come dicono i giornali italiani in Germania ha vinto un partito europeista. Solo che sulla parola, come sempre nella politica italiana, si gioca l’equivoco. La Merkel è europeista perchè il reiterarsi della supremazia economica, finanziaria e tecnologica della Germania sul resto dell’Europa permette a quel paese una politica neo-coloniale. Specie su paesi come il nostro. Chi pensa ad improbabili scatti di solidarietà tedesca nei nostri confronti, a impensabili “tavoli di trattativa” con la Germania perchè ha vinto la Merkel si ricreda fin da subito. Come si devono ricredere gli strateghi del “la Germania ha bisogno di noi sennò salta tutto”. L’euro ha regole ferree: è modellato secondo le leggi del capitalismo successivo alla fine del fordismo. Deve quindi garantire bassi salari, privilegiando le esportazioni, ma anche la stabilità, la non deteriorabilità del capitale tenendo bassa l’inflazione. Se l’euro non garantisse più queste regole ne risentirebbero i salari tedeschi, da ribassare in caso di un nuovo D-Mark, o il capitale che si riproduce in regime di cambi fissi (come adesso) ma sarebbe la Germania stessa a farlo saltare. Il modello detto neo-mercantilista della Germania, sul quale l’SPD è completamente d’accordo, prevede bassi salari, competitività tecnologica, economia export-oriented e “vendere all’estero merci tedesche grazie ai prestiti delle banche tedesche”. Se l’euro impedisse tutto questo sarebbe solo una moneta che salta non un modello da rivedere in vista di una maggiore solidarietà europea. Anche perchè, fino allo scorso anno, l’esportazione tedesca verso i paesi non Ue stava toccando il livello commerciale di quella verso i paesi Ue. In caso di crisi in Germania ci sarebbero problemi ma non mancherebbero i mezzi, economici e finanziari, per ritrovare una posizione nel mercato globale. Senza dover finanziare una ristrutturazione neokeynesiana dell’Europa per la quale non ha nè intenzione nè, visti gli ottimi scritti di Sapir, i mezzi (finanziare la ripresa del proprio paese è una cosa, di un continente un’altra). L’europeismo della Merkel chiede quindi agli altri paesi di naturalizzare la loro posizione subordinata nella gerarchia economico-finanziaria del continente. Non solo: fissando rigidamente i parametri per la “crescita” europea (riduzione del debito, bassi salari, mercato interno ridotto, concorrenza) pone le condizioni per un primato duraturo della Germania sugli altri “partner”. Al resto ci pensa la superiorità del sistema tecnologico-universitario tedesco che recluta, se ne era accorto con preoccupazione il Los Angeles Times ma non il Corriere, talenti proprio dai paesi del sud Europa in crisi. Gli antieuropeisti tedeschi hanno accusato Angela Merkel di gettare la Germania in pasto alle strategie di Boston Consulting. Un pò è vero un pò è propaganda. Basta però capire che il più Europa di Merkel e Boston Consulting prevede la concentrazione di ricchezza, tecnologia e decisioni nei paesi “core” per far fronte alla crisi permanente del capitale. Accusare la Germania, o meglio il governo della RFT, non è nazionalismo. E’ smascherare il neo-nazionalismo aggressivo presente nella sua politica. E il brand Angela Merkel significa tutto questo. Come sa il popolo greco.
MATTEO RENZI
Per l’Italia c’è quindi pronto lo schema della doppia dominazione. Conosciutissimo ai paesi sudamericani negli anni ’80 e ’90 e da tante teorie del sottosviluppo. Si tratta di una dominazione sia capitalistica, con le sue leggi di estrazione della ricchezza che di tutela del capitale, che coloniale. Anzi neo-coloniale resa possibile non con l’occupazione militare, o sotto minaccia di golpe, ma entro un’area valutaria ottimale e una governance europea multilivello. I tempi in cui, per imporre una riforma liberista delle pensioni (che impoverisce la popolazione e tutela i capitali), ci volevano i carri armati di Pinochet sono finiti. Oggi sono sufficienti gli “impegni con l’Europa” assieme a qualche ascaro a casa che ci dice, a reti unificate, come “crescere” eliminando “gli sprechi”. Già perchè al netto del folklore dell’occupazione militare, della caserma nel deserto, il colonialismo è sostanzialmente tre cose: riduzione a concessione alle esigenze di spettacolo di qualche capo locale della politica; amministrazione, moneta ed economia rigidamente regolate dall’esterno; trasferimento secco di risorse economiche e finanziarie dal paese colonizzato a quello colonizzatore. Esclusi i carri armati e le caserme nel deserto, nell’Europa di oggi proponibili solo come mezzo di colonizzazione su youtube, le altre tre condizioni per i paesi Piigs (tra cui l’Italia) sono pienamente soddisfatte. La politica locale è spettacolo, la moneta, l’euro, è sempre straniera tranne che per i paesi forti, l’amministrazione si fa con le direttive europee. In più, per il nostro paese, c’è l’aggiunta del trasferimento di risorse finanziarie dall’Italia, politica accentuata a partire da Monti, per sostenere il rientro dal credito delle banche dei paesi “core” verso Irlanda e sud Europa. Naturalmente per continuare una politica coloniale ci vogliono gli ascari sul posto, ai quali si concede legittimazione delle forme di espressività spettacolare nella politica locale.
Uno dei candidati ad ascaro per i prossimi dieci anni è Matteo Renzi. Al quale l’incontro di luglio con Angela Merkel deve aver fatto bene e prodotto qualche illuminazione. Sull’Huffington Post Italia infatti, il link è in fondo all’articolo, compare infatti, in contemporanea alla vittoria di Angela Merkel in Germania, un documento tutto dedicato alle renzinomics. Ovvero le teorie economiche dell’area renziana. Il documento è un classico del posizionamento politico in soccorso del vincitore, in questo caso tedesco. Certo, non mancano argomenti già presenti nelle pagine del Corriere da un quarto di secolo nè posizioni ripetute da tempo sul Sole 24 ore. Ma la concidenza temporale, oltre alla presenza di qualche argomento, con la vittoria della Merkel aiuta a comprendere meglio le sinergie possibili tra futuro governo tedesco e staff dell’attuale sindaco di Firenze. Il documento è datato luglio 2013, il periodo dell’incontro tra Matteo Renzi e Angela Merkel. Il documento, sul quale non vale la pena soffermarsi su errori e imprecisioni, è chiaro, fin dall’inizio su due punti: niente eurobond, esclusi di nuovo dalla Merkel in campagna elettorale, danneggerebbero il “babbo natale del nord” (testuale) nessuna uscita dall’euro. Viene proposta quindi la “disciplina di bilancio europea” che prevede, fa bene ricordarlo, il controllo preventivo di Bruxelles sulla legge di stabilità (ovvero sulle politiche pubbliche di spesa). Proprio ciò di cui, anche se per l’opinione pubblica tedesca è sempre insufficiente, ha bisogno il modello neo-mercantilista berlinese in materia di trasferimento di risorse dai paesi del sud a quelli “core”. E’ evidente poi, specie per chi come Renzi ha finanziatori delle primarie che hanno aziende alle Cayman, che con la delocalizzazione fiscale, dalle PMI in su, chi sta sui territori deve essere fortemente tassato. Altrimenti niente reperimento risorse. Lo slogan “favorire il venture capital” tiene poi insieme sia le esigenze di chi ha la sede alle Cayman che quelle di chi sta a Berlino, modello Boston Consulting, insomma. Si tratta quindi di favorire l’immissione in Italia di capitali di rischio, che possono essere richiamati velocemente dal luogo di partenza in caso di mancata redditività o lasciare sul luogo macerie esaurita la redditività di partenza. Ottimo per Cayman e fondi pensione tedeschi. I quali, dopo esser stati minacciati dal crack Lehman, trovano nei Renzi di tutta Europa un’occasione di redditività nelle dismissioni e nelle privatizzazioni. Non a caso quindi con le renzinomics scompaiono Enel, Eni come proprietà e indirizzo pubblico, le poste, le ferrovie nonchè le municipalizzate e il patrimonio edilizio pubblico (basta consultare le slide). Vecchi progetti ultraliberisti, riproposti da Draghi e Trichet due anni fa tra l’altro.Il bello è che questo modello economico-finanziario, gemello di quello di Domingo Cavallo e Carlos Menem, pronto per favorire l’estrema estrazione di risorse dal sud al nord Europa nelle renzinomics viene chiamato “di sinistra”. Orwellianamente infatti gli estensori delle renzinomics, dopo aver delineato un programma di privatizzazioni tale da gareggiare con quello di Elstin (che gettò mezza Russia nel medioevo e l’altra in una recessione durata almeno un decennio per favorire la concentrazione di grandi capitali),affermano “noi ci immaginiamo una sinistra che con orgoglio rivendica lo stato sociale”. A futura memoria, e con l’attenzione a cosa vuol sentirsi dire l’elettorato di centrosinistra, viene da dire. Implementando queste politiche, basta fare una ricognizione su quanto accaduto con misure simili, infatti almeno metà paese è destinato ad un livello di servizi sociali di qualità precedente al secondo conflitto mondiale. E in una società globalizzata. Ma queste sono parti dedicate alla propaganda: l’attenzione grossa infatti è alla riduzione della spesa pubblica, “per obiettivo”, e alla retorica degli “sprechi” (in Italia cavallo di Troia per ogni genere di politica di riduzione delle prestazioni pubbliche). Non è forse un caso che la parte sulle banche, pilastro essenziale di ogni politica economica, è molto scolastica e legata a ciò che le PMI vogliono sentirsi dire. I giochi grossi in materia li faranno altri, dentro lo scontro tra Bce e Berlino sulla vigilanza europea delle banche, ai renziani spetta solo il ruolo di cantori dell’arte di raschiare l’osso.
Quello che impressiona, oltre al solito liberismo alla Blair riproposto 20 anni dopo e senza una riflessione critica sul suo fallimento, è l’assenza, nelle renzinomics, di una qualsiasi proposta di riforma della governance europea amministrativa, finanziaria e bancaria. Eppure si tratta di tre terreni che sono oggetto di conflitto, nel quale un filibustiere della politica può inserirsi in modo furbo. E soprattutto non c’è alcuna politica reale senza una strategia su questo piano. Come non c’è una parola seria sul modello di sapere (educativo-universitario) ma il copiaincolla dei risultati PISA sulla performatività degli studenti. Ma con Renzi si va sul sicuro: il modello dello Eltsin da Rignano è garanzia di precipizio per ogni sistema formativo escluso i poli di “eccellenza”. Comunque davvero un modello sociale da “ascari dentro”, prima ancora che nei comportamenti, che naturalizza ciò che viene da fuori come modello neo-coloniale non da discutere ma da riprodurre. Ah, sempre se qualcuno si facesse illusioni, il modello renzinomics, che guarda testualmente alla Germania, non produrrà un posto di lavoro. In Germania, con la riforma Schroeder e le politiche Merkel (entrambe lodate nelle renzinomics) si è prodotto solo lo 0,3 per cento dei posti di lavoro in più. I nuovi occupati sono infatti ricavati dalla precarizzazione, e dalla cannibalizzazione, dei vecchi posti di lavoro. Rendendo flessibile ciò che era stabile. E non a caso la parola flessibilità abbonda nel lessico delle renzinomics.
Matteo Renzi è un servo felice. Si vede da come si muove in televisione. Sente, come il Julien Sorel de Il rosso e il nero, la piena soddisfazione di essere un amante in carica e in ascesa. Ma non di Madame de Rênal ma di un intero paese o perlomeno della metà utile a portarlo alla carica desiderata. Come tutti i servi felici è un problema per le persone libere. Ed è il nuovo di una serie che, dopo la caduta del Muro, non ha risparmiato disgrazie e impoverimenti a questo paese. Si tratta però di un’ascaro di nuova generazione, che usa un linguaggio differente da quelli che l’hanno preceduto. Ed è anche uno di quelli che va battuto sul piano della comunicazione generalista, terreno su cui movimenti e sinistre si muovono male da sempre.
Non molti anni fa il ministro Frattini, in missione in Africa, inaugurò una mostra sugli ascari. Si trattava di una riabilitazione revisionista dell’Italia coloniale passata sotto silenzio rispetto ad altre. E qui c’è da ricordare un punto nodale: l’euro, da non confondere con l’Europa come si fa anche a sinistra, è sostanzialmente due cose: uno spazio costruito per privilegiare la drammatizzazione della concorrenza tra sistemi-paese e il più grosso attacco ai salari nel continente dai tempi della Grande Depressione. Per perpetuare questo modello, bisogna radicalizzare il nazionalismo (dietro la propaganda dell’inutile modello macroeconomico della competività) e le diseguaglianze economiche e sociali (dietro la propaganda della “crescita”). Bene, se questo modello continua deve essere chiaro proprio questo punto: un domani, nemmeno lontano e ben visibile, in un museo non ci finiscono gli ascari ma questo intero paese. Specie se intese cordiali come quelle Merkel-Renzi, tra colonizzatore e colonizzato, tengono, si sviluppano e fioriscono.
per Senza Soste, Nique la Police
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