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Cooperative e mafia imprenditoriale

Le vicende giudiziarie che negli ultimi tempi stanno investendo il “mondo della cooperazione” nel paese, evidenziano quello che il Sindacato Intercategoriale Cobas denuncia ormai da anni.
La “cooperazione” non è semplicemente l’ambito legalizzato di una intermediazione di forza lavoro dove si è sperimentata/adottata flessibilità e precarietà esasperata, con l’obbiettivo di abbassarne il costo e privarla di basilari tutele (non copertura di malattia e infortunio, non applicazione dell’art. 18, evasione contributiva e fiscale, mancanza di adeguati ammortizzatori sociali …), ma è anche un settore dell’economia, ormai con un peso importante, dove la “mafia imprenditoriale” si è affermata.
Sarebbe ingenuo pensare che questa penetrazione così  massiccia del cosiddetto capitale mafioso avvenga di soppiatto e all’insaputa dell’”onesto” mondo dell’imprenditoria.  La realtà e che al moderno capitale finanziario, generalmente inteso come fusione tra capitale bancario e industriale, partecipa nella sostanza chi ha capitali da investire, indipendentemente dalla loro provenienza e senza remora alcuna. Santa Sede e IOR potrebbero scrivere un enciclopedia Tre-cani al riguardo.
 
Convenienza è il parametro secondo il quale girano gli affari e in cui si ritrovano e si uniscono in una lucrosa connivenza capitali e raffinati uomini d’affari di borsa e di lupara. Coperture politiche, funzionari dello stato compiacenti, solerti sindacati sempre pronti a svendere i lavoratori completano il quadro, magari con l’aggiunta di una santa benedizione.
 
La mafia diventa così sistema e l’intreccio di capitali ed interessi rende impossibile discernere il mafioso onesto da quello disonesto e, nella remota ipotesi che questo fosse possibile,  la forma non cambierebbe il contenuto.
 
Alla recente notizia dell’operazione “Grey job” della Guardia di finanza di Piacenza, che ha portato alla scoperta della frode di tre cooperative di facchinaggio che hanno nascosto al fisco 17,7 milioni ed evaso Iva per 6,9 milioni di euro, rilevando una posizione irregolare e il pagamento in nero per 695 soci lavoratori per quasi tre milioni di euro, con un mancato versamento Irpef di 1,2 milioni, si aggiunge la condanna in primo grado di Alfonso Filosa, ex direttore della Direzione Provinciale del lavoro, a 15 anni e 4 mesi di reclusione e a un risarcimento di 200mila euro a favore del Ministero del Lavoro .
 
Contrariamente alla recente Operazione della Direzione distrettuale antimafia e della Squadra mobile di Milano che ha riguardato la CGS New Group Scarl e la CSI Milano Società Cooperativa, entrambe con sede a Milano e di pertinenza del clan dei Mangano (che abbiamo incontrato, come organizzazione, all’Orto Mercato a Milano, ai magazzini dell’Esselunga a Pioltello, del Gigante a Basiano e alla Star ad Agrate sostenendo contrasti padronali durissimi ed una feroce repressione da parte dalle forze dell'”ordine” per contrastare gli scioperi per migliori condizioni salariali e normative) delle tre cooperative in questione operanti a Piacenza non ne sono stati al momento divulgati nomi e ambiti di riferimento.
 
E’ stata reso noto, nella conferenza stampa della Guardia di Finanza, solo che le indagini, avviate nel 2011, fanno riferimento a segnalazioni e irregolarità già riscontrate negli anni precedenti. Ma perché tanto riserbo per un’indagine vecchia addirittura di oltre due anni? Perché una conferenza stampa dove si dice il fatto senza fare nomi?
 
Dalle dimensioni del caso, 695 lavoratori, non si sta parlando di piccole cooperative e, presumibilmente, neanche di piccoli appalti/committenti ai quali erano in forza questi lavoratori (lo sono ancora?).
 
Perché questa omissione? Forse queste cooperative non esistono più e si sono riciclate in qualcos’altro attraverso il classico e truffaldino restyle-mutualistico?  Forse non si vuole fare cattiva pubblicità a qualche multinazionale un po’ troppo distratta nell’appaltare la movimentazione delle merci che transitano nei propri magazzini? E’ ovvio che in assenza di una chiarificazione ogni domanda è lecita perché la cosa strana non è il chiedersi ma è il non dire.
 
Un’omissione a nostro avviso ingiustificabile, contraria al criterio di trasparenza che si dovrebbe tenere in questi casi verso l’opinione pubblica e che non rende giustizia a quei tanti lavoratori vessati e mortificati da questi criminali.
 
Quello che sicuramente sappiamo è che in questo territorio a partire dalla lotta dei lavoratori del polo logistico (dalla lotta alla TNT in poi), l’unica vera forza della cosiddetta società civile che ha denunciato lo scempio dello sfruttamento, del caporalato, dell’arbitrio, dell’evasione fiscale e contributiva, del marcio sistema della cooperazione e del suo indiscusso connubio con  i grandi colossi nazionali ed internazionali della logistica sono stati gli operai che si sono organizzati nel SI.Cobas e quello che hanno ricevuto dalla società incivile, non sono stati ringraziamenti ed incoraggiamenti (come potrebbe essere altrimenti), ma intimidazioni, denunce, manganellate (vedi Ikea) fogli di via della prefettura per tre  nostri compagni, tra cui il coordinatore nazionale del nostro Sindacato, Aldo Milani.
 
Tutto quello che altri non hanno voluto vedere, sindacati confederali inclusi (troppo impegnati a firmare accordi al ribasso in nome della competitività e a blindare i criteri di rappresentanza attraverso burocratici meccanismi di certificazione distanti mille miglia dalla reale democrazia operaia), i facchini del polo logistico lo stanno denunciato attraverso un percorso di lotta autorganizzato che continua a crescere semplicemente perché il problema esiste ed è di vaste proporzioni.
 
Nell’attesa che sul caso qualche briciola di notizia in più venga rilasciata a noi comuni mortali, rinnoviamo il nostro impegno a dar battaglia a quello che tutti condannano a scandalo avvenuto e che moltissimi coprono in corso d’opera. La nostra lotta contro il nostro sfruttamento, di certo, non la delegheremo mai a nessuno.

Qui la notizia stampa da ilfattoquotidiano.it

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