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Il diritto all’istruzione dei migranti e dei loro figli

É del 17 dicembre la segnalazione da parte della Scuola di Italiano con Migranti XM24 dell’impossibilità da parte di un ragazzino bengalese di frequentare la scuola media: l’istituto del quartiere in cui la famiglia aveva fatto domanda di iscrizione era pieno, e le procedure per trovare un posto sono state avviate solo dopo 8 mesi dalla richiesta dei genitori. Tutto questo nella “democratica” Bologna.
Del resto, le peregrinazioni degli alunni migranti/figli di migranti da una scuola all’altra per trovare un posto non sono cosa nuova: “non c’è posto”, “non c’è la lingua straniera adatta a te”, “non c’è il tempo prolungato”, “c’è posto ma solo due classi indietro”, queste le risposte più frequenti, che costringono questi alunni a macinare chilometri in autobus per raggiungere scuole lontane da dove abitano (con conseguenti alti costi del trasporto, mancanza di compagni vicino a casa, ecc…) o ad
aspettare che si liberi un posto.

Le riflessioni esposte dalla S.I.M. XM24 (che potete leggere qui http://www.zic.it/sim-xm24-in-bolognina-bambini-rifiutati-dalla-scuola-pubblica/ ) sono ovviamente condivisibili. Ma il problema è che questi alunni, anche una volta riusciti a sedere in classe, vedono sistematicamente negato il loro diritto all’istruzione: nonostante tutti i proclami ministeriali a favore di integrazione, pari opportunità, inclusione e tutto il resto, in Italia non esiste un programma serio, sistematico e di lungo periodo per l’apprendimento della lingua italiana da parte degli alunni con altra madrelingua. Lo Stato, così “preoccupato” per il futuro degli studenti da spendere 6,6 milioni di euro in attività di orientamento1, non spende praticamente nulla per
l’integrazione, inclusione o tutte le altre belle parole di cui si riempiono la bocca ministri e governanti vari per gli studenti migranti/figli di migranti: tutta questa educazione per il futuro, per l’Uomo di domani, buon lavoratore, obbediente, conformista, magari con la cittadinanza italiana, ma niente per il bambino e il ragazzo qui e ora. Le scuole non dispongono di docenti che si dedichino esclusivamente o principalmente alla didattica dell’italiano L2 e di fatto non sono obbligate a fornire supporto linguistico ai propri studenti non madrelingua. Solo grazie ai Comuni o alle Province (attraverso i Piani di Zona) o grazie a fondazioni private (che purtroppo continuano ad assumere funzioni proprie dello Stato) alcuni istituti riescono, per un tempo spesso limitato, ad organizzare attività di supporto linguistico, con disparità estreme da un territorio all’altro.

Gli unici fondi stanziati dal Miur per il supporto linguistico agli studenti con madrelingua diversa dall’italiano rientrano nel progetto “Misure incentivanti per le aree a rischio, a forte processo immigratorio e contro l’emarginazione scolastica”: per l’anno scolastico 2012/13 questo progetto ha visto lo stanziamento di 53.195.060 euro complessivi a livello nazionale, da ripartire per ogni regione e poi per ogni istituto. Per la regione Emilia Romagna, per esempio, i fondi disponibili per l’a.s. 2012/13 ammontavano a 2.403.267,40 euro, da dividere tra 475 istituzioni scolastiche. Sembrano somme ragguardevoli, ma se andiamo a controllare di quanto poteva disporre ogni singola scuola la cifra diventa risibile: 5000 euro in media (con punte di 10mila euro per alcuni istituti del bolognese, del modenese e del piacentino)2, e non si tratta di fondi riservati all’insegnamento della lingua a studenti migranti, ma riferiti “a tutte le fasce di studenti che presentano difficoltà a livello individuale, familiare e sociale: attenzione prioritaria agli studenti a rischio di dispersione e di abbandono per qualsivoglia ragione, ai nomadi, agli studenti malati in ospedale e/o a domicilio e agli studenti di recente immigrazione non italofoni”. E c’è di più: queste “Misure incentivanti” non stabiliscono che le attività di supporto linguistico debbano essere condotte da docenti preparati nella didattica della L2, quindi qualsiasi insegnante in servizio presso l’istituto (poiché questi fondi non possono finanziare corsi condotti da personale esterno) può proporsi per l’attivazione di corsi di L2, anchesenza formazione specifica o esperienza. Ammesso e non concesso che la formazione si tramuti automaticamente in buone capacità didattiche, sappiamo che, purtroppo, la “crisi” può spingere molti docenti a proporsi per qualche oretta supplementare…
Come insegnanti militanti nei movimenti, nella lotta contro il razzismo anche istituzionale,
dovremmo preoccuparci anche di cosa accade in classe a quegli alunni che riescono ad iscriversi (perchè nel periodo della corsa alle iscrizioni questi “stranieri” il posto lo trovano eccome!) Anche perchè, come è ovvio, la mancanza di personale e fondi rende poi molto complicato per l’insegnante di classe riuscire a coinvolgere questi alunni e a farli progredire nell’apprendimento della lingua (che, lo ricordo, se è vero che è strumento di dominazione e omologazione, è anche strumento di lotta), tanto da rendere agli insegnanti diciamo “più ingenui” quella delle classi separate un’idea da non disdegnare… Razzismo istituzionale che alimenta altro razzismo (come nel caso della casa, del lavoro, della sanità…)

A fronte di queste gravi “dimenticanze” da parte del Ministero dell’Istruzione (tali per cui in Italia non esistono cattedre di insegnamento dell’italiano come L2 nelle scuole, non ci sono classi di concorso specifiche né graduatorie), il Miur se ne esce con Direttive e Circolari che collocano automaticamente i ragazzi e le ragazze con madrelingua non italiana nella categoria dei Bisogni Educativi Speciali, una nozione (come tratterò in un prossimo più esteso contributo) che individua l’origine sociale, culturale ed economica come handicappante, che assume la concezione che la diversità è una ricchezza ma solo se non mette in dubbio determinati valori (quello del monolinguismo per esempio), che parla di “inclusione” mentre stabilisce che la cultura che tu migrante vivi in casa non serve a niente, anzi è fonte di difficoltà. Una nozione che promuove una finta “inclusione” a costo zero, poiché con essa il Miur continua a non stanziare fondi per supportare questi alunni, continua a non prevedere per loro insegnanti preparati nella didattica della L2, continua a farli “prendere in carico” dagli insegnanti di classe. Una nozione che avvalora l’illusione che la scuola tecnicamente, burocraticamente e didatticamente perfetta possa essere un’oasi artificiale, situata in un limbo, esterna alle conflittualità del tempo, del luogo e delle relazioni in cui viviamo, assolvendo la scuola e il sistema economico-politico da ogni sospetto.
E attenzione perchè quello che a molti è sembrato un ripensamento, cioè la Circolare del 22 novembre 2013, che sembrava rettificare sulle azioni per la “inclusione” degli alunni non madrelingua, in realtà non ha minimamente messo in discussione l’etichettatura di questi studenti come studenti con Bisogni Educativi Speciali, anzi di fatto norma la loro esclusione dal diritto all’educazione linguistica. Si tratta di finti passi indietro molto pericolosi, perchè inducono a pensare che gli estensori delle Direttive e Circolari precedenti fossero dei folli o degli incapaci, che ora non serva più discutere di Bes ed etichettature, mentre è assolutamente improbabile che azioni sistemiche come questa, che non nascono dalla follia ministeriale ma che sono collegate alle indicazioni provenienti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (ricordiamo che la categoria-Bes italiana è pienamente in linea con quella proposta dall’International Classification of Functioning Disability and Health), vengano attuate casualmente e altrettanto casualmente cancellate.
E giova ricordare come la Fondazione Agnelli (sui cui documenti si sono basate in pratica tutte le ultime riforme sulla scuola, in modo assolutamente bipartisan) sia in prima linea nel supportare la categorizzazione-Bes, così come guardacaso la misurazione degli apprendimenti degli studenti tramite test standardizzati e in base ad essi la valutazione della performance delle scuole e, sempre guardacaso, della “premialità in funzione al merito” degli insegnanti.
Bisogna prestare grande attenzione a questi elementi, poichè rappresentano impercettibili ma precisi passi sulla strada della “riorganizzazione” neoliberista del sistema scolastico che, al pari delle grandi opere, rappresenta un’opportunità di investimento succulento per le grandi imprese private, e che si accompagna ai continui tentativi di risparmiare sul lavoro degli insegnanti. Del resto, il capitale ha sempre visto nel drenaggio di soldi pubblici a beneficio esclusivo del business e
nel risparmio sulla forza-lavoro due elementi fondamentali per il proprio profitto.
E’ tempo, dunque, di aprire un dibattito serio sul diritto all’educazione per gli studenti migranti/figli di migranti, sulle etichettature ed i loro scopi, sulla “premialità” vs equità, aprendo nuovi fronti di lotta e collegandoli alle lotte in corso.

1 http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-12-20/al-via-piano-carrozza-l-orientamento-studenti-114807.shtml?
uuid=ABti8El
2 http://ww3.istruzioneer.it/2013/04/18/art-9-c-c-n-l-20062009-ripartizione-dei-finanziamenti-fra-le-istituzioni-
scolastiche-statali-dellemilia-romagna-acconto-e-saldo/

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