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La soffocante austerità della Germania

La costruzione dell’eurozona come “prassi disciplinante” dell’Unione Europea, che favorisce i capitali (e le aree territoriali) più avanzate grazie alla distruzione di quelle appena un po’ più arretrate. Ma che soprattutto ridisegna i rapporti tra capitale e lavoro in senso liberista ottocentesco.

Non che fosse impossibile accorgersene prima… Questo articolo di Augusto Graziani, apparso su il manifesto addirittura nel 1998 lo dimostra con grande capacità predittiva.

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La pron­tezza con la quale il mini­stro Ciampi ha ade­rito alla richie­sta del col­lega tede­sco Wai­gel di anti­ci­pare il patto di sta­bi­lità non può non lasciare per­plessi. È vero, e tutti lo sape­vamo, che la sospi­rata ammis­sione all’Unione mone­ta­ria sarebbe stato l’ingresso in un nuovo tun­nel di restri­zioni e di sacri­fici. Ma ciò non toglie che il governo avrebbe avuto il dovere di pale­sare ai part­ner euro­pei che l’Italia, nel corso degli ultimi due anni, ha già soste­nuto una linea di rigore tale da dare adito al legit­timo sospetto che il sacri­fi­cio superi i van­taggi. E che, di con­se­guenza, una volta pas­sato il Capo delle Tem­pe­ste del 2 mag­gio, il governo ita­liano aveva diritto di atten­dersi un periodo di respiro e di comprensione.

Anche per­ché le pre­tese sem­pre più esose pro­ve­nienti dalla Ger­ma­nia e dai suoi più stretti alleati hanno sem­pre più il sapore di fare parte di una cam­pa­gna elet­to­rale anti­ci­pata, nella quale i par­titi vogliono ren­dere chiaro agli elet­tori tede­schi di avere fatto tutto il pos­si­bile per scon­giu­rare i peri­coli deri­vanti dall’ammissione dell’Italia alla moneta comune.

Una ferma oppo­si­zione alle richie­ste tede­sche era tanto più dove­rosa in quanto non aveva alcun biso­gno di essere avan­zata in nome dei pen­sio­nati, dei sus­si­diati, o degli assi­stiti. È la strut­tura pro­dut­tiva del paese che richiede una ripresa della spesa cor­rente per infra­strut­ture (strade), per manu­ten­zione (fer­ro­vie), per espan­sione (nuove cen­trali elet­tri­che). I lavo­ra­tori ita­liani hanno dato prova di sop­por­tare in silen­zio sacri­fici in una misura che pochi avreb­bero pre­vi­sto. Ma il depe­ri­mento delle strut­ture mate­riali non ammette tre­gua e inci­derà sulla capa­cità pro­dut­tiva del paese per molti anni. Nel gergo dei ragio­nieri, si direbbe che l’Italia ha ridotto il disa­vanzo intac­cando il capi­tale. Per for­tuna dei nostri mini­stri, la con­ta­bi­lità pub­blica è più tol­le­rante e non dà luogo a con­teggi così precisi.

Tutti elo­giano il rigore del nostro mini­stro del tesoro. Sarebbe ora di comin­ciare a fare i conti con la situa­zione strut­tu­rale, con le grandi imprese cedute a capi­tale stra­niero, con la con­se­guente emi­gra­zione di cen­tri deci­sio­nali e di luo­ghi di ela­bo­ra­zione del pro­gresso tec­nico, con la ridu­zione minac­ciata dei cen­tri di ricerca scien­ti­fica. Si vedrà allora se il saldo netto è posi­tivo o negativo.

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