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L’orgoglio e la rabbia

Il 14 gennaio lo European Research Council annunciava con un comunicato stampa l’assegnazione di 312 ERC Consolidator Grants 2013. Si tratta di fondi di ricerca attribuiti a scienziati nel pieno della loro carriera per progetti piuttosto onerosi. Si arriva a un finanziamento massimo di 2,75 milioni di euro, per una media di 1,84. E un totale di 575 milioni di euro di finanziamento.

Numeri da brividi. Come già ha fatto notare Sylvie Coyaud, 575 milioni di euro sono una cifra vertiginosa, rispetto agli 0 euro (zero) stanziati nel 2014 per i Progetti di ricerca di interesse nazionale, i PRIN. E questa è già una notizia. Evidentemente non esistono progetti di ricerca di interesse nazionale. O, meglio, la ricerca in sé non è di interesse nazionale.

Eppure questo paese fino a oggi ha sfornato scienziati bravi e ostinati. Che non trovando fondi in patria li cercano all’estero. Così, dei 312 grant assegnati su quasi 3700 domande presentate (già questo indica l’eccellenza dei vincitori), 46 sono andati a ricercatori italiani. Quarantasei. Il 15 per cento, o giù di lì.

C’è di che essere orgogliosi.

Se poi si guarda al grafico delle borse assegnate per nazionalità dei candidati, c’è da fare i salti mortali.

La Germania ci supera di appena due grant. Francia e Regno Unito sono molto più indietro. Un risultato eccezionale, considerando il numero assoluto di ricercatori dei quattro paesi. Un risultato che certifica l’eccellenza della nostra scienza, senza se e senza ma. Una roba che, fossi ministro, premier, leader politico di qualsiasi schieramento, mi segnerei con un nodo al fazzoletto: oltre alla moda, al design, ai prodotti tipici, insomma, oltre a tutti quei settori che ogni giorno sentiamo celebrare fino alla nausea, in Italia c’è una risorsa pazzesca. È la ricerca scientifica.

Perché quei 46 grant (complessivamente un centinaio di milioni di euro, o giù di lì) non è che se li intasca lo scienziato. Li usa. Ci fa ricerca e la fa fare ai suoi allievi, crea un indotto che, potenzialmente s’intende, può persino portare a innovazione tecnologica e, pensa, a nuovi prodotti, nuovo lavoro, nuova economia.

Quarantasei grant sono uno di quei sogni, a fare il ministro della ricerca, da svegliarsi tutti sudati nel cuore della notte e, increduli, darsi pizzicotti alle guance per convincersi di essere svegli.

E infatti. Perché i grant italiani sono 46, ma in Italia ne arriveranno solo 20. Ecco, i soliti trucchetti dell’Europa che ci affama. Le sanguisughe di Bruxelles. I tedeschi che ci soffocano.

No, niente di tutto questo. È solo la sacrosanta ricompensa della nostra cialtronaggine. Il de profundis del “sistema paese”, come lo chiamano quelli che la sanno lunga.

Il grafici successivi messi a disposizione dall’ERC lo spiegano fin troppo bene. Il primo mostra dove i ricercatori di ogni nazionalità condurranno le ricerche con i fondi messi a disposizione.

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E mentre francesi e britannici se ne staranno in prevalenza al loro paese, 15 tedeschi su 48 lavoreranno all’estero. E noi? Noi peggio: 26 scienziati italiani su 46 porteranno i loro due milioni di euro, con tutto ciò che ne consegue, fuori dall’Italia. Fanno 50 milioni, in tutto, che generosamente regaliamo ai ricchi, più i 500.000 euro a testa che è costata la loro formazione. In tempi di crisi nera, una dannata emorragia.

A parziale consolazione, si dirà, anche i tedeschi se ne vanno. E giù a massacrare la Merkel. Ma non è così.

Il perché lo spiega il terzo grafico. L’ultimo, giuro, perché poi l’incazzatura arriva a vette inesplorate.

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Qui si vede dove i vincitori dei grant condurranno le loro ricerche. E se gli inglesi hanno vinto un terno al lotto (il numero dei fondi investiti nel Regno Unito sarà esattamente il doppio dei grant vinti dai britannici), i tedeschi si riportano quasi in pari, con 43 grant. Pochi meno dei 48 assegnati a ricercatori tedeschi.

E noi? [di nuovo con ‘ste domande…] Sì, noi rimaniamo fermi a venti. Di cui 19 sono fondi assegnati a ricercatori italiani che lavorano già in Italia, e uno, uno solo a un ricercatore che, presumibilmente, rientrerà dall’estero. Nessuno dei ricercatori di nazionalità diversa da quella italiana userà i suoi fondi per fare ricerca in Italia. Nemmeno da Malta, per dire.

Prima di andare a misurarmi la pressione, vi lascio con la frase che la senatrice a vita Elena Cattaneo ha recentemente scritto nella sua lettera aperta a Enrico Letta e Giorgio Napolitano.

Così il paese muore.

* Direttore di Le Scienze

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