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Cgil. Un congresso senza regole e contro le regole

Il XVII congresso della Cgil, come tutti i precedenti, mette in moto una gigantesca e complessa macchina organizzativa che coinvolge per mesi tutto l’apparato e tutte le sue migliaia di strutture, ognuna delle quali svolge il proprio congresso rieleggendo i nuovi organismi dirigenti.

Questa “macchina” potrebbe e dovrebbe essere un veicolo di grande democrazia per i milioni di lavoratrici e di lavoratori, di pensionate e di pensionati iscritti.

La democrazia, storicamente per la Cgil, non è mai stata solo una giusta rivendicazione da rivolgere alle controparti, ma anche una pratica nella quale gli iscritti, i funzionari, i dirigenti devono cimentarsi giorno per giorno, ma anche e soprattutto nei momenti congressuali.

Il XVII congresso della Cgil, come tutti i precedenti, mette in moto una gigantesca e complessa macchina organizzativa che coinvolge per mesi tutto l’apparato e tutte le sue migliaia di strutture, ognuna delle quali svolge il proprio congresso rieleggendo i nuovi organismi dirigenti.

Questa “macchina” potrebbe e dovrebbe essere un veicolo di grande democrazia per i milioni di lavoratrici e di lavoratori, di pensionate e di pensionati iscritti.

La democrazia, storicamente per la Cgil, non è mai stata solo una giusta rivendicazione da rivolgere alle controparti, ma anche una pratica nella quale gli iscritti, i funzionari, i dirigenti devono cimentarsi giorno per giorno, ma anche e soprattutto nei momenti congressuali.

La democrazia in Italia (e un po’ dappertutto) non gode di buona salute; politici e imprenditori pensano ormai che il consenso democraticamente conquistato sia un lusso del passato, anzi un ingombro di cui disfarsi al più presto. A maggior ragione, dunque, la Cgil dovrebbe salvaguardare la propria democrazia interna, per far sì che, almeno all’interno delle proprie strutture, questa pratica continuio a vivere e a mostrare ai lavoratori il valore che rappresenta.

Al contrario, la vicenda congressuale in corso mostra drammaticamente e tristemente un pesante logoramento della democrazia formale che pure lo statuto proclama e, ancor più, una pratica di gestione del congresso che diffusamente, pur se non in modo generalizzato, calpesta la lettera e la sostanza di quella che fu l’ispirazione degli inventori della democrazia moderna: “Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente.”

Il congresso si basa su un regolamento varato dal Direttivo nella sua seduta del 2 dicembre.

Il regolamento (cioè il complesso di norme a cui dovrebbe attenersi tutto lo svolgimento del congresso) è stato approvato a maggioranza, con il dissenso di chi aveva presentato il documento n. 2. Guarda caso, si dice per un malaugurato refuso, nel fascicolo che riporta tutti i materiali congressuali (stampato il centinaia di migliaia di copie e diffuso (teoricamente) tra tutti gli iscritti, i regolamento viene descritto come approvato all’unanimità. Transeat.

Questo regolamento, confuso, ambiguo e lacunoso, dovrebbe essere “interpretato” (autenticamente) dalla Commissione di garanzia nazionale che viene eletta all’inizio dell’iter congressuale.

Tale commissione, si dice nel regolamento, in presenza di “due documenti alternativi, il numero dei componenti delle Commissioni di garanzia dovrà essere pari”, con ciò lasciando presumere una struttura paritaria, peraltro con la primazia della maggioranza garantita dal voto “doppio” del presidente.

Niente di tutto questo. Le commissioni di garanzia sono state tutte elette con una presenza testimoniale e residuale di rappresentanti della minoranza con la conseguenza che i numerosi ricorsi presentati dalla minoranza su trasgressioni rispetto al regolamento o addirittura allo statuto sono stati accolti solo in un esiguo numero, solo quando le forzature e le scorrettezze erano plateali.

Ma tutto ciò non basta. Non sono stati pochi i casi nei quali gli apparati che gestivano le assemblee di base non solo non rispettavano statuto e regolamento, ma, una volta richiamate dalle commissioni di garanzia chiamate in causa dalla minoranza congressuale, si rifutavano perfino di attenersi ai richiami e perseveravano nelle scorrettezze, certe della propria totale impunità.

Ma le scorrettezze, di cui daremo conto attraverso qualche caso emblematico, non costituiscono l’aspetto più significativo della gestione non democratica del congresso.

Intanto occorre dire che molto raramente le iscritte e gli iscritti erano informati del congresso , dei documenti sottoposti al voto, perfino dell’esistenza di due documenti alternativi. Perfino il fascicolo con i testi sottopostio al voto, pur se stampato in centinaia di migliaia di copie non è stato mai diffuso (se non in scarsissimi casi) tra gli iscritti. Nel migliore dei casi (comunque in poche occasioni) è stato distribuito al momento dell’assemblea, forse pensando che in un’ora (tanto dura l’assemblea) si potesse leggere un fascicolo di 80 pagine scritte, oltre che seguire le relazioni, partecipare al dibattito, votare i 12 emendamenti, votare i documenti e tornare sul proprio posto di lavoro…

Il congresso era e dovrebbe essere il momento in cui si consegna agli iscritti il potere di definire la linea politico-sindacale complessiva della Cgil e di eleggere liberamente i gruppi dirigenti incaricati di gestire quella linea. Al contrario, il gruppo dirigente centrale vede nel congresso una occasione per dare dimostrazione di una straordinaria buona salute del gigantesco apparato, per nascondere dietro mirabolanti risultati i problemi e le crescenti difficoltà. Parallelamente i gruppi dirigenti di categoria o territoriali, nella loro grande maggioranza, si impegnano in una gara ad emulazione a chi presenta una struttura più allineata e più efficiente nel portare acqua alla causa del nascondere quanto il re sia nudo.

A completare i quadro di un confronto stravolto nella sua veste democratica è precipitata sul dibattito congressuale la vicenda del cosiddetto “Testo unico sulla rappresentanza” del 10 gennaio, che ha incattivito il dibattito, e ha spinto l’apparato, nella sua grande maggioranza, ad attivarsi per far sì che l’occasione congressuale si trasformasse in un plebiscito a favore dell’accordo raggiunto. Dunque la forzatura delle regole è diventata la regola, come è di prassi quando si cerca di organizzare una consultazione dall’esito già scritto.

In questo dossier vogliamo documentare quanto è accaduto in numerose strutture durante la fase delle assemblee di base del congresso, riportando, seppure a titolo puramente esemplificativo, una serie di casi prodottisi.

 

Certificazione dei votanti

Nonostante la Cgil si sia dotata di un regolamento molto articolato per le procedure di svolgimento dei propri congressi di base, tuttavia nella realtà ha prevalso una pratica derogatoria per cui si può sicuramente dire che il congresso si sia svolto senza regole certe e univoche e, quel che è più grave, senza alcun rigore nella certificazione dei votanti.

Per ammissione della stessa commissione nazionale di garanzia, non è definita nel regolamento la procedura per l’attestazione dei votanti, quindi ogni modalità è stata ritenuta legittima.

Sono stati ritenuti validi verbali di seggi che allegano elenchi degli iscritti in cui i votanti sono segnati da una x o da una “spunta” a cura delle commissioni elettorali, senza alcuna firma da parte del votante, né altra attestazione obiettiva (registrazione documento o n. della tessera sindacale). La cosa è particolarmente scandalosa se si tiene presente che tale pratica è stata ritenuta sufficiente anche nel caso di seggi rimasti aperti per più giorni, spostati di sede e per assemblee svolte in contemporanea in più sedi che si riferivano ad uno stesso elenco di votanti su cui avevano competenza commissioni elettorali differenti tra loro!

Il caso più eclatante è quello delle leghe dello SPI, dove gli elenchi degli iscritti comprendono migliaia di pensionati e sicuramente non tutti conosciuti dai componenti i seggi e dove l’iscritto poteva votare indistintamente in ciascuna delle numerose assemblee in cui è stato articolato il congresso di base.

Se si tiene presente che quasi mai nei seggi era presente un rappresentante del nostro documento congressuale , è evidente che la procedura di voto non è sufficientemente trasparente e garantista.

A nostro ricorso in merito promosso nel Lazio è stato risposto che avevamo ragione sul piano del principio tanto che si invitavano le strutture “ per le prossime assemblee ad adottare la procedura della controfirma dei votanti sull’elenco degli aventi diritto” (peccato che quando ci è arrivata la risposta i congressi di base si fossero quasi conclusi ), ma al tempo stesso non si è ritenuto di invalidare i congressi che già si erano svolti senza controfirma dei votanti (!)

La pratica della semplice “spunta” a responsabilità esclusiva della commissione elettorale senza registrazione di alcun riscontro oggettivo del voto da parte del votante, è nei fatti la modalità prevalente nei congressi CGIL in tutte le categorie e territori, così che nessuno oggi in CGIL (neanche Susanna Camusso) può dare certificazione obiettiva dell’esito del voto, le schede elettorali non vengono allegate ai verbali e, a richiesta di verifica da parte di nostri componenti le commissioni di garanzia territoriali, spesso sono irreperibili e non consultabili.

Molti sono addirittura i verbali senza allegato l’elenco di votanti così che non è possibile nemmeno fare il riscontro tra votanti e schede scrutinate.

Se si aggiunge che in tutti i congressi e/o i seggi in cui non era presente un nostro rappresentante il n. dei votanti risulta essere enormemente superiore a quello delle assemblee e seggi in cui eravamo presenti, il sospetto di voti manipolati e/o gonfiati è fortissimo.

Due esempi per tutti :alla Fisac di Pisa abbiamo rilevato che nelle assemblee cui c’eravamo ha votato il 42% degli aventi diritto, dove non eravamo presenti il 94%, nel comprensorio di Napoli (tutte le categorie) sono state presenziate da noi 297 assemblee (poco meno della metà) con una partecipazione al voto media del 18,73% della platea congressuale iscritta, mentre dove non eravamo presenti, la partecipazione al voto è stata del 98,2% e il primo documento raccoglie il 100% dei voti espressi.

Non sono poi mancati casi eclatanti di vero e proprio falso:

a Roma un’assemblea territoriale della FILCAMS (quindi comprendente più ditte), registra 351 iscritti, 351 votanti, tutti al doc 1, tale assemblea, che ha votato con gli stessi numeri a voto palese per gli emendamenti, si sarebbe svolta in un locale del sindacato che può accogliere meno di 50 persone, in meno di un’ora di tempo avrebbe esaurito tutte le procedure di assemblea e di voto, e avrebbe visto dileguarsi un così imponente numero di persone, sicché il nostro delegato, avvisato in ritardo, ma arrivato prima della prevista ora di conclusione dell’assemblea ha trovato il locale deserto e nessuna traccia dei convenuti!

A Parma in un’assemblea della FP si è riscontrata una firma falsa sull’elenco dei votanti, attestata da dichiarazione autografa della lavoratrice interessata, confermata dai componenti il seggio elettorale, e tuttavia la commissione di garanzia locale e, successivamente, anche quella regionale emiliana hanno ritenuto di validare a maggioranza il risultato del voto di quel congresso che conteneva con tutta evidenza anche la scheda votata da qualcun altro al posto della lavoratrice! All’impunità non c’è limite…

Sempre nella stessa città la segreteria della Fiom ha denunciato il voto plebiscitario per il doc. 1 in un’azienda dove risultavano assenti degli iscritti che invece sono segnati come votanti nel verbale di voto.

Nella lega SPI di Frattamaggiore (Napoli) risulta che in 120 minuti avrebbero votato 520 iscritte/i, dunque una media di 4,2 persone al minuto… Ricorso naturalmente respinto, senza ulteriori motivazioni.

Sempre in provincia di Napoli, il congresso della Lega SPI di Calvizzano non si è mai tenuto, ma esiste un verbale regolarmente firmato e convalidato dalla CGT… Ricorso, indovinate, accolto o respinto?

In tutt’altro territorio (perfino extra nazionale) il congresso della “aggregazione distretti esteri” dello SPI, che riunisce le/gli iscritte/i alla Cgil pensionati della Croazia, nelle 4 assemblee tenutesi avrebbero votato 1.052 persone, recandosi presso i seggi da tutta la Croazia, percorrendo a volte, dalla loro residenza al seggio, svariate centinaia di chilometri. La partecipazione di questi pensionati è stata del 72%, a fronte della partecipazione raggiunta dallo SPI di Trieste (provincia tra le più piccole d’Italia) dove è stata 10 volte minore (7%)!

All’ospedale Cardarelli di Napoli, nel giro di pochi giorni gli iscritti aventi diritto al voto da 478 diventano 1400, con un travaso di voti da tutte le altre sigle sindacali che ha tanto il sapore di “prestito per il Congresso“. A fronte di denuncia autografa di un gruppo di iscritti stiamo ancora aspettando di sapere se il congresso viene invalidato o meno.

In un’assemblea della Filt a Pisa, di fronte ai 2 relatori erano presenti 10 lavoratori su 126 iscritti. Poi, però, nel voto successivo risultano votanti 119 iscritti (tutti per il documento 1). Ad una verifica sui votanti almeno due lavoratori, trascritti come votanti hanno esplicitamente dichiarato di non aver mai votato. Nonostante questa evidente falsificazione la Commissione di Garanzia di Pisa non ha ritenuyo di dover invalidare il risultato dell’assemblea.

 

Impedimenti al 2° relatore

L’articolo 6.d dello Statuto recita che “cardine della vita della Cgil è il diritto al dissenso, la tutela delle minoranze, la salvaguardia della pari dignità delle opinioni a confronto prima della decisione e in occasione del congresso. nella vita anche non recente della Cgil questo “cardine” è stato spesso violato o, comunque, scarsamente rispettato.

Ma in questo XVII congresso è stato completamente e sfrontatamente scardinato in numerose situazioni.

Il regolamento afferma che questa “tutela delle minoranze” si realizza attraverso il “diritto di tali documenti ad essere illustrati con pari dignità nelle assemblee di base da iscritti delegati dai proponenti”. Le strutture, per consentire ciò, “garantiranno le necessarie agibilità”, cioè metteranno in condizione i relatori, in particolare quelli di minoranza, di poter accedere ai locali dove si svolge l’assemblea.

Ecco, è proprio questo che in parecchi casi non è stato fatto, impedendo a molti relatori di presenziare alle assemblee perché non sono stati concessi loro i necessari permessi di assentarsi dal lavoro, visto che la stragrande maggioranza dei relatori del documento n. 2 non erano dirigenti sindacali a tempo pieno, ma semplici iscritte o iscritti, al massimo delegati di posto di lavoro.

Ma in qualche caso le strutture sono andate oltre. Nonostante la presenza del relatore ai cancelli dell’azienda all’ora dell’assemblea, non pochi relatori di maggiornaza hanno operato concretamente per impedire loro l’ingresso alla sala dell’assemblea. In qualche caso questo è stato addirittura teorizzato.

Nonostante la Commissione di garanzia nazionale si sia pronunciata ribadendo il diritto alla presenza della minoranza, quanche struttura ha ignorato questo pronunciamento e ha continuato a operare per garantirsi assemblee a senso unico.

Emblematica, ma solo esemplificativa di un problema di dimensioni molto maggiori, è stata la situazione prodottasi in alcune categorie del territorio di Brescia, dove sistematicamente al relatore di minoranza è stato impedito letteralmente l’accesso ai locali dove si svolgevano le assemblee.

E’ stato segnalato che a Pisa in assemblee nelle quali non era presente il relatore del documento n. 2, il relatore del documento di maggioranza affermava agli iscritti presenti che non sarebbe stato possibile votare per il documento di minoranza proprio in forza dell’assenza del relativo relatore.

 

Mancanza di agibilità

Come si diceva a entrambi i documenti vanno garantite le agibilità e la possibilità di sviluppare in ogni assemblea una relazione sui diversi documenti. Ma le condizioni di partenza sono tutt’altro che paritarie. E non solo per motivi quantitativi. Cioè il problema non è solo quello obiettivo creato dalla maggiore quantità di iscritti decisi a sostenere il documento di maggioranza.

La questione vera è che la quasi totalità dei relatori del documento di maggioranza sono funzionari a tempo pieno della Cgil, dunque con tutta la disponibilità di tempo di mobilità, di rimborsi, ecc. che non c’è invece per i relatori di minoranza.

Dunque, tante, troppe assemblee si sono svolte senza la presenza di rappresentanti della minoranza, cosa che ha significato la mancanza della relazione sul documento di minoranza ma anche (e soprattutto) la impossibilità di verificare la correttezza dello svolgimento dell’assemblea e in particolare delle operazioni di voto e di scrutinio.

 

Congressi con risultati inattendibili

Troppi congressi nei quali la presenza dei relatori di minoranza non è stata consentita sono terminati con risultati inattendibili, con il 100% degli iscritti che partecipava al voto (le aziende dovrebbero gioire: neanche un assente per malattia…), con il 100% che votava il primo documento.

E’ ovvio che sitratta di una deduzione statistica.

Come mai in nessuna delle assemblee nelle quali era presente il relatore di minoranza la partecipazione ha superato il livello del 40-50%, mentre nelle grandi assemblee a cui il relatore di minoranza non è stato messo in grado di presenziare tutti gli iscritti hanno partecipato, votato e votato per il documento 1?

Esemplare è il caso dell’Ilva di Taranto dove nelle 24 assemblee, anche alla presenza del relatore del documento n. 2, si è scelto di non votare né in modo palese né in modo segreto, dichiarando che l’urna sarebbe stata collocata nella sede dell’Esecutivo Fiom di fabbrica. Scelta che, in ogni caso, risultava molto discutibile al fine di favorire la partecipazione, in quanto tale sede è distante chilometri da molti reparti e quei lavoratori che avessero voluto recarsi a votare avrebbero perduto il passaggio dei pullman aziendali che a fine turno li accompagnano alle porte.

Invece, al momento della revisione dei verbali, risultava che 978 lavoratori, su 978 iscritti (neanche uno ammalato!) avrebbero votato a scrutinio palese (sic! dove? quando?) e (guarda caso) tutti per il documento n. 1.

 

Un secondo esempio. Nel Sindacato Pensionati della Cgil di Genova, i votanti passano dai 4.816 del Congresso di quattro anni fa ai/alle 7.474 di oggi, con un aumento di ben 2.658 votanti, cioè un aumento percentuale del 55,2 %!

 

Il motivo di questo afflato partecipativo riteniamo non sia dovuto ad una crescente autorevolezza dello SPI, vista l’incapacità di questa organizzazione (come dell’intera confederazione!) di tutelare efficacemente i pensionati (di Genova come di tutta Italia) dalla povertà crescente. Abbiamo il forte sospetto che alla base ci sia stata la impossibilità delle compagne e dei compagni di Genova di presidiare le numerosissime assemblee precongressuali e le altrettanto numerose urne di votazione. Infatti i compagni avevano scelto di privilegiare i congressi dei lavoratori attivi, piuttosto che quelle dello SPI. Ovviamente non per sottovalutazione delle problematiche delle pensionate e dei pensionati, ma solo per l’evidente disparità di forze.

 

C’è inoltre da notare che le votazioni sono state abbinate alla consulenza offerta sul pagamento della cosiddetta mini-IMU. Agli inconsapevoli pensionati che si recavano nelle sedi sindacali per farsi calcolare la tassa da pagare veniva proposto di mettere una croce sulla scheda. Et voilà.

 

Ma non è questo il dato più rilevante. A Milano, tutte le categorie (tranne FLC, Fisac e SPI) dichiarano una partecipazione al voto superiore al 60%, con punte fino al 78,31% (Filctem), un dato assolutamente inattendibile, nella fase attuale da tutti riconosciuta come di diffusa disaffezione. Ma almeno due categorie (Fillea e Flai) fanno di più di tutte le altre e dichiarano che rispettivamente il 77,72 e addirittura l’84,60 non solo hanno votato per il congresso a scrutinio segreto, immaginiamo, come prescritto dal regolamento, ma hanno perfino votato (ovviamente al 95% contro) sugli emendamenti nazionali. Come è evidente, visto che gli zelanti e immaginifici funzionari di queste due categorie hanno certamente studiato a fondo il regolamento, sanno bene che il voto sugli emendamenti era necessariamente a scrutinio palese, dunque in assemblea. Perciò significa che l’84% o anche solo il 77% degli iscritti di queste strutture hanno partecipato alle assemblee, votando in migliaia fino all’ultimo uomo diligentemente per 14 volte favorevole, o contrario, o astenuto gli emendamenti.

 

Francamente dire che questo risultato possa apparire attendibile rasenta la follia oppure l’arroganza.

 

Infine, come si è detto, sono numerosissime le assemblee di base in cui i funzionari di maggioranza hanno operato perché non fosse presente il relatore del secondo documento. Ebbene, il più delle volte, queste assemblee, al riparo da sguardi indiscreti, si sono concluse con risultati strabilianti: il 100% degli iscritti hanno partecipato all’assemblea, il 100% dei presenti hanno votato e il 100% dei votanti ha votato, guarda caso, per il primo documento. Queste mirabolanti percentuali di partecipazione al voto sono del tutto diverse da quelle delle assemblee nelle quali i nostri relatori sono stati presenti, dove mediamente hanno partecipato, con esiti di voto variabili, attorno ad un più attendibile 20-25% degli iscritti, con punte del 40%, ma mai di più.

 

Nessuna pari dignità

 

La pari dignità tra i due documenti congressuali è affermata nel regolamento congressuale e in tutti gli atti ufficiali che riferiscono al congresso e riaffermata più volte dalle comunicazioni della Commissione nazionale di garanzia, tuttavia la realtà del congresso è stata molto diversa, nella pratica siamo stati tollerati come indesiderati ospiti ed osteggiati e messi in difficoltà nel poter esercitare il diritto di rappresentanza che il regolamento congressuale pure ci consegna.

 

In alcuni territori non è stato possibile per i nostri rappresentanti nelle commissioni di garanzia territoriali avere copia informatica dei calendari delle assemblee e neanche copia cartacea via fax o fotocopie, ma soltanto consentita la consultazione dei calendari dall’albo cartaceo che si trovava esposto in sede sindacale, costringendoli alla copia manuale ci centinaia se non migliaia di assemblee. Il caso più eclatante è BRESCIA, la seconda camera del lavoro d’Italia per n. di iscritti, dove certo i sistemi di comunicazione informatica non mancano e dove in una stessa settimana si svolgevano migliaia di assemblee in un territorio vastissimo.

 

Lo stesso problema si è verificato a PESCARA dove addirittura il nostro compagno non è stato convocato alla riunione di insediamento della commissione di garanzia e a cui non è stato comunicato nemmeno la sede di riunione della Commissione fino al 13 di gennaio, creando così la situazione abnorme per cui quasi tutte le assemblee della Filctem locale, che si sono svolte tra il 7 e il 13 gennaio non sono state neanche rese note ai rappresentanti del nostro documento, che non conoscevano neanche il luogo in cui avrebbe potuto essere consultabile il calendario assemblee.

 

Altro problema si è verificato a SIENA, dove per ottenere la possibilità di presenziare alle operazioni di voto in quei seggi in cui non erano presenti scrutatori del nostro documento, la nostra coordinatrice provinciale ha dovuto rivolgersi per ben due volte alla Commissione di garanzia nazionale per ottenere il rispetto di quanto previsto dal regolamento. E, non ostante ciò successivamente è stata attaccata dal segretario provinciale nonché presidente della commissione di garanzia territoriale ed accusata di voler compiere con la sua presenza al seggio azione contro CGIL, minando la fiducia verso gli scrutatori e la commissione elettorale.

 

Infine segnaliamo un episodio increscioso avvenuto all’assemblea dello SPI di Casoria dove il nostro relatore ha dovuto addirittura richiedere l’intervento della forza pubblica per poter presentare il documento 2, nonostante la presenza a quell’assemblea del segretario generale di Napoli in qualità di relatore del 1° documento.

 

Nella prevalenza di seggi territoriali, aperti su più giorni non essendo riusciti ad inserire rappresentanti del secondo documento nelle commissioni elettorali non siamo riusciti ad accedere agli elenchi degli iscritti e dei votanti e quando abbiamo chiesto verifica degli stessi in sede di commissioni di garanzia, questi dati non sempre erano disponibili e consultabili.

 

Gestione partigiana dei calendari

 

La pratica più diffusa per “scoraggiare“ la presenza dei nostri rappresentanti alle assemblee è stata la tecnica dello spostamento ripetuto delle assemblee, spesso decisa all’ultimo momento e motivata esclusivamente con impegni improrogabili dei relatori del del documentoi n. 1. Spesso i nostri rappresentanti che sono quasi tutti delegati/e di posti di lavoro o semplici iscritti/e si son dovuti prendere permessi lavorativi per recarsi in posti dove l’assemblea era stata rinviata all’ultimo momento, con nessun rispetto da parte dell’organizzazione per la fatica e il dispendio del dover continuamente prendere nuovi permessi, spesso neanche retribuiti o compensati dal sindacato.

 

Il continuo rinvio senza concordare le date per l’aggiornamento (al contrario di quanto previsto dal regolamento) ha creato in quasi tutti i territori il concentramento delle assemblee nelle ultime tre settimane con un accavallarsi di appuntamenti che hanno reso oltremodo difficile per la minoranza presidiare tante assemblee in contemporanea e sicuramente ha impedito ai nostri rappresentanti di trattenersi oltre le assemblee per le operazioni di voto, lasciando del tutto sguarniti i seggi che si sono protratti per molti giorni e sessioni successive.

 

(vedi quanto denunciato dai compagni d ella Campania, dal responsabile per il doc. 2 di Firenze, dai compagni della Filcams di Roma Lazio)

 

 

 

Funzionamento delle Commissioni di Garanzia

 

Le commissioni garanzia a tutti i livelli non hanno svolto il ruolo di terziarità che è stato loro affidato: centinaia e centinaia di ricorsi promossi dai nostri compagni sono stati quasi sempre respinti a maggioranza anche quando denunciavano palesi violazioni del regolamento e delle indicazioni procedurali della CNG.

 

La stessa commissione nazionale tuttavia non è intervenuta a censurare prassi che mettevano in discussione le indicazioni da essa già deliberate come, ad esempio, il non rispetto delle modalità di apertura dei seggi per categorie come la Fisac, la FLC o il Nidil, che è avvenuta in palese contraddizione con quanto previsto dalla comunicazione n.5 della CNG.

 

Così come non ha vigilato sul fenomeno del voto disgiunto dalle assemblee e posticipato di numerosi giorni(ben oltre il limite delle 48 ore previsto dal regolamento) come è avvenuto nel caso più eclatante della Pilkington di Lanciano dove alle centinaia di lavoratori presenti in assemblea non è stato fatto votare al termine dell’assemblea, rinviando il voto a oltre 10 gg dopo; o anche nel caso , più volte da noi denunciato, delle modalità di voto adottate dalla funzione pubblica nel comparto sanità di Genova, dove i seggi sono rimasti aperti anche fino ad una settimana dopo lo svolgimento delle relative assemblee,

 

Le commissioni hanno chiuso gli occhi su tutto: problemi procedurali, irregolarità di convocazione e di svolgimento e di voto.

 

Nostri rappresentanti e/ semplici iscritti hanno denunciato/ segnalato:

 

  • di non essere stati avvisati dello svolgimento di assemblee;

  • di aver assistito ad assemblee dove non è stato neanche menzionata l’esistenza del secondo documento;

  • assemblee dove è stato fatto votare a voto palese invece che segreto, altre dove il voto “segreto” avveniva sotto gli occhi vigili e il controllo “a uomo” dei funzionari sindacali rappresentanti il primo documento;

  • situazioni dove non era possibile controllare l’elenco dei votanti e altre in cui le assemblee erano fantasma, altre ancora dove ai nostri compagni vengono dati indirizzi di assemblee inesatti o fortemente lacunosi

 

Per quello che riguarda l’operato delle Commissioni, va segnalato ad esempio, il rigetto del nostro ricorso riguardo alla votazione all’Ilva di Taranto, di cui si è già parlato. Ebbene, la CGT e la CGR non hanno avuto l’ardire di negare i fatti da noi denunciati, e, allora, per respingere hanno utilizzato l’argomento del ricorso tardivo, asserendo che esso doveva essere presentato prima che venisse redatto il verbale della votazione contro la quale si ricorreva!

 

Anomalie vengono segnalate in Luxottica di Belluno, dove l’intera assemblea del pomeriggio non viene fatta votare ma il congresso viene approvato ugualmente perché nelle due della mattina si è già espressa oltre la metà degli aventi diritto (116/200) privando quindi arbitrariamente quasi il 50% degli aventi diritto della libera espressione del voto; a Parma viene segnalato che in un congresso risultano candidati per il primo documento componenti delle commissioni elettorali, e in altri due congressi vengono denunciati con prove documentali voti falsi, ma le rispettive commissioni territoriali e regionali non invalidano quei congressi e votazioni; a Bologna lo spoglio di tutti i seggi è avvenuto non nelle 24 h successive alle assemblee, come previsto dal regolamento, ma in contemporanea in un’unica data e centralizzato presso la sede sindacale con scrutatori e commissione elettorale diversa da quelle che hanno presieduto al voto, determinando in tal modo la rottura dell’unicità della responsabilità della commissione elettorale, principio irrinunciabile per la correttezza delle operazioni di voto !

 

A Siena la nostra coordinatrice provinciale ha proposto ricorso contro l’indebita aggiunta di ben 12 aziende al verbale di una società della Filcams, rilevando che il verbale non era coerente con quanto riportato nel calendario pervenuto alla CdGT, in cui non erano contemplate tutte le aziende successivamente inserite, ma le commissioni territoriale e regionale hanno ritenuto valido il voto delle sole due dipendenti presenti ( dipendenti di una sola azienda, quella per cui era stata convocata l’assemblea prevista nel calendario ufficiale,) al fine di assegnare i delegati anche per le restanti 12 aziende, la cui assemblee non risultavano precedentemente convocate!

 

Tutto questo e altro ancora viene legittimato dalle commissioni di garanzia, che invece sono solerti per invalidare la presenza dei nostri rappresentanti alle assemblee se non hanno comunicato il loro nome con 48 h di anticipo anche se le assemblee si svolgono in sedi sindacali o comunque in luogo pubblico (Pomezia e Napoli), nell’invalidare un’assemblea importante come la Sevel di Atessa ( la più grande fabbrica della Fiat) perché una candidata per la lista 2 si è iscritta in sede di congresso, o nell’invalidare un’assemblea della filcams di Treviso perché il funzionario si è dimenticato di darne notizia per tempo.

 

Tutti casi questi ultimi che vedevano il prevalere al congresso i voti al nostro documento.

 

Non rispetto del regolamento

 

In non poche situazioni sono state operate vere e proprie trasgressioni esplicite e plateali del regolamento.

 

Sono stati usati i cosiddetti seggi itineranti, cioè urne che per raccogliere più votanti non attendono che gli iscritti vadano a votare, ma rincorrono gli iscritti, in particolare quelli del tutto inconsapevoli dei temi di discussione, che per tagliare corto votano senza sapere su che cosa votano, di che si parla, quali sono le poste in gioco…

Una diffusissima trasgressione del regolamento è stata quella di non portare al voto (come invece prevede il regolamento) gli emendamenti al documento di maggioranza, registrando nei verbali un numero impressionante di involontari astenuti (astenuti senza neanche venga loro chiesto di votare…) che peraltro peseranno nella sostanza come contrari d’ufficio.

 

La democrazia in Italia (e un po’ dappertutto) non gode di buona salute; politici e imprenditori pensano ormai che il consenso democraticamente conquistato sia un lusso del passato, anzi un ingombro di cui disfarsi al più presto. A maggior ragione, dunque, la Cgil dovrebbe salvaguardare la propria democrazia interna, per far sì che, almeno all’interno delle proprie strutture, questa pratica continuio a vivere e a mostrare ai lavoratori il valore che rappresenta.

Al contrario, la vicenda congressuale in corso mostra drammaticamente e tristemente un pesante logoramento della democrazia formale che pure lo statuto proclama e, ancor più, una pratica di gestione del congresso che diffusamente, pur se non in modo generalizzato, calpesta la lettera e la sostanza di quella che fu l’ispirazione degli inventori della democrazia moderna: “Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente.”

Il congresso si basa su un regolamento varato dal Direttivo nella sua seduta del 2 dicembre.

Il regolamento (cioè il complesso di norme a cui dovrebbe attenersi tutto lo svolgimento del congresso) è stato approvato a maggioranza, con il dissenso di chi aveva presentato il documento n. 2. Guarda caso, si dice per un malaugurato refuso, nel fascicolo che riporta tutti i materiali congressuali (stampato il centinaia di migliaia di copie e diffuso (teoricamente) tra tutti gli iscritti, i regolamento viene descritto come approvato all’unanimità. Transeat.

Questo regolamento, confuso, ambiguo e lacunoso, dovrebbe essere “interpretato” (autenticamente) dalla Commissione di garanzia nazionale che viene eletta all’inizio dell’iter congressuale.

Tale commissione, si dice nel regolamento, in presenza di “due documenti alternativi, il numero dei componenti delle Commissioni di garanzia dovrà essere pari”, con ciò lasciando presumere una struttura paritaria, peraltro con la primazia della maggioranza garantita dal voto “doppio” del presidente.

Niente di tutto questo. Le commissioni di garanzia sono state tutte elette con una presenza testimoniale e residuale di rappresentanti della minoranza con la conseguenza che i numerosi ricorsi presentati dalla minoranza su trasgressioni rispetto al regolamento o addirittura allo statuto sono stati accolti solo in un esiguo numero, solo quando le forzature e le scorrettezze erano plateali.

Ma tutto ciò non basta. Non sono stati pochi i casi nei quali gli apparati che gestivano le assemblee di base non solo non rispettavano statuto e regolamento, ma, una volta richiamate dalle commissioni di garanzia chiamate in causa dalla minoranza congressuale, si rifutavano perfino di attenersi ai richiami e perseveravano nelle scorrettezze, certe della propria totale impunità.

Ma le scorrettezze, di cui daremo conto attraverso qualche caso emblematico, non costituiscono l’aspetto più significativo della gestione non democratica del congresso.

Intanto occorre dire che molto raramente le iscritte e gli iscritti erano informati del congresso , dei documenti sottoposti al voto, perfino dell’esistenza di due documenti alternativi. Perfino il fascicolo con i testi sottopostio al voto, pur se stampato in centinaia di migliaia di copie non è stato mai diffuso (se non in scarsissimi casi) tra gli iscritti. Nel migliore dei casi (comunque in poche occasioni) è stato distribuito al momento dell’assemblea, forse pensando che in un’ora (tanto dura l’assemblea) si potesse leggere un fascicolo di 80 pagine scritte, oltre che seguire le relazioni, partecipare al dibattito, votare i 12 emendamenti, votare i documenti e tornare sul proprio posto di lavoro…

Il congresso era e dovrebbe essere il momento in cui si consegna agli iscritti il potere di definire la linea politico-sindacale complessiva della Cgil e di eleggere liberamente i gruppi dirigenti incaricati di gestire quella linea. Al contrario, il gruppo dirigente centrale vede nel congresso una occasione per dare dimostrazione di una straordinaria buona salute del gigantesco apparato, per nascondere dietro mirabolanti risultati i problemi e le crescenti difficoltà. Parallelamente i gruppi dirigenti di categoria o territoriali, nella loro grande maggioranza, si impegnano in una gara ad emulazione a chi presenta una struttura più allineata e più efficiente nel portare acqua alla causa del nascondere quanto il re sia nudo.

A completare i quadro di un confronto stravolto nella sua veste democratica è precipitata sul dibattito congressuale la vicenda del cosiddetto “Testo unico sulla rappresentanza” del 10 gennaio, che ha incattivito il dibattito, e ha spinto l’apparato, nella sua grande maggioranza, ad attivarsi per far sì che l’occasione congressuale si trasformasse in un plebiscito a favore dell’accordo raggiunto. Dunque la forzatura delle regole è diventata la regola, come è di prassi quando si cerca di organizzare una consultazione dall’esito già scritto.

In questo dossier vogliamo documentare quanto è accaduto in numerose strutture durante la fase delle assemblee di base del congresso, riportando, seppure a titolo puramente esemplificativo, una serie di casi prodottisi.

 

Certificazione dei votanti

Nonostante la Cgil si sia dotata di un regolamento molto articolato per le procedure di svolgimento dei propri congressi di base, tuttavia nella realtà ha prevalso una pratica derogatoria per cui si può sicuramente dire che il congresso si sia svolto senza regole certe e univoche e, quel che è più grave, senza alcun rigore nella certificazione dei votanti.

Per ammissione della stessa commissione nazionale di garanzia, non è definita nel regolamento la procedura per l’attestazione dei votanti, quindi ogni modalità è stata ritenuta legittima.

Sono stati ritenuti validi verbali di seggi che allegano elenchi degli iscritti in cui i votanti sono segnati da una x o da una “spunta” a cura delle commissioni elettorali, senza alcuna firma da parte del votante, né altra attestazione obiettiva (registrazione documento o n. della tessera sindacale). La cosa è particolarmente scandalosa se si tiene presente che tale pratica è stata ritenuta sufficiente anche nel caso di seggi rimasti aperti per più giorni, spostati di sede e per assemblee svolte in contemporanea in più sedi che si riferivano ad uno stesso elenco di votanti su cui avevano competenza commissioni elettorali differenti tra loro!

Il caso più eclatante è quello delle leghe dello SPI, dove gli elenchi degli iscritti comprendono migliaia di pensionati e sicuramente non tutti conosciuti dai componenti i seggi e dove l’iscritto poteva votare indistintamente in ciascuna delle numerose assemblee in cui è stato articolato il congresso di base.

Se si tiene presente che quasi mai nei seggi era presente un rappresentante del nostro documento congressuale , è evidente che la procedura di voto non è sufficientemente trasparente e garantista.

A nostro ricorso in merito promosso nel Lazio è stato risposto che avevamo ragione sul piano del principio tanto che si invitavano le strutture “ per le prossime assemblee ad adottare la procedura della controfirma dei votanti sull’elenco degli aventi diritto” (peccato che quando ci è arrivata la risposta i congressi di base si fossero quasi conclusi ), ma al tempo stesso non si è ritenuto di invalidare i congressi che già si erano svolti senza controfirma dei votanti (!)

La pratica della semplice “spunta” a responsabilità esclusiva della commissione elettorale senza registrazione di alcun riscontro oggettivo del voto da parte del votante, è nei fatti la modalità prevalente nei congressi CGIL in tutte le categorie e territori, così che nessuno oggi in CGIL (neanche Susanna Camusso) può dare certificazione obiettiva dell’esito del voto, le schede elettorali non vengono allegate ai verbali e, a richiesta di verifica da parte di nostri componenti le commissioni di garanzia territoriali, spesso sono irreperibili e non consultabili.

Molti sono addirittura i verbali senza allegato l’elenco di votanti così che non è possibile nemmeno fare il riscontro tra votanti e schede scrutinate.

Se si aggiunge che in tutti i congressi e/o i seggi in cui non era presente un nostro rappresentante il n. dei votanti risulta essere enormemente superiore a quello delle assemblee e seggi in cui eravamo presenti, il sospetto di voti manipolati e/o gonfiati è fortissimo.

Due esempi per tutti :alla Fisac di Pisa abbiamo rilevato che nelle assemblee cui c’eravamo ha votato il 42% degli aventi diritto, dove non eravamo presenti il 94%, nel comprensorio di Napoli (tutte le categorie) sono state presenziate da noi 297 assemblee (poco meno della metà) con una partecipazione al voto media del 18,73% della platea congressuale iscritta, mentre dove non eravamo presenti, la partecipazione al voto è stata del 98,2% e il primo documento raccoglie il 100% dei voti espressi.

Non sono poi mancati casi eclatanti di vero e proprio falso:

a Roma un’assemblea territoriale della FILCAMS (quindi comprendente più ditte), registra 351 iscritti, 351 votanti, tutti al doc 1, tale assemblea, che ha votato con gli stessi numeri a voto palese per gli emendamenti, si sarebbe svolta in un locale del sindacato che può accogliere meno di 50 persone, in meno di un’ora di tempo avrebbe esaurito tutte le procedure di assemblea e di voto, e avrebbe visto dileguarsi un così imponente numero di persone, sicché il nostro delegato, avvisato in ritardo, ma arrivato prima della prevista ora di conclusione dell’assemblea ha trovato il locale deserto e nessuna traccia dei convenuti!

A Parma in un’assemblea della FP si è riscontrata una firma falsa sull’elenco dei votanti, attestata da dichiarazione autografa della lavoratrice interessata, confermata dai componenti il seggio elettorale, e tuttavia la commissione di garanzia locale e, successivamente, anche quella regionale emiliana hanno ritenuto di validare a maggioranza il risultato del voto di quel congresso che conteneva con tutta evidenza anche la scheda votata da qualcun altro al posto della lavoratrice! All’impunità non c’è limite…

Sempre nella stessa città la segreteria della Fiom ha denunciato il voto plebiscitario per il doc. 1 in un’azienda dove risultavano assenti degli iscritti che invece sono segnati come votanti nel verbale di voto.

Nella lega SPI di Frattamaggiore (Napoli) risulta che in 120 minuti avrebbero votato 520 iscritte/i, dunque una media di 4,2 persone al minuto… Ricorso naturalmente respinto, senza ulteriori motivazioni.

Sempre in provincia di Napoli, il congresso della Lega SPI di Calvizzano non si è mai tenuto, ma esiste un verbale regolarmente firmato e convalidato dalla CGT… Ricorso, indovinate, accolto o respinto?

In tutt’altro territorio (perfino extra nazionale) il congresso della “aggregazione distretti esteri” dello SPI, che riunisce le/gli iscritte/i alla Cgil pensionati della Croazia, nelle 4 assemblee tenutesi avrebbero votato 1.052 persone, recandosi presso i seggi da tutta la Croazia, percorrendo a volte, dalla loro residenza al seggio, svariate centinaia di chilometri. La partecipazione di questi pensionati è stata del 72%, a fronte della partecipazione raggiunta dallo SPI di Trieste (provincia tra le più piccole d’Italia) dove è stata 10 volte minore (7%)!

All’ospedale Cardarelli di Napoli, nel giro di pochi giorni gli iscritti aventi diritto al voto da 478 diventano 1400, con un travaso di voti da tutte le altre sigle sindacali che ha tanto il sapore di “prestito per il Congresso“. A fronte di denuncia autografa di un gruppo di iscritti stiamo ancora aspettando di sapere se il congresso viene invalidato o meno.

In un’assemblea della Filt a Pisa, di fronte ai 2 relatori erano presenti 10 lavoratori su 126 iscritti. Poi, però, nel voto successivo risultano votanti 119 iscritti (tutti per il documento 1). Ad una verifica sui votanti almeno due lavoratori, trascritti come votanti hanno esplicitamente dichiarato di non aver mai votato. Nonostante questa evidente falsificazione la Commissione di Garanzia di Pisa non ha ritenuyo di dover invalidare il risultato dell’assemblea.

 

Impedimenti al 2° relatore

L’articolo 6.d dello Statuto recita che “cardine della vita della Cgil è il diritto al dissenso, la tutela delle minoranze, la salvaguardia della pari dignità delle opinioni a confronto prima della decisione e in occasione del congresso. nella vita anche non recente della Cgil questo “cardine” è stato spesso violato o, comunque, scarsamente rispettato.

Ma in questo XVII congresso è stato completamente e sfrontatamente scardinato in numerose situazioni.

Il regolamento afferma che questa “tutela delle minoranze” si realizza attraverso il “diritto di tali documenti ad essere illustrati con pari dignità nelle assemblee di base da iscritti delegati dai proponenti”. Le strutture, per consentire ciò, “garantiranno le necessarie agibilità”, cioè metteranno in condizione i relatori, in particolare quelli di minoranza, di poter accedere ai locali dove si svolge l’assemblea.

Ecco, è proprio questo che in parecchi casi non è stato fatto, impedendo a molti relatori di presenziare alle assemblee perché non sono stati concessi loro i necessari permessi di assentarsi dal lavoro, visto che la stragrande maggioranza dei relatori del documento n. 2 non erano dirigenti sindacali a tempo pieno, ma semplici iscritte o iscritti, al massimo delegati di posto di lavoro.

Ma in qualche caso le strutture sono andate oltre. Nonostante la presenza del relatore ai cancelli dell’azienda all’ora dell’assemblea, non pochi relatori di maggiornaza hanno operato concretamente per impedire loro l’ingresso alla sala dell’assemblea. In qualche caso questo è stato addirittura teorizzato.

Nonostante la Commissione di garanzia nazionale si sia pronunciata ribadendo il diritto alla presenza della minoranza, quanche struttura ha ignorato questo pronunciamento e ha continuato a operare per garantirsi assemblee a senso unico.

Emblematica, ma solo esemplificativa di un problema di dimensioni molto maggiori, è stata la situazione prodottasi in alcune categorie del territorio di Brescia, dove sistematicamente al relatore di minoranza è stato impedito letteralmente l’accesso ai locali dove si svolgevano le assemblee.

E’ stato segnalato che a Pisa in assemblee nelle quali non era presente il relatore del documento n. 2, il relatore del documento di maggioranza affermava agli iscritti presenti che non sarebbe stato possibile votare per il documento di minoranza proprio in forza dell’assenza del relativo relatore.

 

Mancanza di agibilità

Come si diceva a entrambi i documenti vanno garantite le agibilità e la possibilità di sviluppare in ogni assemblea una relazione sui diversi documenti. Ma le condizioni di partenza sono tutt’altro che paritarie. E non solo per motivi quantitativi. Cioè il problema non è solo quello obiettivo creato dalla maggiore quantità di iscritti decisi a sostenere il documento di maggioranza.

La questione vera è che la quasi totalità dei relatori del documento di maggioranza sono funzionari a tempo pieno della Cgil, dunque con tutta la disponibilità di tempo di mobilità, di rimborsi, ecc. che non c’è invece per i relatori di minoranza.

Dunque, tante, troppe assemblee si sono svolte senza la presenza di rappresentanti della minoranza, cosa che ha significato la mancanza della relazione sul documento di minoranza ma anche (e soprattutto) la impossibilità di verificare la correttezza dello svolgimento dell’assemblea e in particolare delle operazioni di voto e di scrutinio.

 

Congressi con risultati inattendibili

Troppi congressi nei quali la presenza dei relatori di minoranza non è stata consentita sono terminati con risultati inattendibili, con il 100% degli iscritti che partecipava al voto (le aziende dovrebbero gioire: neanche un assente per malattia…), con il 100% che votava il primo documento.

E’ ovvio che sitratta di una deduzione statistica.

Come mai in nessuna delle assemblee nelle quali era presente il relatore di minoranza la partecipazione ha superato il livello del 40-50%, mentre nelle grandi assemblee a cui il relatore di minoranza non è stato messo in grado di presenziare tutti gli iscritti hanno partecipato, votato e votato per il documento 1?

Esemplare è il caso dell’Ilva di Taranto dove nelle 24 assemblee, anche alla presenza del relatore del documento n. 2, si è scelto di non votare né in modo palese né in modo segreto, dichiarando che l’urna sarebbe stata collocata nella sede dell’Esecutivo Fiom di fabbrica. Scelta che, in ogni caso, risultava molto discutibile al fine di favorire la partecipazione, in quanto tale sede è distante chilometri da molti reparti e quei lavoratori che avessero voluto recarsi a votare avrebbero perduto il passaggio dei pullman aziendali che a fine turno li accompagnano alle porte.

Invece, al momento della revisione dei verbali, risultava che 978 lavoratori, su 978 iscritti (neanche uno ammalato!) avrebbero votato a scrutinio palese (sic! dove? quando?) e (guarda caso) tutti per il documento n. 1.

 

Un secondo esempio. Nel Sindacato Pensionati della Cgil di Genova, i votanti passano dai 4.816 del Congresso di quattro anni fa ai/alle 7.474 di oggi, con un aumento di ben 2.658 votanti, cioè un aumento percentuale del 55,2 %!

 

Il motivo di questo afflato partecipativo riteniamo non sia dovuto ad una crescente autorevolezza dello SPI, vista l’incapacità di questa organizzazione (come dell’intera confederazione!) di tutelare efficacemente i pensionati (di Genova come di tutta Italia) dalla povertà crescente. Abbiamo il forte sospetto che alla base ci sia stata la impossibilità delle compagne e dei compagni di Genova di presidiare le numerosissime assemblee precongressuali e le altrettanto numerose urne di votazione. Infatti i compagni avevano scelto di privilegiare i congressi dei lavoratori attivi, piuttosto che quelle dello SPI. Ovviamente non per sottovalutazione delle problematiche delle pensionate e dei pensionati, ma solo per l’evidente disparità di forze.

 

C’è inoltre da notare che le votazioni sono state abbinate alla consulenza offerta sul pagamento della cosiddetta mini-IMU. Agli inconsapevoli pensionati che si recavano nelle sedi sindacali per farsi calcolare la tassa da pagare veniva proposto di mettere una croce sulla scheda. Et voilà.

 

Ma non è questo il dato più rilevante. A Milano, tutte le categorie (tranne FLC, Fisac e SPI) dichiarano una partecipazione al voto superiore al 60%, con punte fino al 78,31% (Filctem), un dato assolutamente inattendibile, nella fase attuale da tutti riconosciuta come di diffusa disaffezione. Ma almeno due categorie (Fillea e Flai) fanno di più di tutte le altre e dichiarano che rispettivamente il 77,72 e addirittura l’84,60 non solo hanno votato per il congresso a scrutinio segreto, immaginiamo, come prescritto dal regolamento, ma hanno perfino votato (ovviamente al 95% contro) sugli emendamenti nazionali. Come è evidente, visto che gli zelanti e immaginifici funzionari di queste due categorie hanno certamente studiato a fondo il regolamento, sanno bene che il voto sugli emendamenti era necessariamente a scrutinio palese, dunque in assemblea. Perciò significa che l’84% o anche solo il 77% degli iscritti di queste strutture hanno partecipato alle assemblee, votando in migliaia fino all’ultimo uomo diligentemente per 14 volte favorevole, o contrario, o astenuto gli emendamenti.

 

Francamente dire che questo risultato possa apparire attendibile rasenta la follia oppure l’arroganza.

 

Infine, come si è detto, sono numerosissime le assemblee di base in cui i funzionari di maggioranza hanno operato perché non fosse presente il relatore del secondo documento. Ebbene, il più delle volte, queste assemblee, al riparo da sguardi indiscreti, si sono concluse con risultati strabilianti: il 100% degli iscritti hanno partecipato all’assemblea, il 100% dei presenti hanno votato e il 100% dei votanti ha votato, guarda caso, per il primo documento. Queste mirabolanti percentuali di partecipazione al voto sono del tutto diverse da quelle delle assemblee nelle quali i nostri relatori sono stati presenti, dove mediamente hanno partecipato, con esiti di voto variabili, attorno ad un più attendibile 20-25% degli iscritti, con punte del 40%, ma mai di più.

 

Nessuna pari dignità

 

La pari dignità tra i due documenti congressuali è affermata nel regolamento congressuale e in tutti gli atti ufficiali che riferiscono al congresso e riaffermata più volte dalle comunicazioni della Commissione nazionale di garanzia, tuttavia la realtà del congresso è stata molto diversa, nella pratica siamo stati tollerati come indesiderati ospiti ed osteggiati e messi in difficoltà nel poter esercitare il diritto di rappresentanza che il regolamento congressuale pure ci consegna.

 

In alcuni territori non è stato possibile per i nostri rappresentanti nelle commissioni di garanzia territoriali avere copia informatica dei calendari delle assemblee e neanche copia cartacea via fax o fotocopie, ma soltanto consentita la consultazione dei calendari dall’albo cartaceo che si trovava esposto in sede sindacale, costringendoli alla copia manuale ci centinaia se non migliaia di assemblee. Il caso più eclatante è BRESCIA, la seconda camera del lavoro d’Italia per n. di iscritti, dove certo i sistemi di comunicazione informatica non mancano e dove in una stessa settimana si svolgevano migliaia di assemblee in un territorio vastissimo.

 

Lo stesso problema si è verificato a PESCARA dove addirittura il nostro compagno non è stato convocato alla riunione di insediamento della commissione di garanzia e a cui non è stato comunicato nemmeno la sede di riunione della Commissione fino al 13 di gennaio, creando così la situazione abnorme per cui quasi tutte le assemblee della Filctem locale, che si sono svolte tra il 7 e il 13 gennaio non sono state neanche rese note ai rappresentanti del nostro documento, che non conoscevano neanche il luogo in cui avrebbe potuto essere consultabile il calendario assemblee.

 

Altro problema si è verificato a SIENA, dove per ottenere la possibilità di presenziare alle operazioni di voto in quei seggi in cui non erano presenti scrutatori del nostro documento, la nostra coordinatrice provinciale ha dovuto rivolgersi per ben due volte alla Commissione di garanzia nazionale per ottenere il rispetto di quanto previsto dal regolamento. E, non ostante ciò successivamente è stata attaccata dal segretario provinciale nonché presidente della commissione di garanzia territoriale ed accusata di voler compiere con la sua presenza al seggio azione contro CGIL, minando la fiducia verso gli scrutatori e la commissione elettorale.

 

Infine segnaliamo un episodio increscioso avvenuto all’assemblea dello SPI di Casoria dove il nostro relatore ha dovuto addirittura richiedere l’intervento della forza pubblica per poter presentare il documento 2, nonostante la presenza a quell’assemblea del segretario generale di Napoli in qualità di relatore del 1° documento.

 

Nella prevalenza di seggi territoriali, aperti su più giorni non essendo riusciti ad inserire rappresentanti del secondo documento nelle commissioni elettorali non siamo riusciti ad accedere agli elenchi degli iscritti e dei votanti e quando abbiamo chiesto verifica degli stessi in sede di commissioni di garanzia, questi dati non sempre erano disponibili e consultabili.

 

Gestione partigiana dei calendari

 

La pratica più diffusa per “scoraggiare“ la presenza dei nostri rappresentanti alle assemblee è stata la tecnica dello spostamento ripetuto delle assemblee, spesso decisa all’ultimo momento e motivata esclusivamente con impegni improrogabili dei relatori del del documentoi n. 1. Spesso i nostri rappresentanti che sono quasi tutti delegati/e di posti di lavoro o semplici iscritti/e si son dovuti prendere permessi lavorativi per recarsi in posti dove l’assemblea era stata rinviata all’ultimo momento, con nessun rispetto da parte dell’organizzazione per la fatica e il dispendio del dover continuamente prendere nuovi permessi, spesso neanche retribuiti o compensati dal sindacato.

 

Il continuo rinvio senza concordare le date per l’aggiornamento (al contrario di quanto previsto dal regolamento) ha creato in quasi tutti i territori il concentramento delle assemblee nelle ultime tre settimane con un accavallarsi di appuntamenti che hanno reso oltremodo difficile per la minoranza presidiare tante assemblee in contemporanea e sicuramente ha impedito ai nostri rappresentanti di trattenersi oltre le assemblee per le operazioni di voto, lasciando del tutto sguarniti i seggi che si sono protratti per molti giorni e sessioni successive.

 

(vedi quanto denunciato dai compagni d ella Campania, dal responsabile per il doc. 2 di Firenze, dai compagni della Filcams di Roma Lazio)

 

 

 

Funzionamento delle Commissioni di Garanzia

 

Le commissioni garanzia a tutti i livelli non hanno svolto il ruolo di terziarità che è stato loro affidato: centinaia e centinaia di ricorsi promossi dai nostri compagni sono stati quasi sempre respinti a maggioranza anche quando denunciavano palesi violazioni del regolamento e delle indicazioni procedurali della CNG.

 

La stessa commissione nazionale tuttavia non è intervenuta a censurare prassi che mettevano in discussione le indicazioni da essa già deliberate come, ad esempio, il non rispetto delle modalità di apertura dei seggi per categorie come la Fisac, la FLC o il Nidil, che è avvenuta in palese contraddizione con quanto previsto dalla comunicazione n.5 della CNG.

 

Così come non ha vigilato sul fenomeno del voto disgiunto dalle assemblee e posticipato di numerosi giorni(ben oltre il limite delle 48 ore previsto dal regolamento) come è avvenuto nel caso più eclatante della Pilkington di Lanciano dove alle centinaia di lavoratori presenti in assemblea non è stato fatto votare al termine dell’assemblea, rinviando il voto a oltre 10 gg dopo; o anche nel caso , più volte da noi denunciato, delle modalità di voto adottate dalla funzione pubblica nel comparto sanità di Genova, dove i seggi sono rimasti aperti anche fino ad una settimana dopo lo svolgimento delle relative assemblee,

 

Le commissioni hanno chiuso gli occhi su tutto: problemi procedurali, irregolarità di convocazione e di svolgimento e di voto.

 

Nostri rappresentanti e/ semplici iscritti hanno denunciato/ segnalato:

 

  • di non essere stati avvisati dello svolgimento di assemblee;

  • di aver assistito ad assemblee dove non è stato neanche menzionata l’esistenza del secondo documento;

  • assemblee dove è stato fatto votare a voto palese invece che segreto, altre dove il voto “segreto” avveniva sotto gli occhi vigili e il controllo “a uomo” dei funzionari sindacali rappresentanti il primo documento;

  • situazioni dove non era possibile controllare l’elenco dei votanti e altre in cui le assemblee erano fantasma, altre ancora dove ai nostri compagni vengono dati indirizzi di assemblee inesatti o fortemente lacunosi

 

Per quello che riguarda l’operato delle Commissioni, va segnalato ad esempio, il rigetto del nostro ricorso riguardo alla votazione all’Ilva di Taranto, di cui si è già parlato. Ebbene, la CGT e la CGR non hanno avuto l’ardire di negare i fatti da noi denunciati, e, allora, per respingere hanno utilizzato l’argomento del ricorso tardivo, asserendo che esso doveva essere presentato prima che venisse redatto il verbale della votazione contro la quale si ricorreva!

 

Anomalie vengono segnalate in Luxottica di Belluno, dove l’intera assemblea del pomeriggio non viene fatta votare ma il congresso viene approvato ugualmente perché nelle due della mattina si è già espressa oltre la metà degli aventi diritto (116/200) privando quindi arbitrariamente quasi il 50% degli aventi diritto della libera espressione del voto; a Parma viene segnalato che in un congresso risultano candidati per il primo documento componenti delle commissioni elettorali, e in altri due congressi vengono denunciati con prove documentali voti falsi, ma le rispettive commissioni territoriali e regionali non invalidano quei congressi e votazioni; a Bologna lo spoglio di tutti i seggi è avvenuto non nelle 24 h successive alle assemblee, come previsto dal regolamento, ma in contemporanea in un’unica data e centralizzato presso la sede sindacale con scrutatori e commissione elettorale diversa da quelle che hanno presieduto al voto, determinando in tal modo la rottura dell’unicità della responsabilità della commissione elettorale, principio irrinunciabile per la correttezza delle operazioni di voto !

 

A Siena la nostra coordinatrice provinciale ha proposto ricorso contro l’indebita aggiunta di ben 12 aziende al verbale di una società della Filcams, rilevando che il verbale non era coerente con quanto riportato nel calendario pervenuto alla CdGT, in cui non erano contemplate tutte le aziende successivamente inserite, ma le commissioni territoriale e regionale hanno ritenuto valido il voto delle sole due dipendenti presenti ( dipendenti di una sola azienda, quella per cui era stata convocata l’assemblea prevista nel calendario ufficiale,) al fine di assegnare i delegati anche per le restanti 12 aziende, la cui assemblee non risultavano precedentemente convocate!

 

Tutto questo e altro ancora viene legittimato dalle commissioni di garanzia, che invece sono solerti per invalidare la presenza dei nostri rappresentanti alle assemblee se non hanno comunicato il loro nome con 48 h di anticipo anche se le assemblee si svolgono in sedi sindacali o comunque in luogo pubblico (Pomezia e Napoli), nell’invalidare un’assemblea importante come la Sevel di Atessa ( la più grande fabbrica della Fiat) perché una candidata per la lista 2 si è iscritta in sede di congresso, o nell’invalidare un’assemblea della filcams di Treviso perché il funzionario si è dimenticato di darne notizia per tempo.

 

Tutti casi questi ultimi che vedevano il prevalere al congresso i voti al nostro documento.

 

Non rispetto del regolamento

 

In non poche situazioni sono state operate vere e proprie trasgressioni esplicite e plateali del regolamento.

 

Sono stati usati i cosiddetti seggi itineranti, cioè urne che per raccogliere più votanti non attendono che gli iscritti vadano a votare, ma rincorrono gli iscritti, in particolare quelli del tutto inconsapevoli dei temi di discussione, che per tagliare corto votano senza sapere su che cosa votano, di che si parla, quali sono le poste in gioco…

Una diffusissima trasgressione del regolamento è stata quella di non portare al voto (come invece prevede il regolamento) gli emendamenti al documento di maggioranza, registrando nei verbali un numero impressionante di involontari astenuti (astenuti senza neanche venga loro chiesto di votare…) che peraltro peseranno nella sostanza come contrari d’ufficio.

 

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