Cosa è l’Invalsi
Scriviamo queste righe introduttive per coloro che non lavorando o usufruendo della scuola non conoscono l’argomento. Per gli addetti ai lavori, questa parte può essere saltata e si può procedere con gli altri capitoli.
A maggio, nelle aule scolastiche, dalle elementari alle superiori, arriva ormai da anni il periodo dei test invalsi che si tengono in anni specifici e riguardano solo alcune materie (italiano, matematica, scienze). Dopo una fase di sperimentazione, l’Invalsi è attualmente strutturato per tutti gli istituti scolastici e, nel caso della scuola media, fa parte della prova d’esame.
I test a crocette con risposta multipla, vengono preparati a livello centrale da un ente apposito al ministero, con tanto di gruppo direttivo, lavoratori stipendiati e somministratori (sono coloro che vanno in scuole campione e controllano le procedure di svolgimento nelle classi). I test sono domande spesso con giochi di parole o trabocchetti, volendo essere buoni si potrebbe dire che si tratta di test in grado di valutare lo sviluppo di un ragionamento, volendo essere più critici, si può parlare di test totalmente staccati dal contesto delle materie atti a valutare una presunta capacità di orientamento. Non sono previsti test particolari per i ragazzi con disturbi di apprendimento o handicap formativi. Per questi ragazzi, l’alternativa è stare a casa o cambiare aula al momento del test, a meno che gli insegnanti di sostegno non decidano di proporre prove individualizzate da non trasmettere al ministero.
I risultati vengono trasmessi (dopo correzione degli insegnanti) all’ente centrale che li elabora e li usa per qualche motivo non ben chiaro.
Messa in questo modo, può sembrare che il test invalsi sia una delle tante perdite di tempo che affollano il periodo scolastico. Una seccatura per famiglie, studenti ed insegnanti che non merita neppure di essere contestata. In realtà, dietro l’Invalsi si cela una buona parte del progetto di distruzione della scuola pubblica che prosegue oramai da anni. Progetto sostenuto in modo unitario da tutti i governi che si sono alternati negli ultimi anni, assolutamente non contrastato dai sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil) o coorporativi (Snals). Le uniche forme di opposizione sono arrivate dai sindacati di base, dalle associazioni dei precari, da alcuni gruppi di genitori e dagli studenti organizzati. Questo testo è uno strumento per chiunque voglia approfondire una questione, apparentemente tecnica e marginale che, in realtà, riguarda il futuro dell’istruzione in Italia.
Introduzione
Quando agli inizi degli anni ’90, con il primo Governo Prodi, il ministero della Pubblica Istruzione passò nelle mani di Luigi Berlinguer, il popolo degli insegnanti statali ebbe uno dei suoi, non rari, momenti di euforia e di illusione. Per la prima volta dal dopoguerra un ministro di sinistra, tra l’altro proveniente dall’ex PCI, aveva il pallino delle necessarie riforme del mondo dell’istruzione, da sempre terreno di comando della Democrazia Cristiana e del mondo cattolico. L’euforia durò pochissimo e la realtà si occupò di dimostrare che, proprio dalla sinistra, sarebbe partito l’attacco al mondo della scuola pubblica. In quegli anni era cambiato il mondo, con il crollo del sistema sovietico, lo sviluppo di un nuovo periodo di finanziarizzazione dell’economia e l’avvio del processo di integrazione europeo che da lì a poco arriverà all’accelerazione dei trattati di Maastricht fino all’unione monetaria. Il mondo dell’istruzione, dal dopoguerra fino ad allora, aveva accompagnato una società le cui caratteristiche erano pressoché costanti, ma i cambiamenti del contesto sociale stavano rimettendosi in moto a velocità sostenuta. Ciò che accadrà nell’economia, nella politica e nella società da quel momento in poi non poteva non avere come corollario il tentativo di cambiare profondamente anche il mondo dell’istruzione. La parabola del ministro Berlinguer fu velocissima. Come tutti i neofiti tentò il passo più lungo della gamba e incappò nella protesta contro il “concorsaccio”, che ne causò l’eclissi politica. Quella partita, che il Governo perse, fu il primo tentativo di scardinare l’uguaglianza salariale nel mondo della scuola introducendo differenziazioni salariali in base ad un presunto merito. Berlinguer fu sconfitto in quella battaglia da una straordinaria mobilitazione dei docenti e del sindacato di base, ma lasciò ai posteri l’autonomia delle scuole: il vero frutto avvelenato, ovvero il grimaldello per le future riforme.
Berlinguer fu sostituito dal linguista Tullio De Mauro, che scelse effettivamente un profilo più basso, ma continuò l’opera del suo predecessore introducendo per la prima volta concetti che erano alla base del pensiero confindustriale sulla scuola.
In questo quadro, nella scuola italiana viene introdotto il sistema di valutazione Invalsi, prima a livello sperimentale, poi in maniera ogni volta più strutturata. Oggi i test Invalsi si tengono in ogni ordine di scuola, sono diventati una prova dell’esame di terza media, sono il cuore dei ragionamenti sulla valutazione del sistema dell’istruzione.
Una rilevazione anonima
Il gioco sul tema dell’Invalsi va molto al di là della propaganda, è spesso un meccanismo nascosto che non esita a sostanziarsi in piccole e grandi bugie. Una di queste, la più lampante, è il presunto anonimato dei test. Chiunque conosca il meccanismo, sa che non è vero: il ministero fornisce ad ogni alunno classificato come studente un codice che la segreteria di ogni singola scuola assegna in mascherina ad un nome e ad un cognome. Nelle prove compare solo il codice, ma per la scuola è facilissimo risalire ai nomi. Le mascherine vengono poi inviate all’Invalsi che non ha nessuna difficoltà a identificare i singoli. Il processo quindi non ha nulla di anonimo; è possibile che né scuola, né Invalsi abbiano voglia di assegnare nomi ai codici ma, volendo possono farlo senza nessuna difficoltà. Raccontare la bugia dell’anonimato è quindi significativo di una volontà di celare qualcosa. D’altra parte, in un impeto di chiarezza, si parla dell’Invalsi come un metodo per valutare e comparare i progressi dello studente in spazi di tempo stabiliti, in punti di snodo del percorso scolastico: come si possa fare in maniera anonima è un mistero oltre che palesemente illogico.
L’impossibile valutazione
E’ difficile capire cosa voglia valutare l’Invalsi. Ogni volta appare diversa la reale motivazione che sta dietro ai test. Per alcuni sarebbe un sistema generale per ottenere dati sull’efficacia del sistema scolastico. Per altri è un modo per giudicare l’efficacia delle scuole dell’autonomia, per altri un modo per esprimere un giudizio sugli insegnanti, allo scopo di premiarne il merito e le capacità. In realtà l’Invalsi è tutte queste cose insieme. Che queste cose si possano valutare, o che non vengano già valutate in altro modo è dato per scontato. D’altra parte è difficilissimo sostenere di fonte ad un normale cittadino non lavoratore della scuola che gli insegnanti non debbano essere valutati, o per lo meno in base a questi parametri. Sono decenni che sul mondo della scuola e dei lavoratori vengono scaricate campagne denigratorie che, di volta in volta, li dipingono come fannulloni, privilegiati etc…Far pensare che questa “casta” non voglia essere giudicata è facilissimo e trova immediata simpatia da parte di altri lavoratori abituati quotidianamente a subire giudizi.
In realtà il processo educativo è complicato e un docente non è un lavoratore di catena di cui alla fine conti i pezzi prodotti. Il lavoro del docente non può prescindere dalle relazioni educative che si instaurano con gli studenti. Tutto questo è invalutabile. Questi concetti sono talmente evidenti, da essere risaputi anche da coloro che propongono la valutazione. In realtà, non è questo il punto: si vogliono premiare alcuni docenti in base a dei parametri, non in base al merito, ma per introdurre elementi gerarchici nella scuola e dividere la categoria. In questo senso il meccanismo di premialità è un meccanismo di differenziazione come il meccanismo del precariato, come le differenziazioni salariali legate alle funzioni obiettivo dell’autonomia. I docenti di classi e scuole nelle quali i risultati dei quiz Invalsi saranno inferiori alla media nazionale dovranno seguire addestramenti coatti per “imparare” meglio la didattica a indovinelli. E per perseguire al meglio, l’obiettivo dell’aziendalizzazione scolastica, potranno svolgere tale “recupero” anche “presso imprese all’interno del contesto aziendale, al fine di promuovere lo sviluppo professionale specifico dei docenti”.
Il test Invalsi è solo un evidente pretesto: non valuta l’insegnante perché è totalmente inadatto a farlo, serve a tutt’altri obiettivi.
L’Invalsi non è soltanto un metodo di valutazione, ma una procedura in grado di determinare programmi, ciò che viene insegnato e le modalità di insegnamento. Da qualche anno le case editrici propongono in adozione libri per la preparazione ai test.
Non solo, anche i libri di testo seguono un procedimento di semplificazione e adattamento della didattica ai test. D’altronde, già nella scuola media, il test invalsi è prova d’esame quindi la preparazione è d’obbligo. In realtà non è soltanto l’aggravio di spese per la famiglia ad interessarci, ma la forzatura didattica che l’Invalsi si porta dietro.
Ogni ministro o esperto di istruzione che pontifica dai media negli ultimi anni sul tema dell’istruzione, usa una formuletta magica per descrivere le nuove frontiere dell’istruzione: la didattica per competenze. Cosa sia non lo sa nessuno, chiunque frequenti corsi di aggiornamento sul tema o provi ad informarsi si trova di fronte a spiegazioni completamente contraddittorie. La parte più succosa (e di per sé condivisibile) è il supposto superamento della scuola nozionistica. In realtà, il concetto di competenza prevede che gli studenti debbano imparare ad applicare quanto appreso; per cui la didattica si dovrebbe trasformare da trasmissione del sapere e del senso critico in addestramento a risolvere problemi con elevato tasso di flessibilità. I problemi vengono forniti direttamente dai test invalsi e si risolvono in quiz a crocette. A risposta chiusa.
L’invalsi e il mondo del lavoro
La scuola è il principale mezzo con il quale una società prepara i suoi cittadini a vivere al suo interno. Questo significa che gli insegna a lavorare, ma anche a rapportarsi con gli altri, con le istituzioni, con il proprio passato e li prepara verso il futuro. In questo senso la scuola non può mai essere staccata da ciò che le accade intorno. Gli studenti di oggi saranno cittadini attivi e lavoratori di domani, sono figli di condizioni sociali in evoluzione, vengono addestrati da insegnanti che appartengono a generazioni più vecchie di loro. Tutto questo crea una tensione tra ciò che attende le future generazioni e ciò che gli viene insegnato.
Il conflitto tra insegnanti e studenti non è, o non dovrebbe essere, uno scontro generazionale passeggero, ma il fondamentale punto di partenza per la creazione di una coscienza critica. In questo senso la scuola dovrebbe anzitutto formare non solo futuri lavoratori, ma futuri cittadini in grado di pensare a una futura società diversa o quantomeno suscettibile di modifiche.
Da più di vent’anni il mondo del lavoro si è spostato verso condizioni sempre più precarie e dequalificanti. La scuola non ha più la funzione primaria di fornire tecnici per le industrie o addetti alle catene di produzione. Oggi la scuola è una immensa fabbrica di precari (a diversi gradi di istruzione), un generatore di figure lavorative flessibili che devono essere pronte a proiettarsi in una società dove la forza lavoro è dequalificata. In questo senso, la scuola non deve formare senso critico, né tramettere conoscenze, ma essere una palestra per l’adattabilità sociale ai parametri imposti dal capitale. Non importa più quanto gli studenti sanno, ma come si adattano a subire e obbedire alle varie situazioni che qualcuno gli impone, situazioni da risolvere senza nessuna possibilità di crearne diverse.
Conclusione
L’invalsi prepara il futuro di una scuola privata.
Non stupiamoci quindi se l’Invalsi è stato progettato fin dall’epoca del trattato europeo di Lisbona, in cui l’Unione Europea smette di stilare solo parametri macroeconomici e comincia ad interessarsi di lavoro, di servizi pubblici, di politiche fiscali e di scuola. In quella sede l’Unione Europea fa il salto dall’economia pura alla politica tout court ed individua come la società debba adattarsi ai cambiamenti che il nuovo mondo impone.
Se c’è un nuovo modo di produzione basato sulla dittatura delle banche e delle multinazionali allora anche la scuola dovrà adattarsi. Adattare la scuola è un investimento in prospettiva perché significa far adattare alle mutate (e immutabili) condizioni i nuovi cittadini. Ma la scuola dovrebbe essere il contrario dell’adattamento e nelle società democratiche si auspica che funzioni da stimolo critico.
Per ristrutturare la scuola occorre innanzitutto punire chi nella scuola lavora e viene considerato portatore di privilegi. Per questo va aumentato il precariato, va generalizzato, vanno diminuiti gli stipendi di fatto (con il blocco dei contratti e degli scatti), va impedito il pensionamento dei docenti, va aumentato il numero degli alunni per classe, vanno ridotti i finanziamenti, va ridotto il ruolo dell’insegnante, che deve diventare un esecutore di programmi standard valutabili con test a crocette.
Però occorre punire anche le famiglie che ancora mandano i figli alla scuola pubblica.Occorre che paghino di più per andare in scuole fatiscenti con insegnanti demotivati che ogni anno cambiano cattedra. Occorre che paghino di più per i libri sull’Invalsi, occorre che rinuncino all’idea che la scuola sia un’officina per un futuro dei loro figli diverso e magari migliore del loro presente.
Ma vanno puniti anche gli studenti che devono passare ore ad imparare a mettere crocette su test assurdi ed acquisire competenze per adattarsi al sistema della flessibilità, della precarietà e della mancanza di senso del lavoro futuro.
In questo senso la didattica e la scuola dell’Invalsi sono il più subdolo e nascosto dei grimaldelli che portano il sistema scolastico a trasformarsi in una azienda autonoma in cui un preside manager possa assumere insegnanti squalificati in base a criteri di efficienza aziendale, in cui ognuno è sostituibile perché intanto ciò che occorre fare non ha nulla a che vedere con un progetto educativo e di crescita ma è legato ad un criterio di produttività misurabile con il numero di crocette poste nella casellina giusta.
Per questo i test invalsi vanno boicottati, come non vanno pagati i contributi economici volontari. Occorre lottare contro i processi di sottrazione di fondi alla scuola pubblica, occorre lottare per mantenere gli anni di scuola che abbiamo ed al limite aumentarli, impegnando energie e contributi per cercare di ridurre ulteriormente la dispersione scolastica senza deprimere ulteriormente la qualità dell’insegnamento e delle conoscenze necessarie al corpo studentesco.
In questa lotta, da soli, gli insegnanti possono far poco. Occorre che gli studenti rifiutino i test, occorre che le famiglie non mandino i ragazzi a scuola quando vengono somministrati, motivando con determinazione le proprie scelte.
Circolo Comunista Centro Storico/Stella Rossa Genova
Coordinamento Lavoratrici e Lavoratori della Scuola Genova
Cobas Scuola Genova
USB Scuola Liguria
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