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Renzi lato Firenze. Il dito nella piaga: la normativa dei contratti sugli appalti

Dopo e nonostante le inchieste e le sentenze della magistratura toscana sulla TAV, dopo e nonostante i pronunciamenti severi della Corte dei Conti e dell’Autorità per la Vigilanza sull’’architettura finanziaria della “grande opera”, dopo il nuovo dirompente caso Expo 2015, che ha spinto la presidente della Commissione parlamentare Antimafia a mettere sotto accusa la stessa normativa dei contratti sugli appalti, quanto sarebbe ragionevole riporre fiducia in un leader che  – sulla penosa vicenda fiorentina dell’Alta Velocità – da anni non ascolta e non risponde?

A Firenze Idra ha ripetutamente sottoposto a Matteo Renzi, prima sindaco, oggi premier, un tema delicato e cruciale per la città patrimonio mondiale dell’Unesco e per l’intero Paese: quello del faraonico e irrealistico progetto di doppio sottoattraversamento AV della città, quasi interamente contro-falda. E lo ha fatto fornendo proposte, offerte, dati, studi, documenti, foto, video. Tutti diligentemente ignorati. La stessa sorte è toccata all’ultima lettera, inviata il 29 marzo anche al vicesindaco di Firenze Dario Nardella, candidato sindaco al prossimo turno amministrativo di domenica. Nessun riscontro, né dall’uno né dell’altro! Sono forse questi standard europei di democraticità?

Nella missiva, Idra propone di considerare con grande attenzione i contenuti della sentenza con cui la Corte d’Appello di Firenze ha rideterminato recentemente pene e sanzioni a carico degli esecutori dei lavori per l’Alta Velocità ferroviaria fra Firenze e Bologna, e il messaggio etico-politico che ne consegue. Quello per il sottoattraversamento AV di Firenze non è infatti solo di un progetto fragile sul piano della credibilità tecnica. L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Firenze ha rivelato – dopo aver analizzato le strumentazioni, le tecnologie e i materiali da impiegare per la realizzazione degli scavi, e ancor prima del loro vero e proprio avvio – la presenza di una preoccupante inclinazione da parte delle ditte impegnate nei lavori a un’attenzione insopportabilmente lacunosa alle esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza.  Incerta la gestione delle metodologie di scavo. Sospetta la qualità dei materiali da costruzione. Improbabile la solidità finanziaria delle ditte aggiudicatarie dei lavori. L’affidamento degli appalti è avvenuto ancora una volta seguendo criteri potenzialmente assai dannosi all’erario (cavallo di Troia, la figura del general contractor).

Tutto ciò in una città d’arte come Firenze, e sulla scorta di una valutazione di impatto ambientale a dir poco carente. In un contesto, peraltro, di pesante crisi economica. “A risolvere la quale – osserva l’associazione ecologista Idra – non aiutano certo investimenti colossali di capitale pubblico capaci di produrre lavoro scarso e precario e scenari di perdurante rischio ambientale”.

Da sindaco, va detto, Matteo Renzi non aveva lesinato dichiarazioni sprezzanti nei confronti del progetto:“Faccio notare al governo nazionale che in tempi di crisi l’idea di investire un miliardo e rotti in questa opera, fra tunnel e stazione, che non serve a nulla non è una buona idea. […] Perché se hanno un miliardo di euro da buttare via in questo modo non lo mettono sulla scuola?” (giugno 2010). Pervenuto al governo nazionale, Renzi sembra aver smarrito quell’apparente saggezza, su tutto il fronte della politica degli investimenti pubblici, se a proposito dello scandalo Expo 2015 commenta: “Quando ci sono grandi interventi, grandi iniziative, se ci sono delle vicende che non vanno bene, se ci sono problemi con la giustizia, si devono fermare i responsabili e non le grandi opere”! Anche a prescindere da una valutazione sulla sua utilità sociale, infatti, la TAV si configura come un classico investimentocapital intensive e labour saving, che rischia di ingoiare senza importante indotto non uno, ma parecchi miliardi di euro, se da Firenze allarghiamo lo sguardo al resto d‘Italia. Esattamente il contrario di quello che occorrerebbe al rilancio di un’occupazione sicura, diffusa e di qualità, che soddisfi le priorità morali e materiali del Paese: da L’Aquila a Modena, dalle montagne (che franano) alle pianure (che si allagano), dal patrimonio culturale (mesta cenerentola, e dovrebbe esser regina!) alla scuola (indecente nell’edilizia e nell’organizzazione). Sì, proprio quella scuola alla quale da sindaco di Firenze Renzi avrebbe voluto assegnare il miliardo destinato alla TAV. Anche qui, l’esperienza fiorentina descrive tutt’altro scenario rispetto alle parole spese: gli ormai celebri colloqui in quel di Arcore hanno fruttato infatti – in nome di un risparmio di cassa a Palazzo Vecchio – la definitiva cessione allo Stato – insegnanti inclusi, a dispetto di accordi siglati dalle parti durante la precedente amministrazione Domenici – della più grande e prestigiosa scuola media superiore della Toscana, fiore all’occhiello del Comune di Firenze, l’ITI “Leonardo da Vinci”. Lo smantellamento di un’esperienza centenaria di autonomia gestionale, di organici stabili e collaudati, di una preziosa quanto inusuale continuità didattica, fucina di generazioni di tecnici di avanguardia, è avvenuta proprio dietro esplicita richiesta al ministro Gelmini da parte di chi, ciò nonostante, sosteneva (e ancora sostiene?) che la spesa sulla scuola non èun costo ma un investimento.

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