Riflessioni, considerazioni e aspettative in vista della riunione nazionale di Ross@ dell’8 giugno a Bologna
Il gruppo di Ross@ Parma, che si è costituito nel dicembre 2013, è composto, per la quasi totalità dei suoi militanti attivi, di compagne e compagni che hanno aderito direttamente al progetto politico di Ross@, senza che questa adesione derivasse dalla militanza in altre realtà politiche locali o nazionali.
Nonostante la consapevolezza che il progetto presentato alla cittadinanza lo scorso dicembre fosse ancora in una fase costituente, la realtà di Ross@ Parma ha mosso comunque i primi passi, in città e nel territorio, cominciando ad essere considerata e riconosciuta politicamente.
Occorre rimarcare, invece, che le realtà che compongono il progetto politico a livello nazionale, sono state attendiste e non esplicite nella relazione con le realtà locali. Sicuramente la latenza a livello nazionale, riconosciuta anche durante la riunione di coordinamento a Roma il 17 maggio, non ha aiutato a fare in modo che le forze politiche e sindacali teoricamente più vicine a Ross@ sul piano locale riconoscessero in essa un effettivo interlocutore.
Applicando ragione e pragmatismo, l’analisi della fase attuale deve portare ad aggregare su alcuni punti fondamentali, che erano già presenti nel progetto iniziale di Ross@ e che riteniamo centrali, quindi non smarribili né ridimensionabili.
Prima di tutto la rottura con il “sistema PD”, definito giustamente “sistema” e non riducibile semplicemente al “partito” PD. Si tratta, infatti, di un sistema perfettamente aderente alla logica neoliberale, in cui il partito-persona, incarnato attualmente in Matteo Renzi, costituisce il referente di un complesso e ramificato insieme di apparati statali, non statali, nazionali e sovranazionali. Non possiamo pensare che all’interno della sinistra che si definisce antagonista e conflittuale, vi siano ancora singole posizioni o forze disposte a sostenere che nel sistema PD ci siano ancora possibili speranze per un cambiamento che vada a sinistra. Non lo vogliamo pensare, ma siamo costretti a farlo, visti i giubili e i salti di gioia per gli ultimi risultati elettorali della lista Tsipras in Italia, che per il rotto della cuffia è arrivata al 4%. Siamo costretti a pensarlo per la dichiarazione della Spinelli che definisce prima il PD come Democrazia Cristiana e poi salva la corrente di Civati, definendola una parte con la quale si può lavorare. Siamo costretti a pensarlo perché vecchie forze, che ancora aleggiano come spiriti e che fecero parte appieno del sistema PD, tornano a strizzargli l’occhiolino, rievocati da un 4%! Siamo costretti a pensarlo perché la lista Tsipras, sta pensando ad alleanze con il PSE.
Siamo costretti a pensarlo soprattutto perché non si può concepire di riformare un sistema come l’Unione Europea, che non è “riformabile” in senso radicale, proprio perché la logica di adattamento e riformabilità è già presente nella propria costituzione materiale, costituzione di matrice ordoliberale e funzionalista. Una prospettiva europea che sia davvero “altra” rispetto a questi assunti, implica una rottura con l’Unione stessa, con il suo sistema di governance e con il suo principale strumento attuativo: l’Euro. Questo è un passaggio imprescindibile. Sarebbe parossistico, infatti, sostenere di rompere con l’Unione e non con una delle sue forme attuative, l’Euro. Proprio in relazione a questo punto, occorre realizzare forme di pratica politica reali e concrete – come il Controsemestre e la raccolta di firme per il Referendum – atte a sensibilizzare soprattutto all’esterno del mondo della sinistra antagonista. Nel contempo bisogna studiare quelli che potrebbero essere gli snodi fondamentali dell’evoluzione dell’impianto della UE, a partire dall’ERF (European Redemption Fund) – che a garanzia della conversione in emissioni comuni (eurobond), prevederebbe un ulteriore potere di controllo delle istituzioni europee sulle spese dei governi, la spogliazione del nostro patrimonio pubblico e la trasmutazione del debito in giurisdizione internazionale, quindi non più convertibile in valuta nazionale in caso di uscita, provocando la più totale abdicazione di sovranità – e dal TTIP (Transatlantic Trade and Investiment Partnership), di fatto la chiave per attuare tutto ciò che l’organizzazione mondiale del commercio (WTO) non è già riuscita ad imporre in termini di deregolamentazione in ogni campo economico, sancendo anche il via libera per le imprese al ricorso legale contro i governi attraverso un organismo di arbitrato internazionale. Occorre comprendere le ricadute sociali e politiche di tutto questo, individuando forme di mobilitazione atte a contrastarli.
Su questi elementi, ora, è concreto e reale potere parlare di aggregazione delle forze della sinistra antagonista e conflittuale, per realizzare un’area politica nazionale, Ross@.
I “punti dirimenti” sopracitati devono essere un passaggio discriminante e costituente per l’identificazione dell’area stessa. La dimensione nazionale è necessaria per creare una sovradeterminazione delle realtà locali, per consentire alle stesse in relazione a questi temi, di potere praticare una politica orientata, identificata ed identificabile.
La costruzione di Ross@ non deve essere pensata nei modi e nelle forme del “vero” ed ennesimo Partito Comunista, ma neanche affidarsi a dinamiche spontaneistiche o movimentistiche. Occorrono delle parole d’ordine, che possano funzionare da linee di demarcazione e di battaglia egemonica, potenzialmente rivolte a tutti e non solo ai militanti delle formazioni antagonistiche esistenti. La sua politica e la sua pratica non possono esaurirsi nella mera opposizione, volta a stilare la lista dei “contro”.
Oltre a questo piano necessario ma non sufficiente, ne esiste un altro che, se non può darsi nell’immediato, deve comunque essere portato avanti nel tempo sin da subito: quello di un lavoro politico che non collassi e si esaurisca nella dimensione precedentemente esposta e, soprattutto, che non copra con un uso retorico dei termini classici dell’universo antagonista un vuoto effettivo di politica, di una “politica anticapitalista” ancora in gran parte da inventare. Un lavoro politico di elaborazione e di pensiero che deve essere costruito ed agito all’interno di Ross@ e volto ad instaurare la politica autonoma di un soggetto politico. Un lavoro politico che deve articolarsi a partire dalla ridefinizione della politica e delle categorie anticapitaliste, che deve considerare che il modo di produzione e riproduzione capitalistico nell’attuale fase storica, in Occidente ed in modo particolare in Europa, è un modo di tipo neoliberale e finanziario, peraltro innestato su forme differenti di capitalismo e di rapporto tra capitale e Stato.
Parlare di neoliberalismo non significa identificare un capitalismo “cattivo”, una sorta di ritorno al capitalismo liberale classico reso più spregiudiato e immorale, contrapposto ad un capitalismo “buono”, riformabile, come sostenuto negli ultimi vent’anni da innumerevoli forze socialdemocratiche. Considerare il neoliberalismo, significa prendere in considerazione il capitale nel suo modo di produzione e riproduzione attuale, le cui origini, nella versione europea, risalgono all’ordoliberalismo. A partire dall’esperimento tedesco nell’immediato dopoguerra ad opera della scuola di Friburgo, l’ipotesi di fondare lo stato sul mercato – che non si esaurisce nella sola interpretazione dicotomica struttura-sovrastruttura – ha prevalso nella competizione tra diversi modelli capitalistici europei. La costituzione dell’Unione Europea per come l’abbiamo vista fondarsi e svilupparsi, e per come la vediamo concretizzarsi oggi, si fonda sui principi economici e politici di questa scuola: dalle pratiche di governo a garanzia delle regole del gioco concorrenziale di mercato (sistematicamente smentite dal mercato stesso), passando per la necessità di una “Gesellschaftspolitik”, una “politica della società”, basata sulla generalizzazione della forma “impresa”, sull’homo oeconomicus e sul “capitale umano”, fino alla messa a valore dell’esistenza stessa, ecc. Occorre considerare le dinamiche del capitalismo unitamente a questa nuova forma stato che si sta realizzando e che ha tratti reazionari in forme politiche completamente rinnovate, a partire dall’ordoliberalismo stesso. Occorre cercare innanzitutto di problematizzare lo stesso concetto di “classe”, non perché sia inutilizzabile – come una sterile lettura socialdemocratica si ostina ad affermare – ma perché bisogna evitare di renderlo un significante vuoto buono per ravvivare la debole fiammella autorassicurante dell’antagonismo. Occorre una ridefinizione della classe che non si arresti a coordinate economicistiche o sociologiche e che non permetta più di intendere la politica come diretta espressione o risultante dell’antagonismo e della lotta economica. Bisogna, insomma, definire la classe in senso politico.
Vi è la necessità di una politica che comprenda essa stessa di non essere un meccanismo consensuale, riconoscendo come condizione necessaria di ogni operazione egemonica la rottura con le forme consensuali date. L’esigenza di un sindacato conflittuale ed alternativo al blocco confederale è una necessità da considerarsi un punto dirimente del “qui ed ora” e, in quanto tale, può essere considerata come un punto politico sul quale è opportuno dichiararsi nettamente. Occorre però, allo stesso tempo, avere piena consapevolezza che la costruzione di una politica autonoma e di un soggetto in grado di sostenerla non può essere pensata come la risultante delle dinamiche sindacali, delle loro fratture e delle loro ricomposizioni.
Risulta quindi necessario lavorare per costruire e praticare una forma organizzata del soggetto politico. Ciò significa anche riconoscere come, oggi più che mai, “organizzazione” non possa e non debba significare esclusivamente il pur necessario sviluppo e coordinamento delle lotte, ma implichi sperimentare processi di reinvenzione dei rapporti tra pensiero e azione, di reinvenzione delle modalità in cui far esistere una dimensione collettiva oramai annichilita o ridotta in forme del tutto residuali e identitarie. Nel lungo periodo è possibile che sia proprio sulla scommessa di assumere politicamente queste problematiche, senza relegarle alla sfera indistinta e impotente del “culturale”, che si giocheranno i destini dell’organizzazione anticapitalista che auspichiamo.
Quindi, dopo i “mea culpa” e l’attendismo dettato da ragioni preesistenti, ora facciamo Ross@: le identità scese in campo per realizzare questo progetto facciano un passo indietro, due passi avanti, così da non dare luogo alla mera sommatoria di ciò che già esiste, e cominciare ad inventare quello che ancora non c’è!
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