La tempesta non è ancora passata, che già i giornalisti occidentali diffondono in lungo e in largo la loro disinformazione, contornata dalle solite grida isteriche della dirigenza baltica e polacca e dall’ormai stantia retorica russofobica. Caricature di inviati speciali ci mostrano quotidianamente anonime strade di Kiev, spendendosi in panegirici sulla libertà e democrazia difese dall’attuale cricca al potere. L’Unione Europea sanziona e tace o, meglio, insabbia.
Ora che si spara di meno, in questa strana “tregua”, vale la pena fornire qualche dato utile alla comune riflessione, a poco meno di una settimana da un cessate il fuoco che ha il sapore del semplice riposizionamento in attesa di tempi – e aiuti – migliori per il futuro contrattacco: qualche dato che nessun canale cosiddetto “all news” e nessun quotidiano ha mai avuto l’onestà intellettuale di riportare.
Cominciamo dai morti civili. Da marzo a oggi, le vittime di un conflitto che ha prodotto finora diverse migliaia di morti (e nel cui computo l’ONU è ancora colpevolmente fermo a 2593 fra militari e civili!) con ogni probabilità hanno superato di gran lunga il migliaio: il 14 agosto nella sola autoproclamata Repubblica Popolare di Doneck il dipartimento regionale per la salute facente capo a Kiev contava fra i soli civili 839 morti e 1623 feriti (http://www.profi-forex.org/novosti-mira/novosti-sng/ukraine/entry1008222487.html). Considerando l’intensificazione degli scontri nelle settimane successive e i dati mancanti relativi all’altra Repubblica, non è difficile fare un calcolo approssimativo che superi la cifra sopra indicata.
La Federazione Russa, sì, proprio quella che i cosiddetti civili e democratici europei sanzionano in prona obbedienza ai diktat statunitensi, attualmente accoglie 820 mila cittadini ucraini, sopraggiunti da aprile a settembre (fonte: Itar Tass http://itar-tass.com/infographics/8004). Sull’altro versante, i profughi “interni”, ovvero coloro i quali hanno scelto di migrare in una regione ucraina, ammontano a 260 mila (http://ria.ru/infografika/20140731/1018256300.html). Che abbiano tutti sbagliato strada?
Quasi la metà della popolazione della Repubblica Popolare di Doneck (oltre 450 mila su 949.825) e oltre i tre quarti di quella di Lugansk (375 mila su 424.113) sono espatriati (ibidem).
Da marzo, l’Ucraina ha già speso 635 milioni di dollari USA per finanziare un’operazione che le costa circa 128 milioni di dollari al mese. Il 31 luglio, la Rada e il Consiglio dei ministri ucraino hanno approvato lo stanziamento di ulteriori
– 791 milioni di dollari (paghe dei soldati e approvvigionamento esercito),
– 758 milioni di dollari (ulteriore finanziamento all’esercito, si ricorda che nell’operazione sono coinvolti esercito regolare, Guardia nazionale alle strette dipendenze del Ministero dell’Interno, mercenari di provenienza nazionale e internazionale e formazioni neonaziste autoctone – battaglioni Azov, Dnepr, Donbass)
– 158 milioni infine – si noti l’ordine di grandezza – per “la ricostruzione del Donbass” (ibidem).
Da quando l’Unione Europea e la NATO hanno lasciato carta bianca all’attuale dirigenza ucraina, l’unica strategia è stata semplice quanto criminale (ma non agli occhi dei giornalisti occidentali, evidentemente): fare terra bruciata. Intere città e villaggi sono stati rasi al suolo, utilizzando prima l’aviazione e i lanciarazzi Grad (http://www.notiziegeopolitiche.net/?p=41253), che ricordiamo avere una potenza di fuoco data da quaranta missili da 120 mm lanciati contemporaneamente contro un obbiettivo lontano da 5 a 20 km (http://www.enemyforces.net/artillery/grad.htm); ultimamente, vista la malparata (e ricevuto ulteriore tacito, criminale, consenso da Washington e Bruxelles), contro quelli che definiscono loro connazionali, questi criminali non hanno esitato a fare ricorso a missili balistici Točka-U (http://www.novorosinform.org/news/id/7020), lunghi sei metri, pesanti due tonnellate, caricabili con testate “convenzionali, chimiche e nucleari” e dalla gittata massima di 120 km (http://www.military-today.com/missiles/ss21_scarab.htm).
La foga distruttrice di Kiev non ha risparmiato nessuno, a partire dagli ospedali (ultime in ordine di tempo è la clinica sanitaria di Doneck http://www.novorosinform.org/news/id/8277 e l’ospedale Kalinin, sempre a Doneck http://www.novorosinform.org/news/id/7304). Seguono le scuole: nella sola Repubblica Popolare di Doneck, il primo settembre nel messaggio augurale agli studenti in quello che doveva essere il loro primo giorno di scuola, il Presidente del Consiglio dei ministri della RPD contava completamente abbattute o comunque inagibili “93 scuole, 11 istituti tecnico-professionali, 9 strutture scolastiche non più in uso e 27 istituti doposcuola (http://www.novorosinform.org/news/id/7496).
Stessa sorte è toccata alle infrastrutture civili, in particolare acquedotti, centrali elettriche e ferrovie. Neppure le miniere sono state risparmiate: notizie come questa di minatori rimasti intrappolati sotto terra per blackout o danni materiali alle infrastrutture (http://www.novorosinform.org/news/id/6416) erano all’ordine del giorno fino a qualche giorno fa. Non solo le città minori, ma anche Doneck che Lugansk, capitali delle omonime Repubbliche popolari, hanno vissuto negli ultimi mesi senza elettricità e acqua costanti. Tutt’ora, 800 case di Donetck sono senza elettricità (http://www.novorosinform.org/news/id/8262).
Per quanto riguarda l’industria, settore storicamente centrale in entrambe le Repubbliche, 396 sono i complessi industriali rasi al suolo nella Repubblica popolare di Doneck e 200 in quella di Lugansk, per un danno complessivo che ammonta a decine di miliardi di dollari (http://www.novorosinform.org/news/id/8251).
Infine, ma non da ultimo, a esser colpito dal fuoco dell’artiglieria pesante è stato un altro innegabile “covo di terroristi”: le chiese, in entrambe le repubbliche, sin dai primi giorni e fino all’ultimo (due fra gli ultimi bombardamenti qui http://www.novorosinform.org/news/id/6685 e qui http://www.novorosinform.org/news/id/6978)
Si tratta di qualche dato, incompleto, certamente, ma utile a riflettere su una catastrofe umanitaria di cui ancora troppo pochi parlano. Sei mesi di guerra civile hanno visto opporsi, a un esercito occupante, un intero popolo, contro il quale è stata scatenata, con la massima violenza possibile e nel più totale silenzio dei media occidentali, un’onda d’urto da cielo e da terra che ha ridotto in macerie tutto quello che poteva. Ma non è riuscita a piegarlo. Questa tregua di fatto sancisce, oltre al riconoscimento fattuale di due nuove entità politiche, fino ad allora classificate come “terroristi”, il fallito tentativo di condurre la catastrofe umanitaria lungo l’alveo, neanche tanto nascosto, di un’ennesima pulizia etnica nel cuore dell’Europa, questa volta contro le popolazioni russofone del Donbass.
Alla luce di quanto appena accennato, spero che anche chi, pur in buona fede, avesse mantenuto un atteggiamento prudente sulla questione, abbia ben chiaro ora come sia ipocrita l’equidistanza fra aggressori e aggrediti, nonché quale credibilità possa avere l’attuale dirigenza ucraina quando parla, a chi ha distrutto casa e futuro, ucciso i cari, terrorizzato e umiliato nella propria dignità, di “autonomia” o di “federalismo”. Alla luce di quanto appena accennato, sorge spontanea la questione di quale credibilità possa avere oggi una politica estera europea che ha deliberatamente taciuto e insabbiato questa barbarie, non ultimo “l’incidente” di un Boeing fatto esplodere in volo – ormai appare sempre più chiaro – dagli stessi criminali autori, oltre ad aver sanzionato a comando un Paese terzo che finora ha pagato più di tutti, in termini di aiuti materiali ai profughi, di danni ai propri centri abitati colpiti “per sbaglio” dall’esercito ucraino, e di soccorsi umanitari alle popolazioni colpite, il prezzo di questa guerra non sua.
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alexfaro
Completamente d’accordo con ciò che ha scritto Paolo Selmi in questo articolo,bravo Paolo!
Ed alla faccia dei pennivendoli dellla stampa mainstream sia nostrana che estera!
un saluto
Alexfaro