Mentre le cancellerie e i mass media europei continuano ad eccitarsi su un’offensiva militare ucraina decisamente controversa, un documento sottoscritto da 30 Premi Nobel e presentato in un meeting in Vaticano dice: “Mai più la guerra, basta armi nucleari, no alle violenze di qualsiasi natura e all’uso manipolativo di tecnologie e intelligenza artificiale”.
L’obiettivo, dichiarato alla vigilia della presentazione, è raggiungere un miliardo di firme a sostegno del documento che vede fra i suoi redattori il fisico italiano Giorgio Parisi.
Nel resto del mondo infatti, la guerra in Ucraina continua ad essere vissuta come un “problema europeo” in cui nessuno vuole farsi coinvolgere, né militarmente né adottando sanzioni contro la Russia, contro la quale – in Asia, Medio Oriente, Africa e America Latina – nessuno ha contenziosi aperti. In compenso niente di nuovo sul fronte occidentale se non invocazioni a vincere la guerra contro la Russia a tutti i costi.
Non è un caso dunque che le proposte di negoziati di pace provengano dalla Cina, dal Brasile, dai paesi africani o da paesi-ponte della Nato come la Turchia. Del resto solo i negoziati di pace possono funzionare nel disinnescare i conflitti, come avvenuto per lo Yemen e per la Siria. Il problema è che funzionano lì dove i vecchi tutori dell’egemonia occidentale – Usa e Ue – vengono lasciati fuori dalla porta.
A Washington, invece, come a Bruxelles o Varsavia, sottovalutano ancora l’impatto avuto nel resto del mondo dalla rovinosa fuga delle truppe Nato dall’Afghanistan. Un sintomo e un simbolo, ma di solare evidenza, del declino dell’egemonia occidentale sul mondo.
Del resto, di fronte alle ridicole performance dell’esercito afghano “ufficiale” – addestrato, armato e finanziato per anni dalla Nato -, l’idea che l’esercito ucraino addestrato dalla Nato possa fare sfracelli perde parecchio appeal.
Al punto che alcuni apprendisti stregoni come l’ex segretario della Nato Rasmussen e il governo ultrareazionario della Polonia cominciano a ipotizzare un intervento militare diretto delle truppe polacche nel conflitto in Ucraino. In pratica sarebbe l’escalation totale della guerra, che confermerebbe nuovamente il ruolo tragico della Polonia per la storia europea.
Eppure è proprio il Sipri di Stoccolma a dirci in questi giorni che nel mondo che è aumentato il numero di armi nucleari, che ben duemila sono già in modalità di “massima allerta” e che, soprattutto, “la maggior parte” delle potenze dotate di bombe atomiche sta inasprendo la propria retorica sull’importanza delle armi nucleari e alcune stanno persino minacciando esplicitamente di utilizzarle”.
Nel nostro paese i guerrafondai continuano a ripetersi e a ripetere a pappagallo che “l’Ucraina deve vincere” e per questo va armata dalla Nato e dai paesi che ne fanno parte. L’ultima benedizione a questa linea avventurista è arrivata da Draghi.
La destra al governo alza i toni mentre il Pd si crocifigge da solo, rinnovando la linea guerrafondaia nonostante goda di poca simpatia anche tra i propri elettori. Il M5S si accontenta di un ruolo di testimonianza pacifista in Parlamento ma non si impegna a dare corpo all’opposizione nella società. Rimane infatti freddo e inerte anche di fronte all’occasione dei referendum contro l’invio delle armi all’Ucraina su sui si stanno raccogliendo le firme.
Nelle settimane scorse abbiamo lanciato insieme ad alcuni scienziati, giuristi, accademici l’appello a “fermare la guerra ed imporre la pace” invitando a sostenere le proposte di negoziato di pace sul campo piuttosto che arruolarsi nel conflitto.
Riteniamo che questa sia la strada da percorrere, accelerando i tempi della mobilitazione popolare anche acutizzando la divaricazione tra il senso comune contro la guerra prevalente nella società contro lo spirito guerrafondaio maggioritario in Parlamento, nel governo e negli apparati ideologici e massmediatici.
Pensiamo che già nella manifestazione del prossimo 24 giugno ed ancora ad ottobre, questa maggioranza politica debba iniziare a trovare la forza di palesarsi nelle piazze del paese e sostituire l’inerzia o i balbettamenti della politica istituzionale.
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