TRASFORMAZIONI MANAGERIALI ALLA RATP
Metro, lavoro, cronometro
Imperativo di redditività, concorrenza tra lavoratori, razionalizzazione dell’attività: anche il settore pubblico sperimenta le dinamiche di intensificazione del lavoro tipiche delle aziende private.
Alla Régie autonome des transports parisiens (Ratp), per esempio, le logiche gestionali si sono imposte tanto più facilmente in quantosono andate di pari passo con lo smantellamento delle culture di resistenza.
Il 15 maggio 2008, su France Inter, il giornalista Jean Marc Sylvestre condannava uno sciopero dei funzionari pubblici contro la soppressione di posti di lavoro. I lavoratori del settore pubblico, affermava, costituiscono una categoria «a parte», e non sono «tra quelli che maggiormente meritano compassione», per via della protezione di cui godono contro i «rischi di disoccupazione», e per via delle loro «condizioni di lavoro, che sono comunque meno drastiche rispetto al privato». Sei anni dopo, osservando uno sciopero degli impiegati della Società nazionale delle ferrovie (Sncf) nel mese di giugno, Le Monde riprende lo stesso ritornello. Il quotidiano denuncia la «grande irresponsabilità dei sindacati che accreditano l’idea secondo cui, preferiscono di gran lunga il conservatorismo alle riforme (1)». I lavoratori del settore pubblico sarebbero dunque dei «privilegiati», aggrappati al loro status e ostili a qualsiasi cambiamento…tuttavia, anche se è evidente che la condizione di occupazione a tempo indeterminato dei funzionari – che però rappresentano soltanto una parte degli impiegati statali – sono vantaggiose, aveva ragione Sylvestre quando suggeriva che la funzione pubblica «a differenza di altre grandi aziende, non ha fatto quelle ristrutturazioni, quelle modernizzazioni, quegli adattamenti ai vincoli della modernità che le avrebbero permesso di essere probabilmente più produttiva?». L’esempio degli operai della manutenzione alla Régie autonome des trasnports parisiens (Ratp) suggerisce il contrario.
Gli impiegati della Ratp incaricati della manutenzione tecnica dei treni e dei convogli della metropolitana, come i manutentori del centro di smistamento postale per esempio, sono operai detti «dei servizi». Questa categoria raggruppa il maggior numero di operai in Francia: quasi uno su due lavora nei servizi, contro uno su tre nell’industria e il resto nell’edilizia.
Come confidano loro stessi, i nuovi assunti pensano di accedere a una buona posizione entrando alla Ratp. Citano la sicurezza occupazionale come leva principale della loro candidatura, prima dell’idea secondo la quale il lavoro nelle aziende pubbliche sarebbe «più rilassante» o «tranquillo». Questo pregiudizio è alimentato dall’invisibilità dei servizi di manutenzione, rispetto a mansioni più vi- sibili (la guida, lo sportello o il controllo), ma anche dai responsabili del reclutamento: questi ultimi decantano i pregi della grande azienda pubblica (circa quarantacinque mila salariati) e la sua reputazione invece di illustrare la realtà delle condizioni di lavoro.
«Plasmare» i salariati
In realtà, le trasformazioni intervenute in seno alla Ratp negli ultimi venticinque anni hanno seriamente eroso la doppia dicotomia tra pubblico e privato, da un lato, e tra servizi e industria, dall’altro. L’arrivo di Christian Blanc alla guida della Ratp nel 1989 (fino al 1992) è stato accompagnato da cambiamenti importanti nell’organizzazione dell’azienda. Al fine di «decentralizzare i servizi», questo alto funzionario ha spezzettato la Ratp in una ventina di dipartimenti (manutenzione della rete, commercio…) ognuno dotato di una propria direzione e proprie risorse. Queste entità autonome, vere e proprie piccole aziende all’interno della grande azienda, sono servite per introdurre la gestione per obiettivi, con lo scopo di «razionalizzare l’attività» o, per riprendere le parole del sociologo Vincent de Gaulejac, di «far meglio con meno (2)». Gli obiettivi del top management vengono trasposti in ogni unità decentrata; le pressioni subite dai superiori si ripercuotono «a catena» in un sistema che afferma la concorrenza a tutti i livelli: tra dipartimenti, officine, squadre e tra impiegati.
La dinamica d’intensificazione del lavoro ha conosciuto due momenti. Prima una campagna di audit ha permesso di calcolare la «redditività» di ogni squadra. Poi, è stato istituito un premio al merito per ricompensare i loro investimenti. In teoria, questo premio doveva servire a ridurre le differenze salariali tra gli operai e i conducenti (a parità di qualifiche); esso però ha soprattutto affermato le gerarchie locali e accentuato le pressioni sui salariati.
Con il loro potere uscito rafforzato da queste riforme organizzative, i responsabili di progetto fanno di tutto per allontanare gli impiegati più permeabili alle loro pressioni da quelli che potrebbero far sentire loro una campana diversa. I nuovi assunti sono così tagliati fuori da una certa cultura operaia e, di conseguenza, da una capacità di resistenza. Durante il loro primo anno, sono totalmente inquadrati dalla loro gerarchia, che tenta di inculcare loro i «valori aziendali». Alla Ratp come altrove nella funzione pubblica, l’assunzione – sinonimo di sicurezza occupazionale – è confermata solo dopo un anno. Questo «anno di prova alla Ratp» corrisponde a un periodo in cui «lo stagista può essere licenziato in qualsiasi momento (3)». I superiori approfittano della paura della precarietà. La utilizzano per «plasmare» i salariati, secondo l’espressione di un militante sindacale, per far loro «prendere la piega giusta».
Solo pochi anni fa, al loro ingresso in officina, i giovani venivano presi in carico dai lavoratori più anziani. Ogni nuovo arrivato faceva coppia con un operaio più anziano, che diventava il suo tutore durante l’anno di prova. Si garantiva così la trasmissione della cultura professionale, ma anche, come dice un veterano della Confederazione generale del lavoro (Cgt), «di un’altra visione del lavoro, un’altra visione dell’azienda». Adesso, i giovani sono formati da altri giovani, che gli insegnano come «spingere la produzione», secondo l’espressione di un operaio specializzato assunto di recente.
Per essere ben visti dal loro superiore, i giovani devono tenersi a distanza dai militanti e dar prova di lealtà e coinvolgimento totale. Molto spesso, come racconta François, operaio qualificato, figlio di operai originari del Portogallo, la sceneggiata della «coscienza professionale» nasconde il timore di sanzioni: «Resti fino a tardi per evitare di avere problemi in seguito, è normale. Un giorno il mio capo mi dice: “Sai, se tizio non lavora, puoi dircelo”. Trovo sia grave chiedermi di fare il delatore in questo modo…».
Una volta confermata l’assunzione, i giovani non hanno più occasioni di incontrare i più anziani. Non lavora- no nelle stesse squadre: i primi sono quasi tutti destinati alla manutenzione tecnica sul treno; i secondi occupano posti meno impegnativi fisicamente, in officina. Inoltre, l’introduzione degli orari alternati al volgere degli anni ’90 e poi, più recentemente, degli orari notturni, permette di tenere lontani tra loro i vari gruppi di lavoro. Mentre i lavoratori più anziani lavorano per lo più in orari misti nella giornata (4), i giovani sono spesso relegati agli orari alternati o al lavoro notturno. D’altronde, la porzione di assunzioni con orari sfasati è in continuo aumento dall’inizio del 2000. È passata dal 12,3% dell’insieme degli addetti al materiale rotabile nel 2000 a quasi il 21% nel 2011.
I momenti di socializzazione intergenerazionale negli spogliatoi, le docce o la mensa – tribune informali al riparo dallo sguardo dei capi – sono anch’essi improvvisamente scomparsi. Prima, si ricorda Jeannot, un militante della Cgt, che sfiora i cinquanta, «non eravamo divisi in più squadre. Lavoravamo tutti negli stessi orari, timbravamo il cartellino alla stessa ora, si andava tutti alle docce allo stesso orario». Il suo collega, Eric, anche lui sindacalista della Cgt, aggiunge: «Ci cambiavamo tutti insieme negli spogliatoi, mangiavamo tutti insieme a pranzo, la sera anda- vamo via tutti insieme. Si faceva vita d’azienda, con dei legami… Oggi, con gli orari variabili, ci sono fasce orarie mobili, orari alternati. La mattina, all’arrivo, siamo in cinque o sei negli spogliatoi, mentre prima eravamo una cinquantina. E questo si ripercuote sulle relazioni tra di noi e sul messaggio che possiamo far passare come sindacalisti. Oggi, per alcuni, non si riesce neanche a dare un nome a una faccia…».
Questo allontanamento sul lavoro. Ossessionati dagli obiettivi quantitativi, i capi valorizzano più la lealtà dei lavoratori rispetto alle loro competenze tecniche. Nell’officina ormai domina l’avanzamento discrezionale – una promozione data dal superiore diretto –: tra il 1998 e il 2011, è passata dal 37% delle promozioni totali a quasi il 70%. In pratica, un salariato ha più possibilità di avanzamento «facendo l’amico» del capo che non seguendo dei corsi serali o vincendo un concorso.
Jacques, sindacalista intorno alla cinquantina, ha iniziato come operaio specializzato prima di fare carriera e diventare operaio qualificato, tecnico di stazione e infine conducente alla Rer. Secondo lui, lo spostamento dei criteri di promozione rende poco pro- babile oggi questo tipo di carriera: «Hanno invertito il flusso, si lamenta. Prima, in un’azienda come la Ratp, per passare dalla qualifica A a quella B dovevi vincere un concorso. Può sembrare noioso, ma a un concorso, o vinci o perdi. È obiettivo. Oggi, non funziona più così: sono i capi a scegliere».
Promozioni a discrezione
Questa evoluzione va a discapito dei criteri professionali. Quelli che avanzano rapidamente fungono da modello all’interno dell’officina, a volte senza rispettare i tempi previsti per ogni attività. I loro superiori li ricompensano e li avvantaggiano nella distribuzione delle mansioni o nell’avanzamento di carriera. Marc, entrato come operaio qualificato nell’azienda, dopo molti anni passati «a correre» e «a fare più del dovuto» – a costo di fare un lavoro raffazzonato –, è stato promosso a tecnico. Ma, rapidamente, si è sentito incapace di compiere la sua nuova funzione ed è stato preso dallo sgomento: più che le competenze tecniche necessarie per la sua nuova attività, aveva tenuto il comportamento che più conveniva alla gerarchia…. Così, il pre- valere della promozione a discrezione del capo permette, a breve termine, di spingere i salariati in un acerta direzione. Ma, privilegiando il «saper essere» rispetto alla cultura del mestiere, si svalutano i saperi professionali e si generano sofferenze sul lavoro.
Molti operai non vedono di buon occhio il ritorno a criteri di valutazione, misurati dai capi che non sono necessariamente esperti di manutenzione tecnica di un treno. Infatti esiste uno scarto tra la valorizzazione dei criteri quantitativi e le missioni di servizio pubblico dell’azienda, per via dell’incompatibilità tra gli obiettivi fissati a breve termine (far uscire i convogli dall’officina per metterli in circolazione) e le logiche professionali a lungo termine (assicurare una manutenzione completa e preservare il materiale). In altre parole, le logiche gestionali prevalgono su quelle professionali. Sebbene siano facilmente controllabili, le esigenze quantitative non garantiscono affatto la qualità della manutenzione dei treni…
«Con i ragazzi appena arrivati in azienda, c’è da aver paura. Sono velocissimi, ma quando guardi bene vedi che hanno fatto un lavoro pessimo», si lamenta Bertrand. Questo operaio di 45 anni prosegue con un aneddoto: «Una mattina, dico al capo: “Guarda, bisogna cambiare il pezzo che impedisce l’apertura della porta durante la corsa”. È Régis, un giovane che se n’è occupato. Di solito, per questo lavoro, mi ci vuole almeno un’ora, un’ora e mezza, tirar fuori la guarnizione, estrarre la barra, aggiustare. Lui ci ha messo un minuto! Ha preso il martello e bam! Sul telaio, così, racconta, scandalizzato mimando la scena. Ed è questo che non capisco. Il capo vede che ci ha messo appena un minuto.» Eppure… Bertrand imita il capo: «Ok, hai finito? Molto bene, grazie: ti diamo un altro lavoro».
Gli effetti delle logiche gestionali sul mestiere possono rivelarsi particolarmente perniciosi. I metodi di valutazione sono così lontani dal lavoro reale – e dai mezzi necessari per esercitarlo – che intaccano i savoir faire, conoscenze che non solo danno un senso all’attività dei lavoratori, ma contribuiscono anche alla qualità della manutenzione tecnica e alla sicurezza dei viaggiatori. I manager e i capi officina restano solo qualche anno; com- pilano spesso dei contratti d’obiettivi precisi – generalmente su tre anni –, senza preoccuparsi del lungo termine. Ci si può allora chiedere se questa gestione a brevissima scadenza, che si suppone debba migliorare l’efficienza dei servizi pubblici, non costerà forse più «cara» all’azienda, rendendola meno efficiente. E il circuito si autoalimenterà: le aziende pubbliche perde- ranno efficienza, e verrà richiesta una maggiore «modernizzazione».
Ben consapevoli degli effetti perversi di queste nuove pratiche manageriali, i salariati della Ratp – come quelli degli ospedali, delle ferrovie (Sncf) o della Posta – mal sopportano il richiamo ai malfunzionamenti di cui sono essi stessi vittime. L’alleanza dei salariati sottoposti a esigenze scollegate dal lavoro reale e dagli utenti che ne sono tributari permetterebbe di combattere le logiche gestionali, invece di vedere questi lavoratori chiamati in causa da utenti che non riconoscono più il servizio pubblico a cui pure contribuiscono economicamente.
(1) Editoriale, «Sncf: il faut savoir arrêter une grève», Le Monde, 15-16 giugno 2014.
(2) Vincent de Gaulejac, La Société malade de la gestion. Idéologie gestionnaire, pouvoir managérial et harcèlement social, Seuil, Parigi, 2005.
(3) Statuto del personale Ratp, capitolo 3, arti- colo 3.
(4) I lavoratori assunti prima dell’introduzione degli orari alternati e degli orari notturni possono rifiutare queste fasce orarie.
* Martin Thibault, Sociologo. Autore di Ouvriers malgré tout. Enquête sur les ateliers de maintenance de la Régie autonome des transports parisiens, Raisons d’agir, coll. «Cours et travaux», Parigi, 2013. Da Le Monde Diplomatique
(traduzione di F.R.)
da Internazionale
** segnazione dei compagni di CortoCircuito di Firenze
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