Fine anni Settanta. In cantiere lavorava gente che aveva imparato il mestiere da quelli che avevano costruito le case coloniche, i caseifici, i manufatti di bonifica, i ponti, le scuole, i sanatori, gli ospedali e via di seguito, vere e proprie opere d’arte, oppure che lo aveva imparato negli anni della ricostruzione post bellica. Uno di loro disse che, visto come stavano andando le cose in cooperativa, tanto valeva licenziarsi e fare lavoretti al sabato e alla domenica e riposare gli altri giorni, che si guadagnava di più che a lavorare un mese in cantiere e non ci si rodeva il fegato. Il motivo del suo sbotto però non era il denaro. Disse che da suo padre aveva imparato che non si devono accettare favori dal padrone, che se no poi ti frega. Così, quando il padrone si offre di farti salire sulla canna della bicicletta gli devi rispondere che preferisci fartela a piedi, perché se no quello che ricevi poi lo devi rendere raddoppiato. Nella bella stagione si lavorava sessanta ore a settimana, cioè dieci ore al giorno più il tempo di trasporto che variava a seconda di dove si trovava il cantiere. Nelle fabbriche c’erano i tempisti che con il cronometro in mano stabilivano quale doveva essere lo standard di produzione di ogni operaio. I tempi li facevano anche in cantiere, ma era differente: “Voi lavorate per il socialismo”, dicevano i capetti dell’ufficio, senza avere mai avuto calli nelle mani. Erano i comunisti falsi.
Ad ogni modo, in cooperativa edile si stava creando sempre più una divisione tra il gruppo dirigente e le maestranze. Perché chi era al comando voleva fare entrare le cooperative all’interno del mercato capitalistico e non le pensava in alternativa ad esso e a favore dei lavoratori (probabilmente il PCI stesso spingeva in quella direzione). Hanno ingannato, mentito, mistificato e ancora lo fanno. Hanno fatto del male alle persone. Cooperativa è la parola magica che serve a perpetuare l’inganno. Sembra il paradiso e invece sempre più spesso è l’inferno. Perché di cooperativo non c’è nulla. Poi alle riunioni i capetti hanno cominciato a usare certe parole della lingua inglese, tipo trend e budget. E quello era il segno, se mai ce ne fosse stato bisogno, che ormai era fatta. Gli ignorantoni erano diventati poliglotti.
Alla fine degli anni Settanta uno dei cantieri della cooperativa Bassa Reggiana prevedeva la costruzione di 108 appartamenti: l’intonaco a scagliola di tutti gli interni fu eseguito dalle cosiddette squadre artigiane. Erano lavoratori a cottimo calabresi. Il caporale dichiarava le ore lavorate, la cooperativa lo pagava e con una parte di quei soldi lui pagava gli operai, in nero. In questo modo la cooperativa contravveniva al proprio statuto, però riduceva le spese rendendosi complice dello sfruttamento di operai non cooperatori. Cos’è che stava succedendo? Stava succedendo che la cooperativa voleva ridurre il numero delle maestranze e avvalersi di manodopera esterna, in modo, per esempio, di non dovere usare i soldi della cassa edile per pagare i suoi operai quando non lavoravano a causa, per esempio, delle condizioni meteorologiche avverse. D’altra parte era a quello che serviva la cassa edile, a garantire un reddito all’operaio cooperatore anche se non lavorava, e questo era proprio lo spirito della cooperazione. Così la cooperativa comincia ad avvalersi di manodopera esterna proprio per ovviare a questa funzione considerata ora anti economica. Inoltre gli operai che andavano in pensione non venivano rimpiazzati, e quelli ancora al lavoro venivano mandati in cantieri lontani in modo da indurli al licenziamento. Per poterti muovere con agilità nel mercato, e senza perdite, non devi avere operai fissi, ma devi usare manodopera esterna che chiami al lavoro in misura della necessità lavorativa. I padroni l’hanno sempre fatto. Adesso lo fanno le cooperative, e anche meglio e con più aggressività, perché sfruttano manodopera sottopagata al guinzaglio di caporali. La disciplina non è più un problema.
Un viaggio a Comiso, in treno. Attraversando la Calabria si vedevano le donne e le ragazze raccogliere i carciofi. E c’erano i campieri, ed era da non credere, perché portavano il cinturone con la rivoltella come nel West. Era il 1983, in occasione dei fatti che riguardavano l’aeroporto Magliocco dove gli americani volevano mettere i missili armati con le atomiche. Quel Sud ora abitava a Reggio Emilia, città medaglia d’oro della Resistenza.
Ad ogni modo, ritornando al discorso sulle cooperative edili, con quel modo di agire si perse l’abilità di un mestiere che poteva essere e potrebbe ancora essere occasione di reddito per i giovani reggiani. Così le imprese edili diventano cutresi. Le cooperative vincono gli appalti e le imprese cutresi eseguono i lavori. Ora la manodopera viene dai Paesi dell’Est, dall’Egitto, dal Marocco e dalla Tunisia, ed è sottopagata, altro aspetto della questione che non viene quasi mai affrontato. Il sindacato non esiste. Se il sindacato nega questa affermazione lo può certo fare, però sapendo di mentire. La conflittualità di classe è uguale a zero, da anni e anni. Questi edili non sono più una categoria di lavoratori italiani, semmai sono una categoria sociologica. La qualità del lavoro eseguito si è abbassata, anche per l’uso di materiali certo più pratici ma di sicuro più scadenti. Inoltre questo afflusso di massa, forzato, cutrese (erano 10.000 tra Reggio Emilia e provincia, ora forse 20.000. Si diceva che le cooperative mandavano in Calabria le corriere vuote che ritornavano piene) creava in una piccola città come Reggio Emilia dei problemi enormi. Uno fu quello dei giovani cutresi sbandati organizzati in bande (i Puffi, perdonate il gioco di parole) a cui si contrapponevano le bande reggiane (i Baschi). Inoltre i cutresi abitarono forzatamente certe aree cittadine che divennero veri e propri ghetti. Nel corso del tempo gli stessi luoghi sono stati occupati non più dai cutresi (che intanto avevano fatto un salto di qualità) ma dai senegalesi, poi dai ghanesi e dai nigeriani e adesso soprattutto dai cinesi (si vedono in giro solo i cinesi benestanti, per non dire ricchi, che guidano SUV e BMW). Gli schiavi chissà dove sono. Nessuno indaga, nessuno si fa domande. E intanto è da un anno che anche la camorra è presente a Reggio Emilia, sotto gli occhi di tutti. Si occupa di droga e di sfruttamento della prostituzione magrebina, ben strana cosa questa.
Dragone è arrivato al confino a Quattro Castella di Reggio Emilia nel 1982. Allora sarà anche vero che questo personaggio ha chiamato qui i suoi sodali da Cutro, però c’erano già quelli tradotti qui dalle cooperative edili, fra l’altro tutte rosse, alla fine degli anni Settanta. Fino a qui si è parlato di quella chiamata Bassa Reggiana, con sede a Novellara, che comprendeva i comuni di Fabbrico, Campagnola e Novellara. Prima dell’arrivo di Dragone, perciò, c’era già una realtà economica cooperativa che si avvaleva di manodopera esterna super sfruttata, non sindacalizzata, pagata a cottimo in nero che sottostava al giogo del caporalato. Di sicuro il confino ha contribuito, ma qualcuno era già arrivato confuso nel mucchio, e di mestiere faceva il caporale e di sicuro era ‘ndranghetista.
Poi questa cooperativa Bassa Reggiana si è ingrossata, si è unita ad altre, ed ogni volta ha cambiato nome, per esempio è diventata Orion, e poi Coopservice, un gigante, una multiservice. E poi ci sono le altre cooperative, tipo Coopsette e Unieco (quest’ultima è specializzata nell’allestimento di discariche, e solo nella provincia di Reggio Emilia ce ne sono cinque che ricevono i rifiuti anche da altre regioni…). Diventa facile collegare mafia e rifiuti, in questo caso ‘ndrangheta e camorra. Un camorrista fa visita ogni tanto a un’isola ecologica cittadina. Cosa ci va a fare uno che viene dalla Terra dei fuochi? Naturalmente anche qui ci sono discariche abusive gestite da calabresi (articolo di giornale di qualche giorno fa). I fruitori potrebbero anche non essere calabresi, però. Costa meno stoccare rifiuti in una discarica abusiva piuttosto che comportarsi come prescrive la legge.
Ma per ritornare a quei 10.000 cutresi di cui si diceva, i loro figli si iscrivevano all’Istituto per Geometri Angelo Secchi di Reggio Emilia, abbassandone la qualità. La scuola si è adattata al livello culturale più basso dei ragazzi cutresi, che altrimenti non avrebbero nemmeno potuto sperare di raggiungere il diploma. Oggi questa scuola è quasi scomparsa, ma di sicuro negli anni passati la si è sfruttata fino all’osso. E pensare che era prestigiosa. Guarda caso nel boom delle iscrizioni dei ragazzi cutresi (negli anni Novanta in cui Grande Aracri Nicola aveva il controllo totale della ‘ndrangheta di Cutro e di Reggio Emilia) vi era preside la moglie di quel Franco Bonferroni citato nell’articolo di Statera su Repubblica (“Con il peggio della comunità calabra tresca l’inesauribile Bonferroni che, dalla P2 di Gelli, traslocò, a quel che dicono i magistrati, nella Loggia coperta calabrese al centro degli scandali indagati dal pm De Magistris”, così nell’articolo citato, 9 maggio 2009) e indagato nell’inchiesta Aemilia. Non più preside, diventa consigliera della Fondazione Manodori, una banca legata a Banca Intesa, Monte dei Paschi di Siena e UniCredit (tutte banche con interessi economico-militari fondate da Mario Draghi negli anni Novanta) nonché socia di Capitalia di Cesare Geronzi (citato nell’articolo di Statera) quando l’Antonella Spaggiari (il cavallo di Troia di Berlusconi, sempre nello stesso articolo) ex sindaco di Reggio Emilia per più di tredici anni ne è presidente. Così anche i figli degli ‘ndranghetisti si diplomano geometri. Cosa più che logica: il padre è un imprenditore edile e il figlio è un geometra iscritto all’Albo. Adesso fare affari è davvero cosa nostra. Ad ogni modo, sia come sia, le cooperative edili emiliane, già da molti anni, hanno incominciato a lavorare ovunque, anche all’estero, vincendo gare d’appalto milionarie.
Intanto i giornali del 9 marzo davano la notizia che il comune di Cutro è stato commissariato. Il comune di Cutro è gemellato con Reggio Emilia. E sul Carlino Reggio dell’11 marzo c’è un titolo in prima pagina che recita così: “Soldi alla Lega? Coop7 e Unieco nei guai”. Si tratta della gara per la realizzazione del grattacielo della Regione Piemonte (2011). La Coopsette, una delle società che ha vinto la gara d’appalto per la costruzione del grattacielo, avrebbe versato 50.000 euro per sponsorizzare l’evento ciclistico sportivo Giro della Padania 2011.
“Si tratta della corsa ciclistica a tappe organizzata dalla società ciclistica amatoriale Monviso-Venezia di Bra (Cuneo) presieduta dall’onorevole Michele Davico, che è stato sottosegretario all’interno nel governo Berlusconi (…) Il finanziamento sarebbe stato erogato pochi giorni dopo l’aggiudicazione della gara per il grattacielo (…) Fabrizio Davoli, presidente di Coopsette, nega la tesi della Procura (…) La decisione di sostenere tale evento sportivo rientrava nell’ambito dello storico impegno della Cooperativa teso alla valorizzazione degli eventi a carattere culturale, sportivo e sociale nei territori di radicamento imprenditoriale” (Carlino Reggio, cit.) Finanziamento illecito alla Lega Nord per l’appalto del grattacielo della Regione Piemonte mascherato da sponsorizzazione sportiva?
I cutresi stanno facendo le vittime accusando le cooperative di essere loro in odor di mafia, perché ora che c’è crisi penalizzano per l’esecuzione dei lavori le ditte calabresi. C’è chi gli dà ragione. Ma il messaggio vero della ‘ndrangheta è in realtà un ricatto. In realtà la ‘ndrangheta sta dicendo: “Ma come, sono quarant’anni che andiamo d’amore e d’accordo e adesso volete divorziare? Se lo fate ci saranno delle conseguenze”. Proprio così, chi si è sporcato con loro da loro non sarà mollato. Adesso qui a Reggio Emilia c’è un calendario di iniziative culturali contro la mafia, ma è tutto calato dall’alto, quasi un atto dovuto. La verità è che l’azione di contrasto non è visibile, e di sicuro i più vogliono che tutto si quieti per riprendere da dove si era lasciato. Non c’è conflittualità sociale. Non esistono aggregazioni di persone che non siano soltanto la sigla che le identifica. È vero che le cooperative hanno usato fondi neri messi a loro disposizione dalla ‘ndrangheta per pagare le tangenti e vincere gli appalti (cooperative come la Coopsette furono già indagate all’epoca di Tangentopoli senza evidenze positive) o per finanziare il PCI? È vero che D’Alema veniva ogni tanto a Reggio Emilia, dimorava all’Hotel Astoria (un hotel di prestigio, non un ostello) e se ne tornava a Roma con una valigia di soldi, per modo di dire? Finanziamento al PCI? Erano le cooperative a dargli quel denaro? E da dove lo prendevano? Glielo dava la ‘ndrangheta? E in cambio di cosa? Pecunia non olet? Oppure non è vero niente e la ‘ndrangheta ce la siamo sognata?
Altra cosa da considerare seriamente è che in Pianura Padana vivono 30.000.000 di italiani, cioè la metà dell’intera popolazione. Ed è in Pianura Padana che gira la ricchezza, ed è perciò la Pianura Padana che deve essere conquistata. Sud del Piemonte, della Lombardia e del Veneto e Nord dell’Emilia Romagna.
La ‘ndrangheta si è radicata non per una particolare e superiore intelligenza dei suoi membri, ma perché il denaro fa gola a molti. Senza complici alleanze non avrebbero potuto fare quello che hanno fatto e che ancora stanno facendo nonostante le varie inchieste e i numerosi arresti. Sono state le istituzioni che gli hanno aperto la porta, quelle stesse istituzioni che oggi urlano indignate recitando la parte dei paladini della legalità. Quando tutto si sarà quietato si riprenderanno gli affari là dove sono stati interrotti, fino alla prossima inchiesta. Il comune di Reggio Emilia si è gemellato con Cutro, gli ha dedicato una via, ha accolto i suoi cittadini a migliaia, gli ha assegnato le case popolari e via di seguito, e adesso vuole far credere che in questi quarant’anni non s’è mai accorto di nulla? (Per inciso, la comunità cutrese non si è mai integrata a Reggio Emilia. Stanno tra loro in un mondo impenetrabile) Troppe volte lo sguardo si è rivolto da un’altra parte, pur di non vedere. La stessa Sonia Masini (oggi schierata in prima linea contro le cosche) ex presidente della Provincia per anni ha sostenuto e urlato con protervia che di mafia non si doveva parlare, attaccando persino il Procuratore antimafia Gratteri e il professor Nicaso in una conferenza pubblica nella sala riunioni della Camera di Commercio di Reggio Emilia. Verrebbe da dire: “L’avete voluta, la ‘ndrangheta? E adesso tenetevela!”. È vero che la ‘ndrangheta forniva fondi neri alle cooperative? È di sicuro vero che chi amministrava la città metteva la mordacchia a quei pochi che tentavano di mettere in guardia la cittadinanza, e se non bastava usava anche la diffamazione, pratica anche questa mafiosa. E infine si è mischiata la politica con l’economia e con il malaffare, cosa che sa tanto di moderno. Quando le vacche erano grasse tutti ridevano. In fondo, mafia o non mafia, l’importante è che il denaro giri. Lo dice anche l’ISTAT che i guadagni della malavita contribuiscono alla formazione del Prodotto interno lordo. Adesso i calabresi mafiosi recitano la parte delle vittime, ma in realtà stanno mandando un messaggio forte e chiaro a tutti quelli che si sono sporcati con loro. E il messaggio è che il sodalizio deve continuare, se no ci saranno rappresaglie. Altrimenti a che cosa servirebbero i loro depositi di armi tra le quali ci sono persino dei bazooka? E a questi politici e amministratori bisognerebbe chiedere: “Chi ha firmato le licenze edili? E le varianti al Piano Regolatore Generale? Chi ha incassato gli oneri edili per ogni metro quadro? (a Reggio Emilia costano il doppio di Parma e Modena, cioè 160 euro al metro contro gli 80 delle altre due province) Chi ha permesso che la manodopera cutrese sostituisse quella reggiana?”. E si badi bene che nulla è stato casuale, ma derivava da una precisa volontà.
Anche i soldi usati dai cinesi per gli acquisti di case, appartamenti e magazzini (occupano praticamente un quarto dello spazio cittadino, e non è una esagerazione) probabilmente erano della ‘ndrangheta. Questa cosa della mafia cinese in combutta con le mafie nostrane è grave. Quando il Comune di Milano invitò il Dalai Lama i capi cinesi minacciarono in modo esplicito che se fosse venuto avrebbero scatenato le bande giovanili. I prepotenti non hanno nazione e ogni luogo della Terra è casa loro.
Nella mente di molti Graziano Delrio (ex sindaco di Reggio Emilia, ora ministro del governo Renzi) appare come un ragazzo anche un po’ ingenuo, invece è un adulto che fa dei calcoli, lo dimostra la sua carriera politica fulminante. E se fosse lui il cavallo di Troia? Nel qual caso bisognerebbe scoprire per conto di chi. Lui, quand’era sindaco, era andato nell’ufficio dell’allora prefetto di Reggio Emilia Antonella De Miro insieme a tre consiglieri comunali di origine cutrese. Chissà cosa le avevano detto. Lei aveva posto diverse interdittive alle ditte edili in odor di mafia, e gli ‘ndranghetisti titolari di imprese edili si lamentavano, anche attraverso interviste sui giornali, di essere discriminati. Lei fu poi trasferita a Perugia. Adesso il nuovo sindaco di Reggio Emilia, Luca Vecchi, ha proposto che il Comune le dia la Cittadinanza onoraria. Prima la cacciano e poi la blandiscono e la vellicano, che schifo! Aveva colto nel segno Giorgio Gaber quando cantava che (i politici) “c’hanno certe facce che a vederle fanno schifo”. Che avesse ragione il Lombroso?
E poi c’è il paese di Don Camillo e Peppone, dove il sindaco Marcello Coffrini, un avvocato figlio d’un avvocato, difende il boss Grande Aracri arrivando a organizzare una manifestazione in suo favore. Ma questo era prima degli arresti conseguenti all’inchiesta Aemilia. Eppure non si vuole dimettere, ah no! C’è anche questo, al giorno d’oggi, nella terra dei fratelli Cervi. E poi il Tribunale del Riesame ha liberato l’avvocato Giuseppe Pagliani nonostante l’inchiesta Aemilia dimostri il suo coinvolgimento mafioso (voto di scambio, pressioni al prefetto). E perché è stato liberato? Perché non parli? O perché ha parlato? E Delrio quel viaggio a Cutro per la festa del Cristo lo fece nell’aprile del 2009 poco prima delle elezioni amministrative (6 giugno) che lo vedevano per la seconda volta candidato a sindaco di Reggio Emilia. Promuoveva se stesso? Questa è gente che non prova vergogna mai. La sua ultima impresa è stata quella di onorare con la Medaglia del Ricordo (onorificenza legata alla memoria delle foibe) un repubblichino di Salò di Parma morto fra l’altro in uno scontro a fuoco con una brigata partigiana.
Ecco qui una lettera che i giornali di Reggio Emilia non hanno pubblicato.
“Le mani sulla città” fu un film memorabile. E Reggio Aemilia a chi è in mano? A Nicolino Grande Aracri detto Manuzza?
Ma va’ là, a Reggio Emilia mica c’è la ‘ndrangheta! Ti confondi, è a Reggio Calabria. Questo era il motivetto degli uomini e delle donne al potere in questa città. In questa provincia. In questa regione. Capirai, qui comandava il PCI. A meno che… In fondo, pecunia non olet, il denaro non puzza. Brutti comunisti falsi! Vuoi vedere che…
Un giorno del 2012, davanti ai magistrati che conducono l’inchiesta Aemilia, Graziano Delrio balbetta e s’impappina, esita, non ricorda, fa confusione. E però che carriera fulminante che ha fatto! La Simona Caselli minaccia, guai a chi osa anche solo pronunciare la parola cooperativa. Piena di sacro ardore, posseduta dall’estasi mistica, lei querela chiunque s’azzardi a criticare le cooperative di rosso colore. E così questa città che tutt’Italia voleva essere uguale si scopre omertosa. C’erano andati, i notabili cittadini di Reggio Emilia, a Cutro, proprio nel giorno che si festeggia ogni sette anni, quando i capi bastone sfilano in processione. Ma Delrio, sindaco di Reggio Emilia, non sa, non gli è nemmeno giunta voce di un tale Nicolino Grande Aracri. Era il mese di aprile, e il 6 giugno di quell’anno, il 2009, ci sarebbero state le elezioni amministrative a Reggio Emilia, e Delrio si sarebbe candidato sindaco per un secondo mandato. Che sia andato a chiedere voti?
È il 1979 e la rossa cooperativa edile Bassa Reggiana costruisce a Rivalta 108 appartamenti divisi in due blocchi con il sistema chiamato tunnel. Si montano giornalmente i casseri di ferro a formare due pareti e un solaio, si armano e si getta il calcestruzzo. In questo modo si realizza un appartamento al giorno, almeno nella sua struttura portante. Poi si tirano su i muri divisori e si stende l’intonaco. Ed eccole arrivare le squadre artigiane da Cutro, intonacatori a scagliola. Era così che le chiamavano, ma erano lavoratori a cottimo comandati da caporali. Il movimento operaio è sempre stato nemico del caporalato e del cottimo, ed ecco che una cooperativa di rosso colore lo adotta. In seguito quella cooperativa si fuse con altre e divenne Orion, e poi si fuse ancora e si chiamò Coopservice. Ed è così che è iniziato il nuovo corso dell’edilizia a Reggio Emilia, con una emigrazione forzata da Cutro, con le cooperative che vincono gli appalti e le imprese cutresi (ma quante sono? “Una cazzuola un’impresa” è il motto della nuova edilizia reggiana) che eseguono i lavori. Città omertosa, dicevo. È vero che abbiamo, tanto per dirne una, i camorristi sotto gli occhi di tutti, in pieno giorno, nel bar sotto i portici di via Emilia San Pietro a due passi da Tosi? È vero che abbiamo l’avvocato Marcello Coffrini, sindaco di Brescello (il paese di Don Camillo e Peppone) che manifesta a favore dei Grande Aracri? È vero che abbiamo un Bacchi di Boretto (vicino a Brescello) che ruba la sabbia del Po e usa per farlo i camion della ‘ndrangheta? È vero che abbiamo gli incendi dolosi, che sembra di essere nella Terra del Fuoco? È vero che abbiamo i Compro oro spuntati come funghi dopo la pioggia? Ricettazione e lavaggio di denaro sporco? È vero che avevamo un prefetto, Antonella De Miro, che fu trasferita, ahimè, perché onesta? È vero che Delrio e tre consiglieri cutresi le fecero pressioni perché la smettesse con tutte quelle interdittive? È vero che abbiamo il politico Giuseppe Pagliani, avvocato anche lui, che s’accorda con il clan che gli promette voti purché lui contrasti le interdittive del prefetto sunnominato nei confronti delle imprese edili cutresi in odor di mafia? È vero che abbiamo la Fondazione Manodori, una banca che nessuno indaga e che ha a che fare con UniCredit, Banca Intesa e Monte dei Paschi di Siena, banche d’affari istituite da Mario Draghi negli anni Novanta al servizio di un potere economico-militare, e socia di Capitalia di Cesare Geronzi? E di questa Manodori è vero che l’Antonella Spaggiari (sindaco di Reggio Emilia per più di tredici anni) fu presidente, e consigliere la signora Bonferroni (moglie di quel Franco Bonferroni in odor di ‘ndrangheta e più volte indagato fin dai tempi di Tangentopoli) già preside dell’istituto per geometri “Secchi”, professione che più di tutte ha a che fare con l’edilizia e perciò ambita dai rampolli delle famiglie cutresi che in anni ancor più sospetti ne ebbero il monopolio? È vero che abbiamo la tracotanza di una nomenclatura che ha commesso un peccato troppo grande per poterlo confessare in questa terra che è la patria dei sette fratelli e dei martiri del 7 luglio 1960? È vero che abbiamo tutte queste cose e molto altro, ma abbiamo perso il senso civico, in questa città lasciata a se stessa, dove persino una nevicata diventa un problema? È vero… Ah, beh, allora…
Un’ultima cosa: vorrei esortare i reggiani a riempire i muri cittadini della loro rabbia, e gli hacker, se ce ne sono, a entrare nei sistemi informatici di questi politicanti burocrati collusi per svergognarli finalmente, e danneggiarli anche, senza tregua. Democrazia diretta! Se non possiamo cambiare le cose, almeno diamogli fastidio!
Da Reggio15 Enzo Stefanini, cittadino
PS: Reggio15 fu un glorioso foglio reggiano di giornalismo d’inchiesta e di approfondimento. Oggi rinato ma costretto alla clandestinità. Giornali così non ce n’è in città.
da http://www.labottegadelbarbieri.org/
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