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Una risposta a Landini e alla “coalizione sociale”

La proposta del segretario dei metalmeccanici della Cgil centra un nodo vero della situazione sociale che stiamo vivendo: il bisogno di coalizzare in un fronte coeso spezzoni di società che, divisi, stanno subendo da anni l’offensiva del neoliberismo. Un tempo questa opera di coesione la si delegava alla politica. Oggi, nel disastro della sinistra del nostro paese, completamente soggiogata al renzismo o comunque dedita ai giochi di palazzo, le sponde politiche sembrano tramontate. E allora Landini, alle prese con la battaglia interna alla Cgil, si gioca questo vuoto per provare a modificare gli equilibri in Corso Italia.

La sua proposta può essere declinata in modi diversi. C’è chi la legge alla Rodotà, come aggregazione tra pari dentro una rilettura strategica della sinistra fondata attorno alla difesa dei beni comuni, oppure alla Sergio Bologna, come occasione per dare rappresentanza al popolo delle partite Iva e del lavoro autonomo di seconda generazione. Ma il dato vero è che essa si configura come una aggregazione di soggetti attorno alla Fiom per ribaltare i rapporti di forza dentro la Cgil.

Si tratta di una operazione non solo poco credibile, giacché le chanches di Landini nella Cgil appaiono assai ridotte, ma soprattutto destinata a svilire il ragionamento di fondo, la coalizione sociale, che invece resta di grande attualità. Imprigionare questo tema dentro gli equilibri della Cgil, che da troppo tempo ha perso le caratteristiche di organizzazione sindacale democratica e conflittuale, impedisce di far fare a questa discussione quel salto di qualità che invece richiederebbe.

Noi intanto segnaliamo tre assi di ragionamento sui quali cominciare a discutere per porre correttamente il tema della coalizione sociale. Primo asse: il tema dell’indipendenza dalla politica non si esaurisce in un generico richiamo alla indipendenza dai partiti. Si tratta di assumere un profilo di totale distacco dalle scelte strategiche del neoliberismo e delle forze politiche che lo hanno interpretato in questi anni, a cominciare dalla subalternità alle politiche della UE e dei suoi Trattati. Indipendenza significa innanzitutto oggi alterità rispetto alle direttive di poltica economica che vengono dettate a Bruxelles e a Berlino. Questo argomento richiama l’idea di autonomia culturale e strategica fondata sulla condizione sociale di appartenenza, è l’idea dell’autonomia di classe. Il primo asse è: l’indipendenza che serve è quella dal neoliberismo.

Secondo asse: la coalizione non può essere un generico forum, ma allude alla necessità di dare organizzazione stabile a milioni di persone che oggi si trovano senza capacità di resistenza collettiva. L’aggettivo sociale non si può aggirare convocando coordinamenti di associazioni. Esso implica la costruzione e la sperimentazione di forme di organizzazione di massa che siano oltre la dimensione sindacale tradizionale. Il sindacato, quello vero, democratico, indipendente, conflittuale non è affatto superato, ma è certamente insufficiente. Soprattutto nelle metropoli e nei contesti urbani la colazione sociale può essere un dato importante se diventa forza di massa organizzata, se misurandosi con i conflitti urbani riesce a produrre forme innovative di contrattazione sociale. L’unione tra il lavoro in fabbrica e nei servizi e i conflitti sul territorio può rappresentare un salto di qualità per le mille battaglie diffuse nella penisola. Il secondo asse è: la coalizione è sociale se si costruisce nelle lotte.

Terzo asse: l’assenza di rappresentanza nei settori popolari delle grandi città sta producendo uno spostamento a destra degli umori e degli orientamenti proprio in quella fetta della società che costituisce la base fondamentale su cui immaginare il cambiamento. La coalizione sociale deve riuscire a parlare, e ad organizzare, questa fetta del paese. Stiamo parlando dei lavoratori a basso reddito, dei senza casa, dei tantissimi migranti a cittadinanza limitata che vivono e lavorano nel nostro paese, dei disoccupati, degli inoccupati e dei giovani neet. Il terzo asse è: organizzare collettivamente la parte più povera della società e saldarla con il movimento dei lavoratori.

La questione malposta da Landini e di cui forse lui stesso non coglie l’effettiva portata, apparve improvvisamente nelle strade di Roma nell’autunno del 2013: erano le giornate del 18 e 19 ottobre nelle quali una coalizione in fieri aveva mosso i suoi primi passi. Il progetto era maturo ma implose di lì a poco per l’insipienza dei suoi protagonisti. Non si colse allora che la sfida non stava nella composizione delle soggettività ma nella costruzione di un ambizioso progetto di coalizione sociale stabile e organizzata. Disegnare i contorni di un nuovo sindacalismo sociale era ed è la partita. Ed è da lì che occorre ripartire.

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