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Il Trattato Trans Pacifico di libero scambio mina i programmi di assistenza sanitaria

 Le ultime indiscrezioni di Wikileaks su parti dell’accordo di partenariato transpacifico (Trans-Pacific Partnership Agreement, TPP o TPPA) riguardanti le coperture assicurative sulla salute ed i sistemi sanitari vanno in un certo senso a confermare il potenziale distruttivo che l’accordo possiede [1].
Forgiati in corridoi di impenetrabile segretezza, questi funzionari diplomatici delegati hanno iniziato a minare gli stessi sistemi sovrani delle loro nazioni per stadi, anche se pretendono di dimostrare che ciò è conforme agli interessi del loro paese.

La bozza dei paragrafi dell’accordo fatti trapelare da Wikileaks hanno anche rivelato che le imprese multinazionali saranno beneficiate con un assortimento di misure a protezione dei loro investimenti, mentre sempre più vasti settori delle misure a protezione dell’ambiente saranno demoliti. I tavoli segreti dei colloqui per l’accordo trionfano sulle camere parlamentari.

All’interno di un’analisi dell’Allegato sulla trasparenza e correttezza delle procedure per la messa in commercio dei prodotti farmaceutici condotta da Jane Kelsey della Facoltà di Legge dell’Università di Auckland, ci viene detto che i documenti “cercano di erodere le procedure e le decisioni delle agenzie del farmaco cui viene demandata la scelta delle medicine e dei servizi sanitari che devono essere finanziati con denaro pubblico e per quale quantità”. [2]

I comparti che lo Stato dovrebbe controllare saranno soggetti ad un’invasione occulta. Il TPP agisce come un cannone ad alzo zero, una sorta di tattica della terra bruciata su ogni normativa tradizionale di garanzia. Una di queste aree è appunto quella dei programmi sanitari statali. Gli investitori privati nel debito sovrano hanno il potere di incidere profondamente su tale settore, laddove questi stessi investitori (per la maggior parte multinazionali) manifesteranno la legittima aspettativa di essere trattati con correttezza ed equità. Ciò emergerà in tutti quei casi in cui i programmi sanitari e le medicine incluse nella spesa sanitaria potranno essere contestati come pregiudizievoli nei confronti di tali investitori.

Per questa ragione, l’Australia, nel paragrafo trapelato del gennaio 2015, ha specificato che il suo  Programma dei sussidi farmaceutici, il suo Programma dei trattamenti sanitari garantiti e l’Amministrazione dei Beni Terapeutici così come l’Ufficio per la regolamentazione dell’ingegneria genetica dovrebbero essere esenti dalla giurisdizione sui conflitti tra Stati ed investitori.

L’analisi dell’effetto potenziale dell’accordo sull’Agenzia Neozelandese del Farmaco (PHARMAC) lo dimostra. E rivela altresì la persistente ambiguità ed ipocrisia delle dichiarazioni dei diplomatici, i quali rappresentano una realtà per i cittadini ed un’altra per il contesto strategico dominato dagli Stati Uniti.

I funzionari USA per il commercio e per l’industria farmaceutica hanno fatto chiaramente capire che il PHARMAC è la pecora nera nella loro visione del libero commercio internazionale. Costituito nel 1993 il PHARMAC ha come scopo quello di “assicurare per i cittadini che hanno necessità di terapie farmaceutiche i migliori protocolli sanitari ragionevolmente fruibili in ambito di trattamento farmaceutico e nella misura dei fondi pubblici stanziati” (Legge neozelandese sulla Disabilità del 2000, art. 47).

Il suo ruolo è insieme particolare ed esteso, comprendente la negoziazione dei prezzi dei farmaci con le industrie farmaceutiche ed i livelli di rimborso assicurati dai fondi pubblici. E’ anche il sogno per tutti coloro che sono coinvolti nell’aumento stellare dei costi della spesa medica. L’industria farmaceutica americana ha una visione differente e lo vede come l’ostacolo più grosso, “un esempio egregio” di un modello che abbassa i prezzi dei farmaci e dei trattamenti sanitari a spese del profitto.

Le richieste presentate al governo USA nel 2011 dal settore industriale con riferimento al TPP hanno specificatamente menzionato questo punto, ulteriormente evidenziando la “santità” dei brevetti e della proprietà intellettuale, le quali verrebbero violate da questa percepita mancanza di trasparenza.

L’annuale rapporto USA sullo “Special 301″ (2015) di Michael Froman [2bis], che verte sulle questioni della proprietà intellettuale, evidenzia una seria preoccupazione per le politiche e il funzionamento dell’Agenzia dell’amministrazione dei Farmaci della Nuova Zelanda (PHARMAC), preoccupazione che include, tra le altre cose, l’assenza di trasparenza, correttezza e prevedibilità del sistema di determinazione dei prezzi e dei rimborsi della PHARMAC, così come gli ulteriori aspetti negativi per il clima generale nei confronti dei farmaci innovativi in Nuova Zelanda”.

La discussione sulla correttezza e trasparenza ha poco a che vedere con gli accresciuti benefici per i cittadini. Le questioni commerciali poste sul tavolo hanno invece molto a che fare col portafoglio delle multinazionali e con la sua prevista grandezza. Un equo trattamento nei confronti dei cittadini, che vorrebbe dire mantener basse le spese mediche e rendere l’assistenza sanitaria accessibile, è questione meno interessante di quella del margine di profitto delle imprese farmaceutiche. Ma, solo al fine di ricordarci come sia stata delineata la posizione negoziale degli Stati Uniti, è sufficiente notare come ritengano i propri programmi statali esentati dall’asserito Eldorado del libero scambio.

I programmi delle altre nazioni devono essere bersagliati finchè gli interessi nazionali degli Stati Uniti non siano soddisfatti. Questa strategia è esattamente identica a quella perseguita nella negoziazione del trattato di libero scambio con l’Australia. “L’USTR (United States Trade Representative: agenzia federale degli USA che si occupa della negoziazione dei trattati commerciali, n.d.t.) ha lavorato a stretto contatto con tutte le altre agenzie federali per assicurare alla FTA (Agenzia del Commercio Federale) che i programmi statali USA di assistenza sanitaria non richiederanno alcun cambiamento”. La lobby commerciale statunitense riesce pertanto a rubacchiare mentre i programmi statali di nazioni più piccole sono in sofferenza.

Ci sono segnali che l’ideologia del libero scambio potrebbe non ricevere quell’accoglienza favorevole sul Colle (Capitol Hill, sede del Parlamento USA) altre volte riservata. Lo scorso venerdì la Camera dei Rappresentanti ha respinto la mozione della Commissione per la Promozione del Commercio che voleva una corsia preferenziale per la negoziazione dell’accordo TPP. [3] Sebbene ciò sia lontano dal far pensare che i deputati abbiano raffreddato il loro entusiasmo per gli accordi regionali di commercio, suggerisce però che la concessione di ampi poteri al governo per favorire accordi sul commercio asseritamente “libero” è fonte di grande preoccupazione. Sarà richiesta una maggioranza più ampia.

Al di fuori dei diversi parlamenti interessati, la resistenza all’accordo TPP ha rinvigorito il movimento antiglobalizzazione, facendo prender forma ad una resistenza di base che ha gradualmente incrinato il consenso prefabbricato dai media e dal potere sul libero commercio. L’espressione “libero commercio” è il grande ossimoro epocale e merita l’esilio dal lessico della discussione politica.

Il Dr. Binoy Kampmark è stato ricercatore sul Commonwealth al Sewyn College di Cambridge. E’ dottore di ricerca e lettore alla RMIT University a Melbourne.

Note: 

[1] https://wikileaks.org/tpp/healthcare/ (L’accordo TPP, è un accordo regionale commerciale tra paesi asiatici e del pacifico, inclusi Australia, Stati Uniti e Nuova Zelanda, per promuovere l’abbattimento di presunte barriere al libero scambio, simile all’accordo TTIP che gli Stati Uniti stanno negoziando con l’Europa. E’ condotto con analoghe modalità segrete in totale assenza di trasparenza e con uso di ampi poteri da parte di rappresentanze diplomatiche governative, spesso legate agli interessi commerciali delle multinazionali più che agli interessi delle nazioni. Ha come obiettivo le cosiddette “barriere non tariffarie” che spesso vengono identificate nei programmi e nelle norme statali per garantire l’equità sociale tra i cittadini, quali programmi di assistenza sanitaria universale e gratutita, norme di garanzia del diritto del lavoro, norme ambientali di garanzia della salute e dell’ambiente e norme per garantire e proteggere la trasparenza del commercio e della genuinità dei prodotti. Questi istituti vengono bersagliati da questi nuovi accordi come ostacoli al libero commercio, in realtà ostacoli al potere commerciale delle multinazionali che si pretende non debba essere ostacolato da nessuna “esigenza” statale al fine di subordinarlo al solo margine di profitto. Questa sorta di accordi trattano l’utilità e l’equità sociale come ostacolo all’impresa e ribaltano completamente – per fare un esempio italiano – la concezione dell’iniziativa economica privata, la quale – secondo l’art. 41 della Carta Costituzionale – “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.” (n.d.t.)

[2] https://wikileaks.org/tpp/healthcare/Professor-Jane-Kelsey-Analysis-on-TPP-Transparency-for-Healthcare-Annex.pdf

[2bis] Lo Special 301 Report è un rapporto annuale preparato dall’Ufficio per la rappresentanza negoziale degli USA nei trattati per il libero scambio (USTR). Deve il suo nome all’emendamento alla sezione 301 del Trade Act americano, da cui trae legittimazione. Identifica le barriere commerciali poste alle imprese statunitensi dalle varie leggi di altri Stati concernenti la protezione della proprietà intellettuale, come marchi, brevetti, registrazioni ed altre procedure amministrative. (n.d.t.)

[3] http://www.abc.net.au/news/2015-06-16/berg-tpp-not-the-bogey-treaty-that-we-think-it-is/6547242

 
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare 

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