Continua imperterrita la mobilitazione in tutta la Spagna, e particolarmente nella capitale Madrid, di lavoratori e pazienti del sistema sanitario contro le privatizzazioni degli ospedali e dei poliambulatori. Contro la decisione di regalare ai privati sei ospedali e 27 centri sanitari nella solo provincia di Madrid, nei mesi scorsi decine di migliaia di persone si erano già mobilitate: occupando i nosocomi e invadendo la capitale per ben quattro volte – dal primo novembre – con le cosiddette “maree bianche”, in riferimento al colore dei camici indossati dai manifestanti mobilitati in difesa della sanità pubblica.
L’anno nuovo è appena iniziato ma domenica 6 gennaio, nonostante la festa dei ‘Re Magi’ e il freddo pungente, una nuova ‘marea blanca’ è scesa in strada contro le politiche omicide dei governi di destra statale e locale. Di nuovo, a migliaia, hanno raccolto l’appello delle associazioni mediche di categoria e dei coordinamenti a difesa del diritto alla salute sotto lo slogan “La sanità non si vende, si difende”. Al grido di “ci privatizzano” e “ai privati? Niente” lavoratori e pazienti hanno inondato il centro della città, sfilando da Plaza de Neptuno fino a Puerta del Sol, contro la legge che privatizza la sanità madrilena approvata nei giorni scorsi dal consiglio regionale della capitale. Incredibilmente, a metà percorso, tre agenti di polizia hanno fermato e identificato tre anziani manifestanti, scatenando la rabbia degli altri che hanno iniziato a gridare slogan come ‘i figli dei poliziotti, all’università perché non diventino come i loro papà’ oppure “vergogna vergogna”.
Nonostante la legge sia stata approvata medici e pazienti riuniti nei coordinamenti hanno chiarito che la mobilitazione contro il provvedimento continuerà, per impedirne l’applicazione e obbligare le autorità a tornare indietro su una decisione che mette in ginocchio la sanità pubblica in una città di quasi 5 milioni di abitanti. E che regale un enorme patrimonio pubblico a poche aziende private desiderose di accumulare profitti sulla pelle dei pazienti.
Nonostante a fine dicembre i medici abbiano sospeso lo sciopero a oltranza indetto a partire dal 26 novembre, gli oppositori della privatizzazione hanno cominciato a mettere in pratica forme di protesta alternative e non meno efficaci. Anche perché nel frattempo si stanno formando comitati più o meno spontanei contro il pagamento del nuovo ticket di un euro a ricetta introdotto dal governo di Mariano Rajoy a partire dal primo gennaio. Il tentativo è quello di dar vita in tempi brevi ad un coordinamento di singoli e realtà che organizzi il boicottaggio del ‘copago’ – il ticket su ricette, esami e prestazioni sanitarie – e che mandi in tilt il sistema.
Inoltre ieri il Coordinamento dei Dirigenti dei Centri Sanitari di Madrid ha consegnato all’assessorato alla sanità della regione di Madrid le lettere di dimissione di 322 dirigenti del settore sanitario che si dichiarano indisponibili a continuare nelle proprie funzioni dal momento in cui la privatizzazione degli ospedali e dei centri di prima urgenza verrà consumata. Una iniziativa accompagnata dalla consegna di 3000 firme di medici del settore pubblico che si dichiarano indisponibili a partecipare alle attività di gestione di ospedali e poliambulatori. Una protesta che potrebbe portare al collasso dei centri sanitari. Infatti solo 60 dirigenti hanno deciso di non dimettersi e in ben 90 centri sanitari della piccola regione le rinunce riguardano la totalità degli incarichi direttivi.
E se ben presto curarsi per gli spagnoli sarà più difficile e più caro – e non pochi quindi dovranno rinunciare a farlo in tempo o rinunciarvi del tutto – uno studio reso noto nei giorni scorsi afferma che un bambino su quattro vive già in condizioni di povertà. I tagli draconiani alla spesa sociale decisi dal governo statale e da quelli locali hanno letteralmente fatto crollare, in pochi mesi, le condizioni di vita della popolazione, già alle prese con una disoccupazione al 25% e con la diminuzione del salario e della pensione per quei fortunati che ancora li percepiscono. I sette Centri di sviluppo sociale che l’ong “SOS Villaggi dei Bambini” ha avviato a Madrid, Barcellona e in Galizia hanno sostenuto, solo nel 2011, 4.500 bambini e oltre 700 famiglie, e ancora oggi forniscono pasti regolari e vestiario alle famiglie in stato di necessità. “Non sapevamo a chi rivolgerci, dal momento che non abbiamo parenti o amici” ha spiegato Liliana, che vive in Spagna ed è nata in Uruguay. “Ora i nostri figli sono ben curati, pranzano e fanno merenda al centro, dove vengono anche aiutati a fare i compiti. È stato difficile ammettere di essere in difficoltà e chiedere aiuto, ma oggi piano piano ne stiamo uscendo”. Il marito di Liliana è disoccupato e la loro famiglia è entrata a far parte del programma di rafforzamento familiare Sos nel 2008, dopo che il governo aveva ridimensionato il budget per il sostegno ai nuclei familiari. I loro tre figli erano a rischio di malnutrizione, la frequenza scolastica e il comportamento aggressivo dei bambini, sommati alla terribile situazione della famiglia, hanno portato i due genitori a chiedere aiuto. “I nostri educatori e terapeuti segnalano un aumento allarmante del numero di genitori che dichiarano di avere subito violenza per mano dei propri figli” ha rivelato Pedro Puig, Direttore nazionale di SOS Villaggi dei Bambini. “Il tasso di disoccupazione tra i giovani delle comunità in cui operiamo raggiunge il 52% e, in molte famiglie, entrambi i genitori sono disoccupati. Attraverso gli asili nido, sosteniamo i genitori affinché possano continuare a cercare un`occupazione”. “La nostra priorità è proteggere i diritti dei bambini e garantire che non soffrano. Non possiamo permettere che abbandonino gli studi, perché così non avrebbero alcuna speranza. Per questo il nostro team a Madrid fornisce un sostegno ai giovani che sono stati espulsi dalla scuola e prevede di estendere il servizio anche ai bambini di strada” ha concluso Puig.
Ma quanti sono i giovani e gli anziani che non riescono ad essere intercettati dalle ong o dalle istituzioni caritatevoli? Molti, sempre di più. Perché anche ong e istituzioni caritatevoli soffrono la diminuzione dei finanziamenti pubblici, per non parlare del calo dell’entità delle donazioni da parte dei privati.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa