Roma fa schifo, la livorosa bacheca razzista filo-padronale, ha purtroppo assunto nel corso del tempo il ruolo di voce “dell’uomo qualunque”, del “cittadino” romano mediocre, sfogatoio qualunquista del peggior odio anti-proletario, aiutata in questo da un supporto mediatico senza precedenti volto ad elevare ad “opinione pubblica rilevante” qualsiasi espressione del malcontento purchè (apparentemente) non organizzata politicamente. Il qualunquismo a-partitico e anti-politico, superficialmente criticato, è invece il requisito fondamentale per essere presi in considerazione dall’informazione mainstream. Partito con l’obiettivo (anche qui apparente) di denunciare il “degrado” cittadino fatto di muri sporchi, tombini otturati, marciapiedi ingombri di immondizia, il sito è rapidamente evoluto in denuncia permanente della povertà, accusando i poveri, i lavoratori dipendenti, i militanti politici, i migranti, del declino economico, sociale e culturale della città. Ovviamente la fortuna del covo razzista-qualunquista è dovuta anche ad una situazione oggettiva, quella del suddetto declino, che riguarda la città e che non è stato minimamente compreso dalla sinistra cittadina, che da una parte ha governato questo declino per un ventennio, mentre dall’altra ammiccava al “buongoverno” centrosinistro interpretato come “male minore” rispetto alle opzioni politiche di centrodestra. Per altro verso, quello della sinistra non compromessa con i passati governi cittadini, il tema del declino metropolitano è stato abbandonato cedendolo alle retoriche di una destra reazionaria che ovviamente oggi cerca di cavalcare un malcontento popolare che pure è legittimo e anzi sacrosanto. Bene, questa la premessa. Oggi però il ruolo e gli obiettivi polemici del sito in questione sono cambiati smascherando non solo l’intento reale del suo curatore, Massimiliano Tonelli, cioè quello di incolpare lavoratori e disoccupati del declino cittadino, ma soprattutto manifestando la propria ideologia proprietaria neoliberista, volta a difendere la proprietà dei possidenti dalle pretese dei “diversamente ricchi”. Insomma, da sito moralistico-perbenista si è trasformato in sito della destra cittadina in campagna permanente contro l’economia pubblica, i lavoratori dipendenti e i militanti politici. In realtà, ovviamente, lo è sempre stato, ma se prima copriva questa sostanza da una patina politicamente accettabile o spendibile venendo per l’appunto ripreso dall’informazione generalista, oggi il Tonelli ha gettato la maschera per motivi che magari capiremo in primavera. Questo però non toglie che numerose sue prese di posizione ancora oggi possono passare non come politicamente orientate, ma come “discorsi di buon senso”, riuscendo così a far passare un messaggio che altrimenti farebbe fatica a trovare spazio all’interno dei quartieri popolari. Ad esempio, la polemica sul corteo di Centocelle contro sfratti e sgomberi.
Sabato a Centocelle, un quartiere un tempo popolare ed oggi in fase di gentrificazione galoppante, si è svolto un corteo in difesa degli spazi sociali, delle occupazioni abitative, per il diritto alla casa e contro la politica di sgomberi e repressione annunciata e perseguita dal Prefetto Gabrielli. Tonelli ha pensato bene di commentare la manifestazione con il messaggio che potete leggere nell’immagine che descrive questo articolo. Un commento che parte da un presupposto dato per scontato e che invece manifesta un’ideologia politica precisa. Per la voce del proprietariato, l’unico modo per resistere a sfratti è sgomberi è “pagare l’affitto, spaccandosi il culo a lavoro ogni mattina, spostandosi di quartiere finchè non se ne trova uno sostenibile”. Questo presupposto “di buon senso” in realtà è contrario alla Costituzione italiana, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite, nonché all’indirizzo economico sia formale che sostanziale che ha caratterizzato le politiche di sviluppo nazionale dal dopoguerra ad oggi. Insomma la casa non è un bene legato al patrimonio, ma dev’essere garantita dalle istituzioni pubbliche in ossequio alla carta fondamentale nonché ad una serie di convenzioni internazionali che l’Italia ha firmato e promosso.
Altro presupposto “di buon senso” spacciato per neutrale e che invece sottende una visione del mondo classista proprietaria, è quello per cui se non si hanno i soldi per l’affitto si cerca un altro quartiere in cui risiedere. Si potrebbe ricordare che Centocelle, nonostante la progressiva gentifricazione neoborghese, è ancora un quartiere proletario e semi-periferico, dove “i poveri” sono stati spinti a forza dalle precedenti ondate di spopolamento dei quartieri nel corso del tempo inglobati dalla “città vetrina”, oppure dove, durante le migrazioni interne, si sono ritrovati masse popolari impossibilitate alla residenza in zone più “esclusive”. Insomma, Centocelle è già il frutto di una selezione di classe. E soprattutto, dove sta scritto che debbano esistere zone destinate ai ricchi e zone destinate ai poveri? Da nessuna parte, e infatti anche questa differenziazione territoriale è contraria alla Costituzione nonché ad una caterva di trattati internazionali che solo ad elencarli non si finirebbe più. Accecato dall’obiettivo di difendere i suoi simili, cioè il padronato metropolitano contro l’invasione proletaria e sottoproletaria, Tonelli confonde qualità e dimensione delle suddette case con la zona in cui queste permangono. E cioè, in un’economia di mercato come la nostra, è comprensibile che chi guadagna di meno non può pretendere per diritto una villa o un palazzo tutto per sé come chi guadagna di più, ma può e anzi dovrebbe avere il diritto di abitare dove gli pare. E infatti a Roma, nel pieno centro storico (pensiamo alla zona del lungotevere di Tor di Nona, ma anche nei pressi di piazza Navona o a San Saba), è pieno di case popolari, perché non c’è scritto da nessuna parte che ai poveri debba essere destinata la periferia e ai ricchi il centro, e questo assunto è stato recepito persino dalla Repubblica del dopoguerra che, per quanto orientata in senso sociale, certo non poteva essere definita para-socialista. Il centro di Roma è pieno di case ex Iacp oggi gestite dall’Ater, proprio perché la Costituzione vieta discriminazioni territoriali o economiche, discriminazioni che invece si pretendono ovvie dall’ideologia neoliberista berciata da Roma fa schifo e rigurgiti simili.
Altra questione da rilevare è quella che sostanzia il commento di Tonelli ma che emerge anche dai commenti successivi al post. “Se vuoi vivere nella capitale i prezzi sono quelli”; “se ci vuoi vivere devi pagare”; “se non hai i soldi te ne vai”.
Anche queste risposte potrebbero essere scambiate per normali constatazioni, e sicuramente rientrano in quel “pensiero comune” egemonizzato dalle retoriche neoliberiste. Il problema è che anche in questo caso, come in quelli precedenti, l’apparente “buon senso” è in realtà smaccato cedimento all’ideologia dominante. In primo luogo la rassegnazione. Se aumentano i prezzi, l’unica soluzione è adeguarsi. Nessuna alternativa è considerata possibile, men che meno proveniente dalla politica, sia mai poi intesa come forma di autorganizzazione popolare. Lo sfogatoio telematico è l’unico ambito possibile in cui venire confinati, e il punto di vista economico prevale su tutti gli altri. La soluzione ad un aumento degli affitti o dei mutui è lavorare di più; se non ci si riesce, si cambia città, alla ricerca di qualcosa che finalmente possa fare per le nostre tasche. Nessuno sembrerebbe rendersi conto che cambiare città significherebbe perdere lavoro, cambiare scuola ai figli, cambiare abitudini di vita, amicizie, interessi, in una spirale degradante per cui alla fine non solo non si riesce a pagare l’affitto, ma si stravolge la propria vita solamente perché viene dato per acquisito il dato secondo il quale l’affitto o il mutuo può aumentare senza limiti o controlli pubblici, senza soluzioni prospettate per la parte debole della società. Di fronte all’interesse del padrone, i “poveri” si devono adeguare, e questo sillogismo è spacciato come neutrale e di “buon senso”. Questa la vera follia, quella per cui discorsi di questo tipo riescono a passare nelle periferie ormai pacificate come “né di destra né di sinistra”, quando in realtà descrivono la sostanza programmatica della peggiore destra conservatrice e proprietaria, una visione del mondo ottocentesca addirittura rifiutata (almeno a parole), dalle stesse destre del Novecento.
E’ dunque da qui che bisogna ripartire per smascherare l’ideologia proprietaria che accomuna i vari soggetti politici che si contenderanno il Comune in primavera. Perché al di là della patina colorata che vorrebbe distinguere i diversi partiti o “movimenti”, è ancora questo il piano politico entro cui determinare una differenza sostanziale tra una visione del mondo di destra e una progressista. Non c’è progressismo possibile se non parte dal miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori dipendenti e dei disoccupati, sia nella sfera lavorativa che in quella della redistribuzione sociale della ricchezza (cioè la difesa e l’ampliamento dello “stato sociale” e dell’economia pubblica. Questo è l’unico programma sul quale può esserci un confronto politico tra opzioni alternative. E questa la cartina tornasole con cui smascherare gli istinti reazionari della destra politicamente corretta à la “Roma fa schifo”.
da http://www.militant-blog.org/
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