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Domande senza risposta e interesse nazionale

Curai nel 2005 un volume, insieme agli amici e maestri Claudio Cancelli e Giuseppe Sergi, intitolato “Travolti dall’alta voracità”, che uscì per Odradek Edizioni di Roma nel 2006. Uno dei primi volumi organici, a cura di un editore nazionale, di dati tecnici e non soltanto. Ancora adesso un’opera molto attuale.

Il volume recava nomi importanti fra gli autori, fra i quali Luciano Gallino. In occasione della sua scomparsa, riporto alcuni estratti del suo saggio: “Domande senza risposta e interesse nazionale”, che riletti oggi — a distanza di dieci anni — colpiscono per la lucidità, l’attualità, la chiarezza, la sintesi. Luciano Gallino si pose all’inizio come potenzialmente favorevole al TAV, e quindi inesorabilmente, costruendo il ragionamento ed argomentandolo, arrivò alla conclusione opposta. Portando quasi per mano molti di coloro che condividevano le sue motivazioni iniziali, fino a quelle finali. Con un percorso lineare e privo di ipse dixit. In alcuni punti, lo scritto colpisce, arrivando ad essere profetico. Assicuro che ho soltanto omesso alcune parti meno interessanti, ma che ovviamente non ho osato modificare una sola virgola.

Curando quel volume, dieci anni fa, leggendo quei saggi, imparai molte cose. Ognuno ha la propria maniera di rendere omaggio ad un Maestro. Questa la mia. Grazie, Maestro.

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Domande senza risposta e interesse nazionale 

di Luciano Gallino (Università di Torino), 2005 (Estratti).

travoltialta-grandeSono tendenzialmente favorevole a un rilevante trasferimento del traffico merci dalla strada alla rotaia. Potrei quindi essere etichettato come un potenziale pro Tav, per inclinazione e per gli studi fatti sulle conseguenze dello sviluppo industriale.

Nel caso della Valle di Susa, in quanto tendenziale pro Tav, sono rimasto però — almeno fino ad ora — alquanto deluso. Mi attendevo che i politici,  gli amministratori, i dirigenti d’ impresa, gli esperti rispondessero con argomenti circostanziati alle perplessità di ordine tecnico ed economico sollevate da varie parti sulla grande opera che dovrebbe attraversare, per il lungo, tutta la valle. Ora è certo possibile che mi sia perso qualche articolo o discorso super-documentato. Resta il fatto che gli argomenti pro Tav in Valle di Susa avanzati negli ultimi mesi mi paiono rientrare prevalentemente nella categoria “ce lo chiede l’Europa”, ovvero “non si può bloccare il progresso”, o, ancora, “non si può cedere alla demagogia”. Un po’ poco, per uno che è sì pro Tav, ma che vorrebbe vedere la sua causa difesa con ragioni compiutamente argomentate.

Proverò a riassumere in alcuni punti le domande che mi pare non abbiano ricevuto finora, dal fronte pro Tav, risposte approfondite.

1) Sarebbe utile sapere quali analisi economiche sono state fatte, ovvero quali strumenti legislativi si pensa di introdurre, per assicurare che una volta compiuta la grande opera il traffico merci si sposti realmente, in misura tale da giustificare i costi economici e sociali dell’opera, dalla strada alla rotaia. Tale quesito è stato sollevato da un economista liberale, Mario Deaglio (La Stampa, 11/11/2005). I binari non sono dotati di un’attrazione magnetica tale per cui si possa essere certi che, una volta posati, fiumi di merci lasceranno la strada per affluire su di essi. Sarebbe drammatico se, dopo 15–20 venti di lavoro, trasformazioni radicali, sociali economiche e ambientali, di un’intera valle, e 15 miliardi di euro (che potrebbero facilmente diventare 18 o 20) le merci continuassero a correre sui tir.

2) Altri studiosi di economia, nemmeno essi estremisti, hanno osservato che il potenziamento della linea esistente, quella del Frejus, e una appropriata politica tariffaria pro-ferrovia e moderatamente anti-Tir, la domanda ferroviaria per Modane potrebbe arrivare a quasi 17 milioni di tonnellate/anno. Con la realizzazione della Tav in Valle di Susa la domanda potrebbe arrivare — ma non è certo, perché la composizione delle merci cambia — a poco più di 21 milioni di tonnellate l’anno (Andrea Boitani, la voce. info, 23/11/2005). Su un piatto, dunque, ci sono forse quattro milioni di tonnellate in più sui treni; sull’altro, un traforo di 52,7 chilometri, più uno di dieci, con 15 miliardi di spesa e oltre. Sarebbe gratificante, per chi crede nell’importanza del passaggio alla rotaia, capire come si pensa di equilibrare i due piatti della bilancia.

3) Gli svizzeri sono molto avanti con il raddoppio del Gottardo ferroviario e con la costruzione del nuovo tunnel del Loethchberg, dalle parti del Sempione. Pare ovvio che nei prossimi anni gran parte del traffico merci del milanese e di gran parte della Lombardia prenderà tale direttrice per andare sia a Nord sia a Nord-Ovest. E’ possibile vedere, e serenamente discutere, qualche studio che mostri in qual modo tale novità, che diventerà operativa molto prima dell’eventuale Tav in Valle di Susa, verrà ad incidere sulla convenienza di quest’ultima opera? Se mai un simile studio fosse in giro, un pro Tav tendenziale come chi scrive lo vedrebbe volentieri accompagnato da qualche studio comparato che dimostrasse razionalmente la convenienza, a livello nazionale, dell’opera valsusina rispetto a varie alternative. Quali, ad esempio, il raddoppio del Brennero, o il potenziamento della linea da Torino a Nizza, o della stessa linea preesistente del Frejus.

Ho lasciato da ultimo, ovviamente, la domanda delle domande. Anche nel caso in cui si dimostrasse con cifre e argomenti ben fondati che la Tav in Valle di Susa è, dal punto di visto economico, e a lungo termine, superiore a tutte le alternative possibili, e garantisce con elevata probabilità il passaggio di grandi volumi di merci dalla gomma alla ferrovia, bisogna chiedersi come si pensa di mantenere in valle un megacantiere della durata di 15–20 anni, che produrrà e dovrà poi trattare e trasportare alcuni milioni di tonnellate di materiali di scavo, contro la volontà di tutta una popolazione. Certo, impiegando un paio di migliaia di poliziotti e carabinieri al giorno, per tutto quel periodo, si potrebbe anche farcela. Ma con costi sociali e politici sin troppo facilmente immaginabili.

Ma soprattutto perché la questione è diventata per intero politica, come sono tutte le grandi questioni economiche non appena si scavi un poco sotto le loro apparenze tecniche. La loro sostanza è sempre la stessa: si tratta di distribuire con equità i costi e i benefici tra le popolazioni, gli strati sociali e i territori coinvolti in innovazioni radicali. Nella vicenda della Valle di Susa parrebbe, al momento, che i costi gravino prevalentemente su una parte sola.

Al punto critico in cui sono da qualche tempo arrivate le cose dopo l’attacco delle forze dell’ordine ai gazebo dove si annidava — qualcuno deve aver immaginato — il nocciolo duro dei resistenti valsusini, restano forse due strade per ragionare con calma sulla questione della Tav. Una strada consiste nel riconoscere un irrimediabile conflitto di fondo tra gli interessi locali e l’interesse nazionale, ma questo non deve prevaricare brutalmente sul secondo. I primi sono sacrosanti e non possono venire calpestati. Il secondo è però talmente più vasto, considerati i vantaggi economici che l’opera promette di recare alla collettività nazionale, da rendere inevitabile una decisione a favore della realizzazione dell’opera.

Una seconda strada potrebbe invece essere quella di adottare uno schema mentale diverso, il cui punto di elaborazione iniziale consiste nel chiedersi se per caso non siano proprio gli abitanti della Valle di Susa quelli che, con la loro opposizione a questo progetto di Tav, stanno facendo l’interesse nazionale. Che essi abbiano perseguito e perseguano interessi particolari non v’è dubbio. Ma intanto che così agivano essi hanno anche contribuito a far emergere per varie vie, in Italia, una tal massa di studi, di documenti, di interrogativi fondati circa la effettiva validità e la priorità del progetto, da far pensare che un minimo di principio di precauzione dovrebbe indurre a prenderli in seria considerazione.

E precisamente, bisogna ammettere, dal punto di vista dell’interesse nazionale. Il quale interesse vorrebbe che per completare l’opera si spendessero i 13 miliardi previsti, e non molti di più, perché altri miliardi certamente andranno spesi.

Così come vorrebbe, l’interesse nazionale, che si valutasse l’ordine di priorità del Tav in Valle di Susa a confronto delle grandi e grandissime opere — forse troppe — che rientrano tra i progetti di reti europee, e si cercasse di capire al tempo stesso quanti milioni di tonnellate dovrebbero migrare dalla gomma alla rotaia, verso il 2030, per giustificare economicamente l’opera. Salvo, ovviamente, pensare a suo tempo di vietare per legge il transito su gomma in Valle di Susa.

Non è un esercizio retorico, mettere a confronto due schemi mentali differenti per vedere dove portano. Prima di ogni altra esiste infatti una responsabilità cognitiva dei tecnici, degli amministratori, dei politici, dei media. Perché dallo schema che uno sceglie per ragionare e confrontare meriti e demeriti di diverse opzioni operative discendono conseguenze reali dalle quali, diversamente da quanto accade con le opzioni cognitive, non si può in seguito tornare indietro.

Sarebbe insomma meglio evitare che qualche figlio o nipote degli oppositori valsusini di oggi si venisse a trovare verso il 2035 in una situazione tale da indurlo ad affiggere una lapide, all’imbocco di due gallerie verso il confine francese, una autostradale in cui transitano innumerevoli Tir stracarichi di merci, e una ferroviaria con rombanti carri semivuoti, con la scritta: “Cercarono di fare l’interesse nazionale, ma non furono ascoltati”.

Parte di questi ragionamenti comparvero su due articoli pubblicati da “La Repubblica” del 30 novembre e del 7 dicembre 2005. Lo scrittore del presente ringrazia Claudio Del Bello e Odradek Edizioni Roma per la riproduzione di questi contenuti.

* Apparso di ilmanifesto.info

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