Menu

Come i politici si sottraggono alla vergogna per il terrorismo

Quando si dice la coincidenza… O meglio: quando si sta immersi in una Storia che non lascia spazio alle narrazione che vorrebbero ridurla a singoli fotogrammi di un film piuttosto lungo. Avevamo visto questo articolo tre giorni fa, sul giornale inglese progressista The Indipendent, e ne avevamo cominciato a preparare la traduzione (e ringraziamo qui chi ha lavorato per questo). Poi i fatti di Bruxelles hanno costretto anche noi a occuparci dei fatti del giorno, per tornare solo dopo al testo e “scoprire” che è come se non fosse cambiato nulla. La classe politica che “governa” nell’Unione Europea è immobile, menzognera, miserabile, ridotta a gestire banali tecniche di comunicazione distorsiva che diventano potenti solo grazie al monopolio della comunicazione di massa. Tutto e solo per nascondere la loro macroscopica impotenza di fronte a poteri economici molto più solidi.

Questo articolo di Patrick Cockburn, scritto all’indomani dell’arresto di Salah Abdeslam, si rivela ora un vero e proprio saggio su queste tecniche. Decodificate dall’interno. Ma soprattutto, diventa un saggio sull’indifferenza sovrana che regna qui – nella “civile Europea” – sulla morte altrui, sulla guerra che noi abbiamo prodotto altrove e che ora – solo ora, dopo 25 anni, ci torna in casa. Come una nemesi.

*****

I governi francese e inglese hanno permesso all’Isis di crescere, ma i media gliela fanno passare liscia.

La cattura di Salah Abdeslam, ritenuto l’unico sopravvissuto tra le menti del massacro di Parigi, rivela come i media si stiano di nuovo focalizzando sulla minaccia degli attacchi terroristici ad opera dello Stato Islamico. Ci si chiede perché l’uomo più ricercato in Europa sia stato in grado di eludere la polizia così a lungo, pur continuando a vivere a Moleenbek, suo quartiere di origine, a Brussels. Televisione e giornali si interrogano nervosamente riguardo alla possibilità che l’Isis porti a termine un’altra atrocità, mirata a dominare le notizie del giorno e a far vedere che è ancora in piena attività.

La relazione degli eventi a Brussels si sta attenendo a questa linea, dopo gli attentati di Parigi a novembre (Charlie Hebdo) e gennaio e le uccisioni sulla spiaggia tunisina ad opera dell’Isis, l’anno scorso. Per molti giorni c’è una copertura totale da parte dei media, che dedicano tempo e spazio, ben oltre il necessario, a riferire gli sviluppi. Ma poi l’attenzione si sposta bruscamente altrove e l’Isis diventa storia di ieri, trattata come se il movimento avesse cessato di esistere, o almeno avesse perso ogni capacità di influire sulle nostre vite.

35-sadr-city-afpget
La strage al mercato di Sadr City

Di fatto, non è che l’Isis abbia smesso di uccidere persone, a grandi numeri, dopo il massacro del 13 novembre a Parigi; piuttosto, non lo sta facendo in Europa. Ero a Baghdad il 28 febbraio, quando due attentatori dell’Isis in moto si sono fatti esplodere in un mercato di telefoni cellulari a Sadr City, uccidendo 73 persone e ferendone più di 100. Lo stesso giorno, dozzine di combattenti dell’Isis, a bordo di pick-up con pesanti mitragliatrici montate sul retro, hanno attaccato gli avamposti dell’esercito e della polizia ad Abu Ghraib, sede della famosa prigione nei sobborghi occidentali di Baghdad. C’è stato un assalto iniziale da parte di almeno quattro kamikaze, di cui uno si è schiantato contro una caserma con un veicolo pieno di esplosivi, e gli scontri sono andati avanti per ore intorno a un granaio in fiamme.

Il mondo esterno ha notato a malapena questi episodi sanguinosi, perché sembrano parte dell’ordine naturale delle cose in Iraq e in Siria. Ma il numero totale di Iracheni uccisi in questi due attacchi – più un altro doppio bombardamento suicida in una moschea Sciita nel quartiere di Shuala a Baghdad, quattro giorni dopo – era molto vicino alle 130 persone morte a Parigi per mano dell’Isis lo scorso novembre.

C’è sempre stata una netta separazione, nella mente delle persone in Europa, tra le guerre in Iraq e in Siria e gli attacchi terroristici contro gli europei. Questo in parte perché Baghdad e Damasco sono luoghi esotici e spaventosi, e le immagini all’indomani dei bombardamenti sono state la norma a partire dall’invasione degli Stati Uniti nel 2003. Ma c’è una ragione più insidiosa per cui gli europei non tengono sufficientemente in conto la connessione tra le guerre in Medioriente e la minaccia alla loro stessa sicurezza. Separare i due aspetti è negli interessi dei leader politici occidentali, perché significa che il pubblico non si accorge che le loro politiche disastrose in Iraq, Afghanistan, Libia e altrove hanno creato le condizioni per l’ascesa dell’Isis e di gang terroristiche come quella cui apparteneva Salah Abdeslam.

Lo sfogo di dolore ufficiale che segue comunemente le atrocità, come la marcia dei 40 leader mondiali per le strade di Parigi dopo le uccisioni di Charlie Hebdo, l’anno scorso, aiuta a sopprimere qualunque idea che i fallimenti politici degli stessi leader possano essere, in qualche modo, responsabili del massacro. Del resto, marce di questo tipo sono tenute in genere da chi non ha potere al fine di protestare e mostrare dissenso, ma in questo caso la marcia è servita semplicemente come trovata pubblicitaria per distogliere l’attenzione dall’incapacità di questi leader di agire con efficacia e fermare le guerre in Medioriente che loro stessi hanno contribuito a provocare.

Un aspetto singolare di questi conflitti è che i leader occidentali non hanno mai dovuto pagare alcun prezzo politico per il loro ruolo nell’iniziarli o nel perseguire politiche che di fatto alimentano la violenza. L’Isis è un potere in crescita in Libia, cosa che non sarebbe accaduta se David Cameron e Nicolas Sarkozy non avessero aiutato a distruggere lo stato libico, deponendo Gheddafi nel 2011. Al-Qaeda si sta espandendo nello Yemen, dove i leader occidentali hanno concesso il permesso all’Arabia Saudita per avviare una campagna di bombardamenti che ha mandato in rovina il paese.

Dopo il massacro di Parigi, l’anno scorso, c’è stata un’ondata di sostegno emotivo per la Francia e ben poca critica alle politiche francesi in Siria e in Libia, anche se queste hanno avvantaggiato l’Isis e altri movimenti jihadisti salafiti sin dal 2011.

Vale la pena citare per intero Fabrice Balanche, il cartografo francese esperto di Siria che adesso lavora per il Washington Institute for Near East Policy, a proposito di questi travisamenti in Francia, riferibili comunque anche ad altri paesi. Così ha detto ad Aron Lund, della Carnegie Endowment for International Peace:

I media si sono rifiutati di vedere la rivolta siriana come nient’altro che una prosecuzione delle rivoluzioni in Tunisia e in Egitto, in un momento di entusiasmo per la Primavera Araba. I giornalisti non hanno capito i sottotitoli settari, o non hanno voluto capirli; io sono stato censurato diverse volte.

Gli intellettuali siriani all’opposizione, molti dei quali sono stati in esilio per decenni, hanno portato avanti un discorso simile a quello dell’opposizione irachena durante l’invasione USA del 2003. Alcuni di loro hanno onestamente confuso con la realtà la loro speranza in una società non settaria, ma altri – come la Fratellanza Musulmana – hanno tentato di offuscare la realtà per ottenere il sostegno dei paesi occidentali.

Nel 2011-2012 abbiamo subito una sorta di maccartismo intellettuale sulla questione siriana: se io avessi detto che Assad non era sul punto di cadere nel giro di tre mesi, saresti stato sospettato di essere pagato dal regime siriano. E con il Ministero degli Affari Esteri francese che aveva abbracciato la causa dell’opposizione siriana, sarebbe stato di cattivo gusto contraddire i suoi comunicati”.

Accogliendo la causa dell’opposizione in Siria e in Libia, e distruggendo di fatto gli stati siriano e libico, la Francia e la Gran Bretagna hanno aperto la porta all’Isis, e dovrebbero prendere parte alla vergogna per l’ascesa dell’Isis e del terrorismo in Europa. Rifiutando di ammettere errori passati e di imparare da questi, gli europei occidentali hanno fatto ben poco per gettare le basi dell’attuale, sorprendentemente riuscita, cessazione delle ostilità, che è fondamentalmente un risultato americano e russo.

Gran Bretagna e Francia sono rimaste vicino all’Arabia Saudita e alle monarchie del Golfo nelle loro politiche contro la Siria. Ho chiesto a un precedente negoziatore il perché di questa scelta e ha risposto seccamente: “Soldi. Volevano i contratti sauditi”. Adesso, dopo la cattura di Salah Abdeslam, si parla tanto delle carenze della sicurezza, che gli hanno permesso di evitare l’arresto così a lungo, ma si tratta di un punto in gran parte irrilevante, perché gli attacchi terroristici continueranno finché l’Isis rimane un potere. Ancora una volta, la copertura totale da parte dei media permette ai governi occidentali di sottrarsi alla responsabilità per un ben più grave fallimento nella sicurezza – vale a dire, le loro stesse politiche disastrose.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *