Com’era prevedibile l’avanzata verso sud dei ribelli sciiti che si sono già impossessati della capitale Sana’a e della terza città del paese, Taiz, ha accelerato i tempi di un intervento militare saudita nello Yemen. Ieri i combattimenti tra le milizie sciite dei ribelli Houthi e le milizie sunnite agli ordini del destituito governo guidato dal presidente Abed Rabbo Mansur Hadi si sono intensificati man mano che le prime si avvicinavano ad Aden, seconda città del paese per importanza e quartier generale delle forze lealiste. Aden è il principale porto dello Yemen e il principale terminale petrolifero del paese (di fatto in mano ai sauditi) dal quale si controlla il 40% delle esportazioni di petrolio di tutto il Medio Oriente.
Nel corso della giornata le forze ribelli si erano impossessate di alcune importanti basi militari nel centro-sud del paese arrivando ad assediare Aden, dove il palazzo presidenziale dove era rintanato Hadi era stato ripetutamente bombardato.
E così i sauditi, che durante le ultime ore avevano ammassato truppe e mezzi militari al confine con lo Yemen, ieri sera hanno deciso di intervenire militarmente contro le milizie sciite. Durante la notte i caccia sauditi hanno bombardato più volte le postazioni degli Houthi che possono contare anche sulla maggior parte dei reparti dell’esercito rimasti fedeli all’ex presidente Saleh, deposto a sua volta nel 2011 e recentemente schieratosi al fianco della ribellione delle popolazioni del nord contro il regime filosaudita. Per ora non è chiaro se agli attacchi abbiano preso parte anche i velivoli militari di Emirati Arabi Uniti, Qatar e Bahrein, paesi alleati di Riad e componenti di quel Consiglio di Cooperazione del Golfo che all’inizio della settimana aveva promesso il suo aiuto al regime di Aden. Sicuramente alle forze armate saudite non è mancato il sostegno, politico ma non solo, dell’amministrazione statunitense. Ieri la Casa Bianca aveva informato che Barack Obama aveva autorizzato il supporto logistico e di intelligence ai sauditi in caso di intervento militare nello Yemen, e così è effettivamente stato.
A dare l’annuncio dell’inizio dell’offensiva militare contro Sana’a è stato ieri sera, nel corso di una insolita conferenza stampa convocata a Washington, l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti, Adel al-Jubier. Successivamente anche Bernadette Meehan, portavoce del Consiglio della sicurezza nazionale alla Casa Bianca, ha confermato l’azione militare del Paese alleato, “per difendere i confini dell’Arabia Saudita e proteggere il governo legittimo in Yemen”. Jubier ha spiegato che l’esercito della monarchia saudita fa parte di una coalizione di circa 10 nazioni intenzionate a fermare i miliziani Houthi. “Faremo quello che serve per proteggere il governo legittimo nello Yemen”, ha dichiarato Jubier davanti ai giornalisti poco dopo l’inizio dei raid aerei in Yemen.
Del presidente sunnita Hadi non si hanno notizie certe. Ieri era stata diffusa la notizia di una sua fuga, poi smentita. Ma secondo notizie più recenti effettivamente avrebbe abbandonato lo Yemen diretto nel vicino Oman a bordo di un’imbarcazione.
Secondo la stampa araba l’Arabia Saudita ha dispiegato ben 100 aerei da caccia e 150mila soldati, oltre a numerose unità navali, per sostenere l’offensiva militare nel vicino Yemen. Una sproporzione di forze evidente nei confronti delle milizie Houthi dotate di armamenti non particolarmente moderni, ma che potrebbe non valere più di tanto nel caso in cui Riad decidesse per un intervento di terra. Ieri, scrive il sito arabo Tayyar.org, “un grande numero di uomini armati delle tribù delle provincia di al Saada”, roccaforte delle milizie sciite Houthi nel Nord del Paese “si sono radunate in una parata militare in risposta ad appello lanciato da Abdul Malik al Houthi” leader del movimento “Ansar Allah”, braccio armato degli Houthi.
Una eventuale invasione terrestre potrebbe scatenare la reazione dei paesi dell’asse sciita, in primo luogo l’Iran, accusato di fatto dalle petromonarchie del Golfo di sostenere il colpo di stato delle milizie Houthi contro il presidente e il governo legittimi.
Da parte sua l’Iran attraverso il portavoce del ministero degli esteri di Teheran, ha già condannato gli attacchi aerei compiuti dall’aviazione saudita, ai quali stamattina di sono aggiunti i cannoneggiamenti di alcuni cacciatorpedinieri di Riad, definendoli una “pericolosa escalation” e una “violazione dell’integrità territoriale dello Yemen” che allontana una soluzione pacifica della crisi.
La scelta di intervenire militarmente nello Yemen, senza neanche attendere il via libera da parte della Lega Araba convocata per sabato e domenica a Sharm el Sheikh, in Egitto, potrebbe far deflagrare una situazione già tesissima in tutto il Medio Oriente e scatenerare una nuova guerra su larga scala tra sciiti e sunniti, da molti anni in realtà già esplosa in Iraq, Siria e Libano. Da vedere se l’Iran, che finora ha sostenuto i ribelli sciiti dello Yemen solo indirettamente, deciderà invece un appoggio più consistente. L’intervento militare straniero potrebbe far saltare le trattative – e il riavvicinamento – in corso tra Stati Uniti e Teheran sul programma nucleare iraniano, negoziato al quale i sauditi si sono sempre opposti, così come l’establishment israeliano. Finora Washington aveva dato priorità al negoziato con Teheran a costo di scontentare – e parecchio – i suoi alleati storici nell’area, ma sembra che come al solito la strategia statunitense in Medio Oriente non sia particolarmente coerente.
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