Nelle enciclopedie didattiche degli anni ’50 e ’60 era in voga l’entusiastica descrizione delle formidabili possibilità che lo sviluppo tecnologico aveva messo a disposizione dell’uomo moderno. “Conoscere”, oppure “Il meraviglioso mondo attorno a noi” erano i titoli di quelle raccolte. Il bravo scolaro, figlio della classe lavoratrice, ritrovava in quelle pagine il funzionamento di una fabbrica di gomme in bei disegni dipinti. Si spiegava come funzionava un Pronto Soccorso. che cosa erano le malattie infettive, le previsioni del tempo e persino il funzionamento dei tribunali e delle caserme.
Il minimo comune denominatore era la descrizione degli immensi servizi che lo sviluppo tecnologico e sociale aveva posto a disposizione dell’intera collettività. Gli scolari ed i ragazzi rappresentati erano vestiti tutti uguali con sobrie camicie e pantaloni corti o lunghi a seconda dell’età, pettinatura con la riga da una parte, vivi vestitini e vaporosi riccioli per le ragazze.
Il segreto vero di quelle meraviglie ingenuamente raccontate era il compiacimento per un eguaglianza raggiunta. Grazie alla modernità il figlio del popolo poteva frequentare una scuola, proseguire gli studi, vaccinarsi, esercitare ogni tipo di sport, effettuare gite e viaggi non più solamente sotto forma di colonia o campo militar-propagandistico.
L’entusiasmo tecnologico è tuttavia patrimonio anche della vita contemporanea, anche se la didattica severa ed ingenua è sostituita da messaggi pubblicitari ammiccanti o subliminali.
Grazie al potere della tecnologia l’odierno consumatore può raggiungere Roma da Milano in quattro ore su un comodo treno, prenotare con un click una sistemazione alloggiativa in ogni parte del globo, comunicare in ogni forma multimediale e con la massima intensità. Ci si può improvvisare registi, cantanti, attori, produrre con pochi gesti informatici propri libri, video, persino installazioni artistiche. Grazie alle moderne tecnologie mediche si possono ottenere esami dettagliati di ogni nostro organo, sostituire con trapianti i nostri organi danneggiati, ripararli con artefatti chirurgici. Persino il mondo del divertimento e dello sport può riservare esperienze oltre l’umano, da quella estrema, all’avventura della vita. Si può persino scalare l’Everest.
Questo “meraviglioso mondo attorno a noi” dell’era contemporanea possiede però una caratteristica particolare.
Di solito è a pagamento.
La tecnologia non mette oggi a disposizione nuove possibilità ed un rinnovato senso di eguaglianza.
Vende quest’eguaglianza come un bene sul mercato.
Correre su un treno da Milano a Roma può costare 90 Euro. Le innumerevoli possibilità offerte da internet si pagano in bolletta. Praticare sport a livello professionistico impone spesso gravosi investimenti agli stessi aspiranti campioni. Persino la salute, quella di qualità, spesso non è gratis, come i pasti del famigerato Milton Friedman, e il biglietto di ingresso per poter andare sull’Everest, ammesso che possiate farcela, costa oltre 60.000 dollari.
Diversamente, quelli che negli anni cinquanta e sessanta venivano vantati come i progressi accessibili a tutti, sono divenuti ormai parte di uno scheletro di assistenza pubblica sempre più precario e ridotto.
Di fatto, ormai un’intero arcipelago di servizi sociali è praticamente inaccessibile oppure del tutto inadeguato, a meno di non avere il censo necessario per pagare il biglietto di entrata nel mondo meraviglioso della felicità.
Il primo approccio del cittadino con la sanità – neppure del tutto gratuita – sono le interminabili file nei dipartimenti di emergenza delle grandi metropoli, dove spesso si aspetta 5 o 6 ore in attesa di un chirurgo che metta due punti su una lacero-contusa. In questi pronto-soccorsi è sempre ormai presente una piccola forza antisommossa composta di una o due guardie di sicurezza per tamponare l’esasperazione di esseri umani lasciati asetticamente nel disagio. Gli ingressi alle sale mediche sembrano blindati come aereoporti. Spesso, se ci si è lasciati andare dopo sette od otto ore di indifferenza, dal pronto soccorso si torna a casa non solo con un referto ma con una denuncia a carico.
Se poi non si possiede le 90 Euro per salire su un frecciarossa o su un aereo, le alternative a costi accessibili sono un polveroso treno della notte, oppure un eterno torpedone a basso costo per lunghe distanze. Insomma la tecnologia dei Greyhounds di un film americano degli anni sessanta.
L’accessibilità di quella Pubblica Amministrazione che dovrebbe erogare i servizi essenziali è poi da anni una chimera, e la tecnologia spesso non aiuta ma contribuisce ad escludere e marginalizzare. Così accade che un pensionato di ottanta anni venga invitato dall’INPS ad accedere alla propria situazione pensionistica tramite un PIN che non saprà mai digitare. Che ad esso siano imposti e scaricati oneri burocratici e dichiarativi pari a quelli di un professionista o di un’impresa, fatica che finisce spesso nelle grinfie di CAF e patronati, finanziati con pubblici denari e spesso per niente adeguati a fornire la necessaria assistenza tecnica, in un orbe giuridico sempre più complesso e inconoscibile.
Accade così che lo stesso pensionato si veda revocare gran parte della pensione di reversibilità per un errore di calcolo dei suoi redditi da parte dell’ente previdenziale. Accade che egli si trovi ripetutamente e dolosamente un muro di gomma negli unici affollati e sgarbati sportelli che l’ente previdenziale dota di impiegati spesso addestrati a mandar via gli utenti anziché a indagare e spiegare.
Eppure i diritti del cittadino in una moderna società sono ancora elencati da una Carta Fondamentale. In quella italiana non sono mai stati cancellati il diritto al lavoro, alla salute, alla libera circolazione. Sempre nella Carta Fondamentale è scritto all’art. 3 che “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Quando il cittadino e l’essere umano si vedono precipitati nel girone insostenibile di quelli che non possono pagarsi il biglietto per la felicità, l’unico appiglio rimane la giustizia: il ricorso alle leggi degli uomini ed agli strumenti di risoluzione delle controversie che dovrebbero metterlo in condizione di godere i diritti negati ovvero di cancellare gli abusi subiti.
Eppure anche la giustizia ha il suo biglietto di ingresso, venduto sempre a prezzo più caro.
Accade allora che, per effetto delle controriforme del diritto del lavoro, chiedere giustizia per un lavoratore non è più gratuito come un tempo. Se il lavoratore che subisce un sopruso ha un reddito familiare (calcolato sommando tutti i redditi della propria famiglia) superiore a 31.000 Euro l’anno, dovrà pagare, per adire il giudice, un salato contributo unificato. Una volta, prima di Monti e Renzi, almeno in giudizio il lavoratore non doveva pagare nulla.
Se poi si intende usufruire del patrocinio legale a spese dello Stato (e chiedere a quest’ultimo di pagare la parcella del legale scelto) il reddito deve essere inferiore ad 11.000 Euro l’anno, limite aumentabile di soli 1000 Euro per ogni componente della famiglia anagrafica.
Esiste pertanto una vasta domanda di giustizia che viene soddisfatta con sempre maggiori costi scaricati sul cittadino che la richiede. I limiti reddituali per godere della tutela statale sono veramente minimi. I tempi e le modalità per avere il beneficio non sono né brevi né semplici. L’onorario viene poi liquidato dalla macchina statale al legale scelto con ritardi biblici che in qualche caso arrivano a dieci, dodici anni. In alcuni Tribunali Minorili è diventata prassi per i legali non ricevere quasi mai la liquidazione delle proprie fatture.
Chi invece supera questi limiti non può certo rivolgersi a costosi e luminosi studi legali, i cui costi diventano inaccessibili anche per una sola consulenza e il cui target di servizi sono danarosi clienti od imprese.
La via di uscita è stata spesso individuata in quella solidarietà tra ceti popolari che spesso esercita una vera e propria autodifesa contro i tentativi di marginalizzazione. Accade così che la domanda di giustizia viene soddisfatta da avvocati giovani o più anziani che sacrificano i propri onorari riducendoli al livello della povertà del cliente. Avvocati che, proprio per tale motivo, finiscono per accomunarsi alla categoria dei soggetti a basso reddito, al pari dei propri assistiti.
I dati reddituali della professione togata comunicati da Cassaforense, l’istituto previdenziale privato cui le toghe sono obbligate a contribuire, consegnano una dimensione estremamente popolare dei loro redditi.
Gli avvocati iscritti a Cassaforense in Italia sono complessivamente 235.055. Di essi, ben il 36,6% (77.637) langue in una fascia reddituale da 0 a 10.600 euro lordi, annui. Se consideriamo un limite più alto, oltre la metà (il 56,6%, 120.495) ha un reddito compreso tra 0 e 19.857 euro l’anno.
Oltre la metà degli avvocati italiani ha un reddito quasi insufficiente a far fronte agli oneri di impresa mediamente necessari (segreteria, carico tributario e previdenziale, servizi di consulenza commercialistica, costi per la formazione, conduzione degli studi, affitti, utenze, spese).
Qualche anno fa si poteva – strumentalmente, con poca cognizione di causa ed abusando dei soliti luoghi comuni – storcere le sopracciglia sospettando un’evasione sistematica. La crisi economica, l’assenza di clienti capaci di pagare, le dolose lungaggini nell’essere pagati da creditori come Stato ed assicurazioni fanno capire che i dati sono del tutto reali.
Sono le cifre che la Mobilitazione Generale degli Avvocati, forse il primo sindacato nato per raggruppare la classe delle toghe a basso e medio reddito nonché i praticanti precari paradigmatici del Foro, ha consegnato al Ministro Orlando in una manifestazione di protesta davanti al Ministero di Via Arenula.
Raccontano gli avvocati di base che il carico previdenziale minimo, imposto ogni anno ad ogni collega, indipendentemente dal reddito percepito, è per il 2016 di quasi quattromila euro. Un carico insopportabile, soprattutto per quel 36% che arriva a diecimila euro. Negli ultimi anni i contributi minimi sono stati elevati di oltre il 400% dai dirigenti dell’istituto previdenziale – quasi tutti eletti alla carica da cordate elettorali spesso espressione di potentati ed oligarchie forensi. Essi hanno anche provato a dire che chi non poteva pagarli doveva essere escluso e cancellato dalla professione.
Si legge nel lungo documento una chiara accusa alla gestione oligarchica: “Sia chiaro, è giusto e doveroso che ogni generazione di cittadini di professionisti e di avvocati sostenga dal punto di vista previdenziale, quella che l’ha preceduta, i problemi pero sorgono, quando il peso di questo carico previdenziale diventa eccessivo ed iniquo, i problemi sorgono quando la vecchia generazione intende far pagare alla nuova generazione il prezzo dei propri privilegi, il prezzo della propria speculazione previdenziale, e della strumentalizzazione del sistema di calcolo retributivo delle pensioni combinato con la grande evasione fiscale.
Nasce così il conflitto intergenerazionale nell’avvocatura italiana, conflitto che le Istituzioni forensi vorrebbero risolvere, oggi, con l’abbattimento dei giovani avvocati ed in generale degli avvocati portatori di redditi bassi e medio bassi, in modo tale da liberare fette di mercato a loro esclusivo appannaggio, operazione da realizzare con la falce previdenziale e con l’inasprimento della disciplina di settore.
Questo è ciò che si vorrebbe realizzare nell’avvocatura italiana, si sta cercando di selezionare gli Avvocati sulla base del criterio economico, sulla base del censo, la conseguenza è che potranno esercitare la professione solo i figli degli avvocati, i figli dei ricchi, i figli dei potenti e dei più ammanicati, gli unici che saranno in grado di superare gli sbarramenti progressivamente eretti, che sono ostacoli di carattere economico” (1).
Le toghe di base non la buttano su una banale difesa della categoria. Essi sono certi di rappresentare quella risposta alla domanda di giustizia dei redditi più bassi, quei cittadini che hanno spesso tutelato compromettendo il proprio reddito con il loro. Ad avvocati di censo corrisponde spesso una giustizia egualmente di censo.
L’elevazione dei costi, degli standard e degli oneri burocratici, rischia di espellere dalla professione proprio quei professionisti che potevano garantire quella tutela che i ceti popolari possono ancora permettersi.
Il quadro coinvolge anche gli inghippi di una tecnologia che aumenta solamente i costi, senza snellire significativamente i tempi, ma soprattutto introducendo oneri e scadenze “artificiali” dei prodotti che si ripercuotono in un costo in più per il professionista ed in un pericolo in più per la tutela dei diritti.
Si pensi alla firma digitale: i documenti processuali firmati digitalmente sono validi finché vale il certificato di firma digitale, artificialmente limitato a tre anni. La carta firmata nell’800 è valida ancor oggi. I documenti oggi firmati digitalmente necessitano di una firma digitale con certificato che deve essere sempre valido. Di qui la necessità di ovviare a questa scadenza “artificiale” con il pagamento di un archivio digitale tenuto da terzi. Solo così i documenti saranno sempre validi. E bisognerà pagare in eterno per farli restare validi. Dopo questa rivoluzione a favore delle imprese che vendono software, il processo civile italiano non è per nulla migliorato in sveltezza, né si sono accorciati i pagamenti della P.A. richiesti con le costose fatture digitali.
Spiega oltre il documento la propria analisi di classe del funzionamento sociale, con un respiro ed un’ampiezza insolita per questa categoria: “Le oligarchie finanziarie ed economiche hanno individuato proprio in questo periodo storico le condizione politiche e sociali migliori per poter accelerare la realizzazione del proprio progetto di consolidamento elitario e classista del potere.
Ne è chiaro segno anche l’attuale produzione normativa, sia nazionale che comunitaria, produzione che quelle oligarchie riescono a influenzare e orientare, e che infatti riporta tutti i tratti distintivi di quella logica e di quel disegno:
– affievolimento delle democrazie per favorire sistemi di governo che concentrino il potere nell’organo esecutivo;
– smantellamento delle istituzioni e delle amministrazioni pubbliche al fine di poterle privatizzare e lucrare sulla gestione delle relative funzioni e servizi;
– dissolvimento dei diritti sociali e sindacali faticosamente conquistati dalle fasce economicamente e socialmente più deboli della popolazione;
– dissuasione dalla rivendicazione dei propri diritti, ovvero dirottamento di quelle rivendicazioni verso un sistema di amministrazione privata della giustizia, che le attenui e che ne faccia addirittura fonte di lucro.
Tutti questi profili caratterizzano l’azione politica di questo Governo e del suo Ministro della Giustizia: ed è evidente purtroppo l’intento di consolidare dolosamente il dissesto, l’inefficacia e l’inefficienza della giurisdizione, per costruire così le opportune motivazioni politiche per favorire la privatizzazione della Giustizia, così come sta accadendo in tutti gli altri comparti della pubblica amministrazione, dall’assistenza sanitaria, ai trasporti e all’istruzione.” (2)
Al 18 marzo hanno cominciato ad aderire numerose associazioni: il movimento 6 luglio che raggruppa i magistrati onorari, veri e propri precari della giustizia senza alcun diritto, associazioni di praticanti come il Network Dike, il movimento 27 Febbraio, che raggruppa lavoratori autonomi e le partite IVA con cui si veste l’odierno precariato, i parafarmacisti, operatori di giustizia come gli Archivisti in movimento, altre associazioni forensi come il Sindacato Avvocati Calabria, ed associazioni che raggruppano professioni tecniche di base, ma anche associazioni di cittadini come Libertà e Giustizia, Giuristi Democratici e persino l’ANPI di alcune città meridionali.
In questa direzione, nel ricordare come nella tutela dei diritti si regge l’unica difesa dagli abusi del potere statale e dei poteri economici, gli avvocati chiamano alla lotta un fronte militante più ampio possibile di lavoratori, unica difesa delle classi spinte ai margini della società da diritti sempre più studiati per essere inaccessibili.
“I diritti non possono essere ridotti a merce da lasciare alla libera contrattazione delle parti, che non sarebbe in ogni caso libera, perchè le disuguaglianze e gli squilibri culturali, economici e sociali hanno sempre determinato e sempre determineranno, finchè esisteranno, la soccombenza dei più deboli, e la primazia dei più forti.” (3).
Lottare contro questa solitudine, impone di non farlo da soli. Pochi ricchi non possono trafugare la ricchezza di tutti.
Note:
1) Documento M.G.A. del 18 marzo: https://mgaassociazioneforense.com/2016/03/16/il-sistema-giudiziario-italiano-analisi-della-crisi-e-proposte-di-riforma/
2) cit. 1
3) cit. 1
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