Come riporta il sito francese eurocritico Ruptures, perfino i paesi “core” come l’Austria e la Germania subiscono le procedure d’infrazione della Commissione Europea se cercano di applicare leggi nazionali per la tutela dei lavoratori – in questo caso, protezione dal dumping che avvantaggia i paesi dell’est Europa nel settore dei trasporti. Le professioni di fede eurofila non ripagano. In tutti i casi il percorso dell’Unione Europea è a senso unico: verso il neoliberalismo e la sempre maggiore svalutazione del lavoro. Cosa pensano di fare, i presunti riformatori di “un’altra Europa”, per poterne cambiarne la sostanza?
di Laurent Dauré, 29 aprile 2017
tradotto da HENRY TOUGHA per http://vocidallestero.it/
In un comunicato stampa del 27 aprile la Commissione Europea ha annunciato di avere avviato una “procedura d’infrazione contro l’Austria per l’applicazione della legge austriaca sulla lotta contro il dumping sociale e salariale nel settore dei trasporti stradali“.
Avete capito bene, Vienna continua ad adottare delle misure di protezione e la Commissione Europea stima che “queste pratiche costituiscano un limite al mercato interno dell’Unione Europea in modo sproporzionato“.
Ecco come la Commissione Europea, la massima istituzione della UE, giustifica la procedura d’infrazione: “Pur sostenendo appieno il principio del salario minimo nazionale, la Commissione Europea ritiene che l’applicazione della legge austriaca a tutti i settori di trasporto internazionale che comportano un carico e/o uno scarico sul territorio austriaco rappresenti una restrizione spropositata al libero esercizio dei servizi e alla libera circolazione delle merci“.
Lo scorso 31 gennaio i ministri dei trasporti di nove paesi (Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Italia, Lussemburgo, Norvegia e Svezia) avevano firmato una “Alleanza per l’Autotrasporto” per lottare contro la concorrenza sleale nel settore dei trasporti. Nel mirino c’erano paesi come la Polonia, la Bulgaria e la Lituania, i cui bassi standard sociali e e salariali comportano una pressione al ribasso sulle retribuzioni e le condizioni di lavoro anche per gli autisti occidentali (specialmente per quanto riguarda i tempi alla guida e i tempi di riposo). Varsavia, sostenuta da altri dieci paesi, aveva protestato contro la “regolamentazione spropositata” imposta dalla Francia e dalla Germania in materia di salario minimo. La Commissione le aveva dato ragione.
Alain Vidalies, Segretario di Stato per i trasporti, aveva motivato così l’iniziativa comune contro il dumping: “Se non facciamo nulla ci saranno delle reazioni a livello nazionale, e non è ciò che vogliamo. L’Europa non è basata sulla legge della giungla e sul dumping sociale. Queste cose alimentano il populismo“. Ecco di nuovo l’argomento dell’ascesa del “populismo” e dei rischi che porrebbe alla preziosa costruzione europea…
Nel giugno 2016 la Commissione Europea aveva aperto una procedura d’infrazione contro la Francia, così come già fatto contro la Germania nel 2015. Le due procedure sono tuttora in corso. Le professioni di fede europea decisamente non ripagano. Il Ministro tedesco dei trasporti, Alexander Dobrindt, aveva dichiarato: “Ci hanno accusato di protezionismo. Questo è infondato.” Oggi è venuto il turno dell’Austria di assaggiare il bastone di Bruxelles.
La Commissione Europea, come consentito dai trattati, interferisce dunque negli affari interni di un paese e pretende un cambiamento della legge. Vienna, che sta solo cercando di proteggere i propri camionisti (austriaci e non solo) dalla pressione salariale e sociale al ribasso imposta dalla libera circolazione dei servizi e delle merci, si vede rapidamente richiamata all’ordine da Bruxelles.
I padroni richiamano all’ordine i propri sottoposti con una simbolica violenza che nel linguaggio burocratico si veste di eufemismi: “Dopo uno scambio di informazioni con le autorità austriache e un’approfondita analisi giuridica delle misure adottate dall’Austria, oggi la Commissione Europea ha deciso di inviare una lettera di diffida. Le autorità austriache hanno da oggi due mesi di tempo per rispondere agli argomenti presentati dalla Commissione nella sua lettera“.
Il comunicato stampa ha il pregio di esporre la dura realtà del funzionamento della UE: “in quanto custode dei trattati, [la Commissione] deve […] vigilare affinché le misure legislative nazionali siano pienamente compatibili con il diritto dell’Unione Europea, e in particolare con la direttiva sul distacco dei lavoratori (direttiva 96/71/CE), con le prerogative in materia di trasporti, le libertà garantite dai trattati e specialmente il principio di libera circolazione dei servizi e delle merci, nonché con il principio di proporzionalità“.
I quattro pilastri della libera circolazione (capitali, merci, servizi e manodopera) non sono negoziabili dal momento in cui si fa parte dell’Unione Europea. Di fatto essi sono l’Unione Europea stessa. Fanno parte di quelle che si definiscono “prerogative comunitarie“, quel percorso a senso unico sul quale è diretta la costruzione europea fin dall’inizio, che garantisce che non ci possa essere alcuna deviazione rilevante dal dogma neoliberale. Se si accetta di restare dentro il quadro dell’Unione Europea si accettano necessariamente i quattro pilastri della libera circolazione e le loro conseguenze sociali.
Una qualsiasi modifica significativa dei trattati europei richiede l’unanimità dei paesi membri (secondo l’articolo 48 del Trattato di Maastricht), per cui si può facilmente capire che tutti i progetti per “un’altra Europa” sono destinati al fallimento. E dunque in questo caso i riformatori – più o meno sinceri – come sperano di poter costringere undici paesi UE, sostenuti dalla Commissione Europea, a rinunciare ai benefici della liberalizzazione nel settore dei trasporti su strada?
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