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“El papa” contro il reddito di cittadinanza

Certamente dal discorso di Genova si comprende come la chiesa cercherà di entrare nella prossima legislatura: come strumento bipartisan, per un esecutivo di coalizione guidato da Pd e FI assieme a chissa chi, per governare uno smaltimento dei residui dello stato sociale.

La notizia della visita di papa Francesco all’Ansaldo di Genova è di quelle che escono dalla cronaca perché aiutano a vedere uno scenario politico. Soprattutto perché il sito produttivo genovese è servito al pontefice per lanciare un garbato anatema contro il reddito di cittadinanza. Si tratta di una entrata, a piedi uniti, nel dibattito politico italiano. Non ci risulta, e quando si parla di pontefice le dimenticanze non ci sono mai a caso, che Francesco sia entrato nel dibattito tedesco sugli effetti di Hartz IV, sul combinato di precarizzazione, lavoro part-time, controllo della forza lavoro fuori dal lavoro che produce la legge tedesca sull’assistenza sociale. Essendo poi la situazione italiana più facilmente riducibile a schemi (reddito di cittadinanza si/no) e l’opinione pubblica nazionale più attenta alla retorica, Francesco ha avuto buon gioco a parlare di “lavoro per tutti” invece che di “reddito per tutti”. Non parliamo poi della copertura mediatica di queste considerazioni: dagli anni ’50, passando per la nascita e l’evoluzione di un sistema mediale in Italia, le visite del papa non hanno una copertura critica. Sono, semplicemente, riprodotte, applaudite e amplificate. Uno storico dei media potrebbe farci un capolavoro su questo. Se solo trovasse, nel nostro paese, un editore della portata che qualche autore, sul tema, ha trovato in Inghilterra e in Usa.

Ma perché Francesco si è scagliato, sempre con il solito stile intelligente ed espressivo, contro il reddito di cittadinanza?

Come sempre nella chiesa ci sono due spiegazioni che finiscono per intrecciarsi. La prima è legata a motivi anacronistici, la seconda al modo con il quale la chiesa cerca di intercettare i fenomeni di modernizzazione. Poi c’è, immancabilmente, la questione politica interna, del “giardino di casa” italiano, ma questa va tenuta un attimo sullo sfondo.

Primo punto: se andiamo ad analizzare le figure sociali presenti nei discorsi di Francesco si ha l’impressione che gli ultimi quattro decenni di trasformazioni sociali e di mutazioni tecnologiche non siano praticamente esistiti (a parte l’uso militante dei social da parte della chiesa ma è altra questione). L’“operaio” e l’“imprenditore” così come li descrive Francesco praticamente non esistono più e, nella parabola comunitaristica nella quale vengono rappresentati dal papa non sono mai esistiti (esiste il capitalismo ma questo è un demone difficile da nominare, e impossibile da governare, anche per un papa). Eppure campeggiano nel suo uso della retorica. Per diversi motivi: perchè l’acquisizione di nuove figure sociali nel lessico della chiesa è lenta ma anche perché la chiesa, e non è certo una novità, si trova ad essere spiazzata e preoccupata rispetto alle rivoluzioni tecnologiche e sociali. La difesa delle figure sociali precedenti alla rivoluzione tecnologica è quindi d’obbligo non importa se anacronistica. Fino a quando non saranno individuate nuove figure sociali, sulle quali fare presa, come è accaduto con “imprenditore” e”operaio” a partire dall’epoca della dottrina sociale della chiesa, il papa difenderà l’ultimo scenario sociale nel quale il cattolicesimo ha trovato un senso, una posizione, una direzione. E’ evidente che l’attacco al reddito di cittadinanza è a un’ipotesi di società nella quale le tecnologie, entro l’assetto economico della crescita senza lavoro, tolgono sempre più spazio all’“operaio” ma anche alla figura sociale dell’“imprenditore” sempre meno comunitaristica (secondo la visione della chiesa), territoriale, sociale. Non ha nessuna importanza, e molto probabilmente la chiesa lo sospetta, se il mondo difeso da Francesco non ha futuro. La chiesa difende delle figure sociali a prescindere dall’esaurirsi della base materiale che le produce, se questo fa riprodurre materialmente la chiesa, fino a quando non atterra su territori nuovi. Questo momento, evidentemente, non è ancora arrivato.

Secondo punto: si trascura spesso, come l’evoluzione dei sistemi della carità condizioni la politica della chiesa. E come quest’evoluzione, a sua volta, si incroci con le mutazioni dello stato sociale. Come è altrettanto evidente che la chiesa guardi oltre la legge sul terzo settore, verso la dismissione di ciò che resta dello stato sociale. La visione che emerge in questo incrocio tra modernizzazione del sistema della carità, basato non solo sulle nuove forme del banking ma su un nuovo punto di ricaduta tra reti di impresa sociale e carità, e dimissione dello stato sociale (grazie alla ufficialmente vituperata finanza globale) è grosso modo questa: le mutazioni tecnologie ed economiche comportano una erosione delle figure del lavoro, comunque sostenute fino a quanto possibile, e gli effetti sociali di questo processo devono stare, quando più possibile, entro il sistema della carità. E’ quindi chiaro come il sole che il reddito di cittadinanza, per quanto proposto nella eclettica forma grillina, potenzialmente rompe questo schema. Perchè allontanerebbe gli ultimi dalla carità della chiesa dando loro una minima base materiale per l’autosostentamento.

Qui si capiscono poi, molto meglio di tante dispute dottrinarie e fuori dagli ecumenismi da telegiornale, un paio di differenze tra carità islamica e carità cristiana (della chiesa di Roma). La prima si diffonde come un sistema di solidarietà sociale autoritario ma acentrico, che può darsi in autonomia dallo stato. La seconda come un sistema di solidarietà sociale paternalistico, centralistico che può darsi nello svuotamento dello stato. Mentre, dal punto di vista del rapporto col mondo che comanda il mondo (la finanza) per l’islam è più facile: basta dire che alla borsa di Londra ci sono servizi appositi per la finanza che segue la legge della sharia oppure che la proibizione degli interessi, nella finanza islamica, porta a masse di denaro a costo zero nei fondi, e nelle borse, che finiscono per sviluppare carità e qualche notevole guadagno indiretto che questa carità la finanzia.

Per la chiesa di Roma, ufficialmente ostile alla finanza globale, il rapporto tra carità e finanza si dà in modo differente. L’impresa finanziaria dovrebbe donare. Ma la finanza cattolica, fermandosi all’Europa, non ha la forza del passato (quando era maggiormente legata alle banche e agli stati). Se, oltre alla finanza, si indebolisce ulteriormente anche la centralità del lavoro, con misure come il reddito di cittadinanza, la modernizzazione della carità, in concorrenza con quella di altri credo religiosi, non riesce mai ad affermarsi. E così, nell’anatema garbato di Francesco contro il reddito di cittadinanza (lanciato in modo da trovare “degno” il lavoro e non una attività fuori mercato) si intrecciano temi di necessaria difesa di anacronismi sociali e di reale posizionamento per il processo di modernizzazione della carità.

E’ chiaro che, visto che nessun papa trascura la quotidianità, che il timing del discorso di Francesco guarda direttamente anche alla bassa macelleria del dibattito politico. A un anno dall’insediamento di Virginia Raggi a Roma, a poche settimane dall’intervista di Grillo su Avvenire, e a pochi giorni alla marcia “francescana” dello stesso Grillo ad Assisi, è evidente che, dal pulpito più alto, andava messa una parola di chiarezza nei confronti del movimento 5 stelle. Ovvero che va bene una dialettica di collaborazione su Roma (anche in autonomia dalla Raggi), nell’ottica del sostegno al processo di modernizzazione della carità, va, invece, male la proposta del reddito di cittadinanza. Proposta che lo stesso Grillo ha definito da “nuovi francescani”, confondendo un diritto (il reddito di cittadinanza) con la carità (il soccorso dato in termini di erogazione di denaro) per sfondare nell’opinione pubblica di più marcata origine cattolica.

Solo che, mentre le proposte “nè di destra nè di sinistra” mettono in difficoltà gli altri cartelli elettorali che vogliono elaborare proposte di genere politicamente ibrido ma senza ammetterlo, quando si tocca qualcosa che abbia il marchio della croce è diverso. Si trova subito il legittimo proprietario pronto a far capire chi ha il diritto naturale di sfruttamento di questo brand bimillenario. Con i media pronti, da oltre mezzo secolo, ad amplificarne il messaggio.

Certamente dal discorso di Genova si comprende come la chiesa cercherà di entrare nella prossima legislatura: come strumento bipartisan, per un esecutivo di coalizione guidato da Pd e FI assieme a chissa chi, per governare uno smaltimento dei residui dello stato sociale. Secondo i dettami della governance europea da un lato, quello politico, e quelli della modernizzazione della carità dall’altro (quello “spirituale”). Scomparsa la sinistra, non è una novità, resterebbe Grillo. Lasciato a meditare, su un qualche Aventino simbolico o materiale, su proposte che, oggettivamente, sono giuste sul piano simbolico ma molto contorte sul piano concreto. E non è che De Masi, assieme a Giovanni Dosi del Sant’Anna di Pisa, nel momento in cui si presenta come facilitatore delle policy del movimento 5 stelle rende l’operazione lineare.

Al momento, se Grillo vincesse le elezioni, avremmo sul tavolo una proposta che si chiama reddito di cittadinanza, che invece è di fatto una integrazione al reddito minimo, di cui si dice che sarà finanziata in parte dalla riduzione degli “sprechi” ma invece, in attesa degli effetti di questa riduzione, finirà nella tassazione diretta (nel paese in cui le pmi sono le più tassate d’Europa di cui molti operatori sono buona base elettorale di Grillo). Un provvedimento di cui gli ispiratori non dicono una parola sull’impatto su sistema pensionistico, mercato del lavoro, andamento dei salari. Ma che, in compenso, dovrebbe andare in parallelo con un referendum sull’euro, insomma nel clima economico e politico più demenziale per far passare la cosa presso tutte le parti sociali che all’unanimità vedono il reddito di cittadinanza come un orrore, ma anche, come ha detto uno dei facilitatori (Dosi), in linea con quanto di fatto previsto dal fiscal compact. Insomma una confusione completa sulla quale, dai banchi dell’opposizione salvo cataclismi, il movimento 5 stelle dovrà riflettere molto. Anche nella sua forma attuale di movimento “cacciatore di teste” per far marciare le idee del futuro. Nel frattempo “el papa” le idee chiare le ha. E lo fa capire urbi et orbi.

da http://www.senzasoste.it/

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