Il dibattito in corso nell’immediato post – ballottaggi al riguardo delle elezioni comunali del giugno 2017 ha raggiunto livelli di bizantinismo degni del Concilio di Nicea. Una volta per tutte deve essere chiarito che il livello delle diverse espressioni di “non voto” (diserzione dalle urne, schede bianche e nulle) ha raggiunto una tale entità da rendere perfettamente inutile il ragionare se, nell’occasione del secondo turno, le elettrici e gli elettori che al primo turno avevano preferito candidati poi esclusi (in particolare elettrici ed elettori votanti i candidati presentati dal M5S) si fossero poi rivolti a candidati del centrodestra o del centrosinistra. In realtà, toccando i voti validi la quota del 43% (dopo che al primo turno di si era arrivati al 54%) non si può che dedurre che, in ogni caso, la quota di questi scostamenti è stata minima e del tutto irrilevante sul piano dell’analisi elettorale complessiva (che poi nel tal posto o nel tal altro si sia eletto un sindaco di un colore o di un altro costituisce un fatto che, sul piano generale, è del tutto secondario). Si può quindi affermare che la gran parte dei successi ottenuti dai candidati eletti sia avvenuto “in discesa” e con percentuali complessive rispetto al totale degli aventi diritto al voto fortemente minoritarie.
Il punto più importante che deve essere però messo in evidenza in questa occasione riguarda il fatto che il “non voto” appare in costante crescita da molti anni e che nessuna forza politica, tanto meno il M5S, ha rappresentato una sorta di “argine” al fenomeno che, invece, si è fortemente dilatato in tutti i settori sociali, generazionali, di appartenenza geografica che compongono l’universo degli aventi diritto al voto. Nel corso degli ultimi 10 anni, per prendere come riferimento un lasso di tempo definito, l’unica occasione nella quale la percentuale dei votanti è cresciuta rispetto alle precedenti occasioni di voto è stata quella del referendum costituzionale del 4 Dicembre 2016.
A proposito di questo fatto siano consentite tre considerazioni a margine:
1) Dai sostenitori del “SI” (nella loro arroganza e presunzione: fenomeni che stanno in buona misura alla base degli insuccessi del PD) è stato fortemente sottovalutato il formarsi di una vera e propria “coalizione sociale” nell’occasione del referendum sulle trivelle svoltosi pochi mesi prima senza raggiungere il quorum. In quel frangente, infatti, si consolidò (in particolare in alcune regioni del centro – sud) una sorta di fronte del “NO” trasversale e soprattutto comprendente quote rilevanti di astensionisti ormai abituali che hanno poi formato, anche in maniera inconsapevole, un vero e proprio “zoccolo duro” sulla base del cui allargamento ha poggiato, in parte consistente, l’affermazione del “NO” al 4 dicembre;
2) Al riguardo della vera e propria “fuga” di elettrici ed elettori che, negli anni passati, avevano votato per il PD e più complessivamente per l’autoproclamatosi (senza alcun titolo di contenuto, per la verità) centro sinistra, i dirigenti del PD hanno del tutto ignorato il forte calo di partecipazione alle “loro” primarie. Renzi, infatti, è stato confermato segretario con poco più di 1 milione di voti (altro che i 2 milioni rivendicati da Lotti) perdendo rispetto all’occasione precedente circa 600.000 voti. Un segnale molto importante ma non raccolto;
3) Nel corso della campagna referendaria si svilupparono, sempre da parte della maggioranza renziana del PD, forti polemiche nei confronti dell’Anpi che si era schierata (con la Cgil e l’Arci) per il “NO”. Una polemica che raggiunse toni particolarmente astiosi e fastidiosi in particolare con la faccenda, piuttosto ridicola, dei “veri partigiani”. Sicuramente, alla fine, si poté constatare che attorno al “NO” i cosiddetti “corpi intermedi” svolsero sicuramente una funzione aggregante di una certa importanza. Ebbene, nel corso di questa campagna elettorale, a Genova (città che sempre aveva presentato determinate caratteristiche sociali e politiche, oggi ormai in gran parte smarrite) gli stessi corpi intermedi hanno preso posizione a favore del candidato appoggiato del PD (il quale soggettivamente vantava anche profonde radici nell’area di riferimento di Anpi, Arci e Cgil). Ebbene: il risultato è stato di un rigetto quasi totale, come dimostrato dall’esito del voto dove, l’influenza di questi soggetti è sicuramente ancora rilevante. A dimostrazione che il problema, nella fattispecie genovese ma si può pensare più in generale, sia costituito proprio dall’incapacità di aggregazione dimostrata dal PD.
È necessario però approfondire queste affermazioni attraverso l’esposizione di alcuni dati. Tra il 2008 ed oggi abbiamo avuto in Italia tre occasioni di elezioni generali riguardanti l’intero corpo elettorale: 2008, elezioni legislative; 2013, elezioni legislative, 2014 elezioni per i rappresentanti al Parlamento Europeo. Elezioni nelle quali è entrato prepotentemente in corsa appunto il M5S che ha sempre rivendicato di aver corrisposto alla necessità di offrire una sponda ad elettrici ed elettori propensi al “non voto”. Ciò non è assolutamente avvenuto.
Nel 2008, infatti, i voti validi (sul territorio nazionale) furono 36.457.254 su di un totale di iscritte/i (dato relativo soltanto all’Italia senza le circoscrizioni estero) di 47.041.814 per una percentuale del 77,49%.
Nel 2013 il dato dei voti validi (sempre riferito al territorio nazionale) è stato di 34.005.755 (quindi con una perdita di oltre 2.400.000 unità) su di 46.905.154 iscritte/i per una percentuale del 72,49% perdita secca del 5%.
Nel 2014 (Europee) il totale dei voti validi è stato di 27.371.747 (quindi 6.700.000 in meno rispetto all’anno precedente e di oltre 9.000.000 rispetto al 2008) considerando però che il rapporto è da valutare con l’intero corpo elettorale compreso l’estero (non registrato a parte in questa occasione) ammontante a 49.256.169 unità per una percentuale del 55,57%.
Dati che ridimensionano molto, per quel che riguarda il 2014, il tanto vantato 40% del PD e che annullano del tutto la funzione “deterrente” vantata dal M5S: paradossalmente, volendo forzare, si potrebbe dire che proprio la presenza del M5S come novità nel panorama politico – elettorale ha causato la fuga di qualche milione di votanti.
La situazione può essere ancora valutata meglio scendendo nel dettaglio di alcune situazioni regionali e locali di particolare significato. Ci si accorgerà che a tutti i livelli e in tutte le situazioni quando si presentano candidati e liste i voti validi decrescono. Alcuni esempi.
Raffronti tra le regionali 2010 e quelle 2015:
LIGURIA
2010 Iscritti 1.385.791 voti validi 813.176 pari al 58,67%.
2015 Iscritti 1.357.540 voti validi 658.171 pari al 48,48%. In fuga 155.005 voti validi pari al 10,19%. Qualcuno dovrebbe far sapere all’inventore del famoso “modello Toti” che nell’occasione della sua elezione i voti validi complessivi alla fine furono inferiori al 50%.
VENETO
2010 iscritti 3.962.272 voti validi 2.540.735 pari al 64,12%.
2015 iscritti 4.018.497 voti validi 2.212.204 pari al 55,05% con un decremento del 9,07%.
TOSCANA
2010 iscritti 3.009.673 voti validi 1.767.409 pari al 58,72%.
2015 iscritti 2.985.690 voti validi 1.367.872 pari al 45,81% – 12,91%. Anche a Rossi, protagonista della rottura da sinistra del PD, andrebbe comunicato che la sua elezione avvenne con i voti validi al di sotto del 50%.
CAMPANIA
2010 iscritti 4.945.381 voti validi 2.924.360 pari al 59,13%.
2015 iscritti 4.695.599 voti validi 2.400.782 pari al 51,12%. 8,01 in meno nell’occasione dell’elezione di De Luca.
PUGLIA
2010 iscritti 3.553.587 voti validi 2.128.974 pari al 59,91%.
2015 iscritti 3.568.409 voti validi 1.684.669 pari al 47,21%. Anche per l’altro inventore di metodi Emiliano partecipazione al ribasso con un meno 12,70% corrispondente a 444.305 voti validi.
Un raffronto relativo alle elezioni comunali nelle grandi città:
MILANO
2011 iscritti 996.400 voti validi 657.379 pari al 65,97%.
2016 iscritti 1.006.701 voti validi 537.584 pari al 53,40% con un calo del 12,57%: Sala non esattamente un trascinatore, come il suo competitor Parisi
TORINO
2011 iscritti 707.817 voti validi 405.474 pari al 57,28%.
2016 iscritti 659.740 voti validi 382.503 pari al 54,97%. Un calo del 2,31% nonostante ci fosse da votare una candidata M5S.
GENOVA
2012 iscritti 503.752 voti validi 263.849 pari al 52,37%.
2017 iscritti 491.167 voti validi 228.796 pari al 46,58%. Un balzo all’indietro del 5,79% per il “metodo Toti”.
BOLOGNA
2011 iscritti 301.934 voti validi 210.185 pari al 69,61%
2016 iscritti 300.586 voti validi 174.187 pari al 57,94% un meno 11,67
FIRENZE
2009 iscritti 293.173 voti validi 206.494 pari al 70,43%.
2014 iscritti 288.971 voti validi 187.710 pari al 64,99% un calo del 5,44%.
ROMA
2013 iscritti 2.359.119 voti validi 1.203.335 pari al 51,00%.
2016 iscritti 2.363.779 voti validi 1.147.499 pari al 48, 54. Un calo del 2,46% nell’occasione delle candidature dei big Raggi, Giachetti, Marchini.
NAPOLI
2011 iscritti 812.450 voti validi 466.174 pari al 57,37%.
2016 iscritti 788.291 voti validi 403.311 pari al 51,16%. Calo del 6,21% in occasione delle rielezione di un altro inventore di metodi politici come De Magistris.
BARI
2009 iscritti 282.880 voti validi 204.972 pari al 72,45%.
2014 iscritti 279.803 voti validi 178.949 pari al 63,95% un arretramento del 8,50%.
Nella sostanza si può ben affermare che la tendenza al calo molto sensibile della partecipazione al voto rappresenti fenomeno diffuso in tutte le situazioni e occasioni di voto salvo quella referendaria del 2016. Grande attenzione quindi nel celebrare successi e ricercare flussi senza prima tener conto di questo fattore assolutamente determinante e al momento apparentemente incontrovertibile.
Mancano i soggetti politici capaci di produrre progettualità, aggregazione, identità: per quel che riguarda la sinistra, in questo senso, si dimostra la perfetta inutilità dei raduni del 18 giugno e del prossimo 10 luglio incentrati sul tema “alleanze sì, alleanze no” del tutto arretrato rispetto alla drammatica realtà di un sistema che sta progressivamente arretrando nel senso comune di massa e si trova di fronte a contraddizioni, antiche ed inedite, che sembrano proprio irrisolvibili se non nella direzione di costruire altri drammi collettivi e costrizioni sociali.
In ogni caso, con buona pace dell’Istituto Cattaneo il vero flusso da prendere in considerazione all’interno di questo stato di cose è “voto/non voto”.
Di seguito i dati del referendum relativi ai voti validi (dati riferiti al territorio nazionale. Nel totale degli iscritti non sono computati gli elettori all’estero). La comparazione, oltre al dato complessivo, è nello specifico quella con Regioni e Comuni di cui sopra.
Dato nazionale: iscritti 46.720.943 voti validi 31.734.789 pari al 67,92%
LIGURIA regione: iscritti 1.241.469 voti validi 858.448 pari al 69,14%
VENETO (regione) iscritti 3.725.400 voti validi 2.835.027 pari al 76,09%
TOSCANA (regione) iscritti 2.854.129 voti validi 2.1005.777 pari al 73,78%
CAMPANIA (regione) iscritti 4.566.905 voti validi 2.667.460 pari al 58,40%
PUGLIA (regione) iscritti 3.280.712 voti validi 2.007.927 pari al 61,20%
MILANO (città) iscritti 943.104 voti validi 677.077 pari al 71,79%
TORINO (città) iscritti 652.538 voti validi 462.381 pari al 70,85%
GENOVA (città) iscritti 460.004 voti validi 316.306 pari al 68,76%
BOLOGNA (città) iscritti 285.255 voti validi 215.304 pari al 75,47
FIRENZE (città) iscritti 748.871 voti validi 577.286 pari al 77,08%
ROMA (città) iscritti 2.091.633 voti validi 1.451.522 pari al 69,39%
NAPOLI (città) iscritti 750.709 voti validi 401.664 pari al 53,50%
BARI (città) iscritti 265.853 voti validi 166.935 pari al 62,79%
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