1) L’attuale governo nasce sulla base di una operazione esclusivamente trasformista con il passaggio da un’alleanza con un partito di estrema destra seminante nel Paese odio razzistico stipulata da parte del partito o Movimento ancora di maggioranza relativa in Parlamento a un’alleanza da parte dello stesso partito o MoVimento con soggetti auto dichiarati di centro – sinistra, fra i quali una forza (Le U) parzialmente frutto di una scissione avvenuta formalmente “a sinistra” del PD. Scissione nella quale erano confluiti una parte dei maggiori dirigenti provenienti dalle varie sigle succedutesi alla liquidazione del PCI (PDS, DS). Obiettivo dell’operazione trasformistica di varo del nuovo governo: fermare l’estrema destra revanscista il cui leader, al momento dei fatti, stava chiedendo i pieni poteri comiziando da varie spiagge.
Pieni poteri che sarebbero serviti soprattutto a chiudere i porti a navi sulle quali erano imbarcati i protagonisti di una assolutamente ipotetica invasione di migranti. Invasione inventata esclusivamente a uso propaganda. L’operazione di fermare questa destra pericolosa è riuscita ma a quale prezzo? Tornando alla ferragostana formazione del governo deve essere ricordato come preliminare da parte del partner di governo direttamente proveniente dall’alleanza con la destra sia stata la richiesta al partner presuntivamente di centro – sinistra di ridurre la rappresentatività politica e il ruolo del Parlamento attraverso una riduzione “lineare” nel numero dei componenti le Assemblee legislative;
2) In perfetta continuità ha assunto la Presidenza del Consiglio lo stesso personaggio (mai eletto in alcuna assemblea legislativa) che aveva ricoperto il ruolo nell’alleanza imperniata sull’estrema destra;
3) Il governo ha mantenuto intatti provvedimenti nocivi per un’economia che si trova in una fase di grande difficoltà, oltre a quelli assolutamente liberticidi in materia di cosiddetta “sicurezza” (liberticidi non soltanto per i migranti). Provvedimenti adottati a suo tempo semplicemente per corrispondere ad un gigantesco “scambio politico” sulla base del quale nel 2018 erano state vinte le elezioni
4) Nel frattempo si segnalano periodiche diaspore dai gruppi parlamentari del MoVimento ancora di maggioranza relativa : i protagonisti di queste diaspore si orientano indifferentemente di volta in volta a destra come a sinistra oppure indefinitamente verso il gruppo Misto. Si è così aperto un ampio terreno di caccia per i più vieti opportunismi. Un segnale di grande debolezza per quella che dovrebbe essere ( e non è) una nuova classe dirigente;
5) Il PD si è scisso per la seconda volta in pochi anni. Questa volta le scissioni (sono due, ricordiamole) sono orientate a destra. Quella attuata dall’ex-segretario e ex-presidente del Consiglio ha portato via soltanto una parte dell’ex-”giglio magico” che ha retto partito e governo nel biennio 2014 – 2016, fino all’esito negativo di un disgraziato referendum causato dal tentativo di conferma di una legge che intendeva stravolgere la Costituzione Repubblicana;
6) Il nuovo gruppo ha votato la fiducia al governo ma subito dopo, per ragioni di protagonismo soggettivo, ha assunto vesti di vero e proprio “guastatore” mettendo in discussione l’intero impianto su cui si dovrebbe reggere l’alleanza di governo;
7) Intanto una serie di elezioni regionali hanno segnato un risultato negativo per la nuova alleanza di governo. Ad ogni tornata il MoVimento già di maggioranza relativa cade rovinosamente , sia se presente in alleanza (Umbria) sia in veste autonoma (Emilia, Calabria).
8) Unica eccezione nella serie di elezioni regionali vinte dalla destra è rappresentata dall’Emilia – Romagna dove si afferma il PD. La vittoria del candidato del PD è arrivata grazie al combinato disposto tra un giudizio di buon governo assegnato da settori dell’elettorato alla giunta uscente e l’intervento di un movimento di piazza che, senza sviluppare alcuna analisi di sistema, si limita a chiedere un “populismo gentile”. Un “populismo gentile” che sembra già tanto a settori orientati a sinistra ma ormai privi di bussola che pensano in questo modo di veder riaperto uno spiraglio e trovano così una qualche ragione per ritrovarsi;
9) La tensione tra il gruppo dell’ex “Giglio Magico” e il governo è salita attorno a provvedimenti – simbolo per quella che era stata un tempo quella destra populista e personalistica raccolta attorno al conflitto d’interesse di una sola persona. Una destra populista e personalistica che aveva governato più volte l’Italia tra gli anni ‘90 del XX e il primo decennio del XXI. I provvedimenti sui quali si è aperto lo scontro in atto riguardano esclusivamente la sfera giudiziaria: prescrizione e intercettazioni. Naturalmente su istanze di carattere economico – sociale (tutte orientate, da parte del governo, in senso liberista) e di carattere internazionale non si intravedono contestazioni di sorta così come sui reiterati attentati alla Costituzione;
10) In soccorso al governo, in vista di un’ulteriore cambio di maggioranza se l’ex-”Giglio Magico” ritenesse conveniente sfilarsi, sembra arrivare in queste ultime ore un gruppo proveniente proprio da quella destra già populista – personalistica cui si faceva cenno. Il passaggio dal centro – destra al centro – sinistra, in un quadro che si vorrebbe(ma non è mai stato) bipolare, è ormai un classico della nostra vicenda politica, verificatosi già diverse volte a partire dall’operazione “patriottica” (gli “straccioni di Valmy”) ispirata da Cossiga e che portò alla formazione del governo D’Alema.
11) In queste condizioni di autentico via vai di maggioranze variabili il governo sta per impegnarsi in una enorme tornata di nomine che riguardano i vertici dei più importanti Enti di Stato;
12) Nel frattempo si sono succeduti quattro sistemi elettorali: Mattarellum, Porcellum, Italicum (mai utilizzato), Rosatellum, due dei quali dichiarati incostituzionali dall’Alta Corte e tutti caratterizzati (almeno parzialmente) dalla presenza di liste bloccate. Liste bloccate corte o lunghe a seconda dei casi sulle quali, così come stilate in partenza, elettrici ed elettori non hanno mai avuto la possibilità di intervenire. Si è sempre trattato di prendere o lasciare. E molte/i nel frattempo hanno “lasciato” constata l’impossibilità di scegliere i propri rappresentanti. Così come si è tentato di ridurre drasticamente il ruolo dei corpi intermedi cercando di annullare qualsiasi possibilità di mediazione sia sul piano politico, sia su quello sociale. Conta ormai soltanto la “governabilità” a qualsiasi prezzo con l’esercizio della politica ridotto all’apparizione del potere;
13) Si sorvola, per esigenze di economia del discorso, sui dati dell’economia del Paese caratterizzati dalla crescita del debito pubblico , da una crisi profonda della produzione industriale, da un allargamento della forbice delle disuguaglianze, da una intensificazione dello sfruttamento del lavoro la cui offerta si è fatta sempre più precaria;
14) La crisi della produzione industriale è ben segnalata dal numero dei tavoli di crisi presenti al Ministero dello Sviluppo economico: 150 erano e 150 restano dopo l’esperienza di entrambi i governi del trasformismo reciproco. 150 situazioni di crisi che riguardano settori decisivi della nostra economia e della nostra industria.
15) Si evita anche di approfondire il dato della totale inesistenza di una politica estera. Elemento ben messo in evidenza dalla totale assenza di capacità di intervento nella gravissima crisi libica. Un’assenza di politica estera che rappresenta un elemento di continuità caratteristico ormai di molti governi succedutisi negli ultimi anni;
16) Sul piano istituzionale il ruolo del Parlamento è stato sempre più svilito. Scarsissima la produzione legislativa (non è detto che sia un male) riduzione a ruolo di semplice ratifica, livello quasi inesistente di confronto politico;
17) Si è aperta una forte discussione sul tema dell’autonomia delle Regioni. Poco o nulla si discute dell’aumento del divario tra il Nord e il Sud e quasi inesistente è l’analisi circa il mutamento di funzioni dell’Ente Regione. Un mutamento progressivamente verificatosi con il passaggio da funzione legislativa a una funzione quasi esclusiva di nomina e di spesa. Nel quadro del divario tra zona e zone del Paese è ancora inesistente l’analisi sul fallimento di alcune funzioni sociali affidate appunto alla Regioni: sanità e trasporti, ad esempio, risultano in grande difficoltà in quasi tutte le regioni d’Italia salvo che in alcune “isole” del Nord. “Isole” tra l’altro governate da colori politici diversi tra loro;
18) A questo punto indagini di opinione compiute da istituti particolarmente autorevoli ci dicono che esiste nel Paese una massiccia maggioranza che pensa “all’uomo solo al comando”.
In queste condizioni ci si sta avviando, nel silenzio dei mezzi di comunicazione di massa, al referendum confermativo sulla legge che riduce il numero dei parlamentari: una legge che modifica la Costituzione in un punto fondamentale, quella della rappresentatività politica e territoriale della Camera e del Senato, violando palesemente la democrazia repubblicana.
Così un sistema fragile, segnato profondamente dal trasformismo, finisce con l’arroccarsi su logiche di distruttiva autoconservazione.
I rischi per la democrazia italiana, a questo punto, risultano molto alti: il No nel referendum può rappresentare un punto di ancoraggio che vale sicuramente la pena di sostenere lanciando anche un vero e proprio allarme per la credibilità di un sistema profondamente malato nel quale sembrano ormai possibili rischi di scorrerie autoritarie.
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leone giuseppe
LE OLIGARCHIE CREANO LE PROPRIE ISTITUZIONI E SOLO TU LE PUOI FERMARE: IL 29 MARZO VOTA “NO”.
1. Maggioritario al posto del proporzionale;
2. Finanziamento privato dei partiti al posto di quello pubblico;
3. Sbarramento dei partiti al 5% ;
4. Taglio dei parlamentari;
Sono 4 principi che hanno più a che fare con la religione, ormai, piuttosto che con argomenti razionali. Di razionale c’è solo che vanno tutti in un’unica direzione: blindare il parlamento a favore dei soli grandi partiti che hanno dominato la 2ª Repubblica.
Diversamente dalla dittatura, le attuali oligarchie per legittimarsi hanno ancora bisogno di un’opinione pubblica favorevole.
1. MAGGIORITARIO AL POSTO DEL PROPORZIONALE.
L’Italia è diventata una delle più grandi potenze industriali ed economiche del globo, non grazie al principio di “governabilità” , ma all’economia mista e i partiti popolari: ovvero, grazie alla commistione di un’imponente industria pubblica che faceva da contro-parte ad una diffusa piccola e media impresa privata. Durante gli anni ’60 (cioè durante il boom economico) c’erano i famosi governi “balneari” che duravano il tempo di un’estate, e che fissavano la propria alleanza per portare avanti solo uno, al massimo due punti, del loro programma. Poi i governi si scioglievano.
La “governabilità” perfetta l’abbiamo avuta anche noi ed è stata durante il ventennio fascista, epoca che credo nessuno si augura di riprovare.
L’idea, poi, che l’Italia abbia governi meno stabili degli altri è completamente falso. Ricordo infatti che le ultime elezioni tedesche hanno lasciato la Germania in bilico per circa sei mesi; e le elezioni del Belgio di pochi anni fa avevano lasciato un paese senza governo per un periodo ancora più lungo.
L’unica via per uscire fuori da uno sclerotico bi-polarismo (dove, inoltre, una parte non si distingue ormai più da quella antagonista), può consistere solo in un ritorno al PROPORZIONALE PURO.
2. FINANZIAMENTO PRIVATO DEI PARTITI AL POSTO DI QUELLO PUBBLICO.
Il finanziamento pubblico è l’unica garanzia che offre ancora la possibilità ad un partito originale, appena nascente, di estrazione umile (cioè, composto da classi meno abbienti e una classe media: precari, disoccupati, partite iva, impiegati pubblici, liberi professionisti, piccoli imprenditori), e dunque privo di risorse economiche, di portare avanti le proprie idee senza dover rendere conto a nessun soggetto privato terzo, che altrimenti lo dovrebbe finanziare.
Al contrario, i partiti come Forza Italia, di matrice aziendalistica, o partiti di falsa ideologia progressista, come il Partito Democratico, finanziati dai grandi imprenditori come i Benetton (e come lo furono tutti i nuovi proprietari dell’industria pubblica a loro svenduta durante il 1992), avranno sempre la meglio sugli altri, in quanto sono gli unici a poter sostenere ingenti spese di finanziamento durante le loro campagne elettorali.
Gli USA sono l’esempio lampante di questo modello (Maggioritario + finanziamento privato ai partiti), dove Democratici e Repubblicani si danno il cambio di continuo, senza però che nessuno di loro intervenga mai a favore della nazionalizzazione del servizio sanitario contro le assicurazioni private; oppure per rendere obbligatorio il porto d’armi contro le grandi aziende che le producono; né hanno intenzione di diminuire i loro conflitti in Medio Oriente a scapito delle proprie compagnie petrolifere.
Solo il FINANZIAMENTO PUBBLICO permetterebbe la rinascita di partiti popolari che NON devono mai dipendere dal grande capitale.
3. LO SBARRAMENTO AL 5%
E’ nato in Germania affinché i partiti liberali progressisti e conservatori, alleati insieme, impedissero di nuovo l’ingresso in parlamento del Partito Comunista tedesco. Già riuscire a sorpassare la soglia del 3% attuale costituisce ( per chi prova a farlo come facciamo noi di FSI-Riconquistare l’Italia) un’impresa a dir poco Epica.
Porre un livello di sbarramento più alto significa, di nuovo, lasciare che i grandi partiti attuali rimangano dei parassiti, il cui lavoro, di bassa qualità, non potrà mai essere minacciato da nessun altro.
Viceversa, uno sbarramento al 3%, se da una parte, garantisce sulla serietà e sull’impegno che i nuovi partiti nascenti debbano metterci per guadagnarsi la fiducia dei cittadini; dall’altra, mette i partiti egemoni nella scomoda posizione di dimostrare un lavoro qualitativamente migliore nel timore di essere spodestati da altri soggetti più piccoli.
Quindi, uno sbarramento massimo al 3% costituisce invece un ottimo compromesso che impedisce, da una parte, il proliferare dei partiti; mentre, dall’altra, di garantire ancora l’ARTICOLO 49 DELLA COSTITUZIONE: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
4. IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI
L’idea che sia un taglio dei costi che faccia risparmiare gli italiani è, come si è visto, un falso. Si è calcolato infatti che con il loro risparmio ci si guadagnerebbe un caffè (o al massimo un caffè e mezzo) in più all’anno.
Il paragone con il parlamento USA è del tutto fuorviante. Gli USA non sono l’Europa ma un effettivo stato federale dove, per ciascuno stato, i parlamentari promuovono leggi su quasi tutte le materie, nella stessa maniera in cui si comporta il parlamento centrale. Questo significa che i parlamentari USA contano di alcune migliaia totali, e dunque un numero molto maggiore dei nostri.
E’ sbagliato ancora paragonare il numero dei nostri parlamentari con gli altri paesi del continente, se non si esegue tale confronto in termini relativi: ovvero, nel rapporto con la popolazione. E, difatti, questo calcolo corretto mette l’Italia solo al 27° posto rispetto ai suoi partner europei.
Ma soprattutto, è ancora più confusa l’idea per cui una diminuzione dei parlamentari porterebbe maggiore qualità del loro lavoro. In realtà, la diminuzione dei parlamentari non farebbe altro che diminuire allo stesso modo, sia il numero dei parlamentari peggiori, sia, contemporaneamente, quello dei migliori.
Diminuirebbe inoltre le circoscrizioni territoriali in grado di proporre propri candidati, restringendo in questo modo il volume dell’attuale rappresentatività.
Infine, proprio in mancanza di un fattore numerico che faccia da contrappeso e da super visione, in futuro non si farebbe altro che rendere il lavoro di bassa qualità degli attuali partiti ancora più blindato e sicuro rispetto alla situazione attuale.
L’idea che, per migliorare la qualità del lavoro parlamentare si debbano distruggere le buone istituzioni che ancora possediamo è un paradosso dettato da un cieco masochismo nell’interesse di poche e ristrette classi sociali, padroni incontrastati dei mezzi mediatici.
In verità, il lavoro parlamentare si può cambiare solo attraverso l’ingresso in parlamento di partiti nuovi e, per adesso più piccoli, che siano organizzati però su base popolare.
Il 29 MARZO VOTA NO
Se non ti sta bene un parlamento così, aiuta piuttosto anche tu a costruire i nuovi partiti popolari.
#IOVOTONO IL 29 MARZO AL REFERENDUM
COSA PREVEDE LA LEGGE SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI – La riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari riduce i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. L’istituto dei senatori a vita è conservato fissandone a 5 il numero massimo (finora 5 era il numero massimo che ciascun presidente poteva nominare). Ridotti anche gli eletti all’estero: i deputati scendono da 12 a 8, i senatori da 6 a 4.
L’ARTICOLO 138 DELLA COSTITUZIONE – Il referendum confermativo per le leggi costituzionali è disciplinato dall’articolo 138 della Carta. Serve a sottoporre ai cittadini la riforma votata dal Parlamento, ma può essere richiesto solo se i sì della Camera e del Senato non superano i due terzi dei componenti dell’assemblea. Tre sono i modi previsti dalla Costituzione per far partire la macchina referendaria: a chiedere il referendum possono essere 5mila elettori, 5 Consigli regionali o un quinto dei membri di una delle Camere (126 deputati o 64 senatori). Nel caso della legge sul taglio dei parlamentari, le firme sono arrivate da 71 senatori con il contributo decisivo di alcuni della Lega che hanno inteso così favorire la fine anticipata della legislatura.
NIENTE QUORUM – A differenza dei referendum abrogativi, per la validità del referendum costituzionale non è obbligatorio che vada a votare la metà più uno degli elettori aventi diritto: la riforma costituzionale sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi, indipendente da quante persone si recano ai seggi.
GLI ALTRI TIPI DI REFERENDUM – La Costituzione prevede referendum abrogativi (ne sono stati celebrati in Italia 67 dal 1948) e non abrogativi. Tra i referendum non abrogativi, la Carta distingue quelli istituzionali (solo quello del 2 giugno 1946 tra monarchia e Repubblica), di indirizzo (solo quello sul conferimento del mandato costituente al Parlamento europeo del 18 giugno 1989) e costituzionali.
referendum di indirizzo, non espressamente previsto dalla Costituzione, il Senato, qualche mese prima, aveva definitivamente approvato con voto unanime, dopo le precedenti votazioni (tutte all’unanimità) sia al Senato che alla Camera, la legge costituzionale che lo avrebbe reso possibile. Al voto parteciparono 37.560.404 votanti, pari all’80,68% dei 46.552.411 elettori italiani. I “sì” furono 29.158.656, vale a dire l’88,03% dei votanti [fonte: Archivio storico delle elezioni, Ministero dell’interno].
il referendum costituzionale sul taglio degli eletti in programma domenica 29 marzo allontana non poco l’ipotesi delle elezioni anticipate, anche perché con la scontata vittoria del sì (non serve che venga raggiunto il quorum per essere valido) e senza la riforma della legge elettorale il Rosatellum andrebbe rivisto ridisegnando i collegi elettorali per la parte uninominale/maggioritaria. E quindi di elezioni non si parlerebbe almeno fin dopo l’estate, lasciando così al Quirinale tutto il tempo per capire e valutare quale formula di governo (di quelle elencate.
Sergio Mattarella. In realtà il presidente della Repubblica – ricordano molti parlamentari di maggioranza e opposizione – ha come compito quello di applicare la Costituzione, una sorta di notai della Carta. E, quindi, prima di sciogliere le Camere proverebbe a vedere se in questo Parlamento ci sono le condizioni per dar vita a un’altra maggioranza e a un altro esecutivo, come prevede.
Sergio Mattarella che la sua “guardiania” della Costituzione dovrebbe esercitarla proprio e soprattutto nelle materie dei diritti civili e per la difesa dei cittadini da abusi legislativi che non sono meno gravi, anzi, lo sono assai di più degli abusi di potere commessi con singoli atti di singoli funzionari.
Né la questione è limitata solo a queste non piccole né trascurabili questioni della prescrizione-imprescrittibile. Il declino, il malessere delle istituzioni repubblicane, gli sfregi che le maggioranze e i governi degli ultimi tempi stanno arrecando al tessuto costituzionale ed alle libere istituzioni della Repubblica, avvengono senza che Mattarella si avvalga del suo potere-dovere di rimandare al Parlamento le più che frequenti norme violatrici del dettato costituzionale.
Perché? Mattarella non è privo di preparazione giuridica. Se non si avvale di questo suo potere di “Guardiano della Costituzione” non è certo per ignoranza o distrazione. È per una scelta. Fare questo suo dovere gli sembrerà portare acqua alle lotte contro le debolezze, instabilità e precarietà delle maggioranze stesse e dell’Esecutivo, dei governi che egli ha faticato a mettere in piedi tra scontri e contrapposizioni mai visti prima.
Guardiano”, invece che della Costituzione, sembra lo sia della precaria baracca di queste marionette che oggi sono, purtroppo, in Parlamento. “Guardiano” di un po’ di (molto poca) stabilità (velenosa) dei governi. “Guardiano” non della Costituzione, ma del tirare avanti purchessia, assistendo, giorno dopo giorno, alla demolizione delle libere e valide Istituzioni.
Non credo proprio. Lo offende assai di più il silenzio complice di chi fa finta di non vedere. E la “benevola comprensione” per questa tolleranza zoppa di Mattarella che è, oltre ad una complicità, una spinta, quasi un’impossibile giustificazione dei barbari vandali che detengono il potere.