10 febbraio 2018, una data che ricorderemo a lungo per aver smascherato e bloccato la strategia della tensione messa in campo da Minniti e fascisti. Quasi 30 mila persone dai più vari percorsi personali e politici hanno attraversato Macerata in una manifestazione nazionale che porta in sé un potente vento di rinnovamento nel movimento antifascista, un lento ma inesorabile cambio di passo necessario per fare fronte alle incombenze di tempi in cui molti schemi del passato sono ormai saltati.
La legittimazione mediatica delle formazioni neofasciste, Casapound e Forza Nuova in testa, è andata di pari passo con l’approvazione dei pacchetti antimigranti e di repressione preventiva volute dal PD. La tensione creata attorno all’emergenza migranti ha provocato una guerra tra poveri che è diventata la leva con cui i fascisti stanno provando a penetrare nelle periferie e tra i settori popolari. Respingere la “nuova strategia della tensione” creata ad arte per distogliere il nostro corpo sociale dalla macelleria sociale imposta dalla UE sta diventando una battaglia centrale, urgente e necessaria.
In giorni in cui da nord a sud, da Milano a Napoli, anche molte altre piazze italiane hanno alzato un argine di fronte alla montante melma ideologica portatrice di razzismo e di odio contro gli ultimi, c’è un dato che sopra tutti merita di essere sottolineato: a un anno dal suo insediamento agli Interni, il ministro Minniti ha subìto finalmente una pesante sconfitta politica. Dopo aver mostrato da subito i muscoli e aver impresso un importante avvitamento autoritario al corso politico di questo paese, tanto con l’utilizzo di provvedimenti normativi quanto nella gestione di piazza, questa volta il passo è stato più lungo della gamba. Forse perché messi eccessivamente in tensione da una campagna elettorale in cui sono entrambi direttamente coinvolti, alla fine il ministro e il segretario del suo partito sono risultati tra coloro che assieme a Salvini hanno avuto tutto da perdere dallo svolgimento dei fatti degli ultimi giorni.
Una settimana che sembrava iniziata nel peggiore dei modi, con un fatto di cronaca nera diventato occasione per rigurgiti razzisti legittimati dall’intero arco mediatico, il quale dà ormai per assodata l’immanenza dell’accostamento dei concetti di immigrazione e insicurezza, il brodo di coltura ideale in cui era potuto scaturire l’attentato terroristico di un fascista ai danni proprio di alcuni immigrati. Gli sviluppi successivi, con il sindaco PD di Macerata che delegittimava l’annunciata manifestazione antifascista, le segreterie nazionali di Anpi, Cgil, Arci e Libera che rispondevano agli ordini e infine Prefetto e Minniti pronti a imprimere il sigillo in virtù dei propri poteri istituzionali, sembravano gli ingredienti perfetti per un’ulteriore accelerazione nella ripida discesa imboccata da quello che rimane della democrazia italiana. Invece si è riusciti a dimostrare che con un’ancora piccola ma adeguata capacità organizzativa diffusa nei territori e nella società, e con la lucidità di mantenere fermo l’obiettivo, non solo è possibile resistere a simili attacchi autoritari, ma addirittura il rischio di un ulteriore passo indietro può trasformarsi in occasione per farne due in avanti.
Per chi ogni giorno cammina sullo stretto crinale del conflitto sociale, quello di ieri rappresenta un importante risultato collettivo affatto scontato, ma conferma segnali rintracciabili da anni: da molto tempo si assiste a mobilitazioni antifasciste di carattere locale in cui il ruolo del consorzio associativo sfilatosi dalla manifestazione nazionale di Macerata è nullo o addirittura ostile. Da molto tempo questa assenza non impedisce che una marea umana rappresentata da giovani, militanti storici e attivisti di nuova generazione così come da abitanti delle periferie e ceto medio impoverito, prenda spesso parola autonomamente per difendere un’idea di società diversa da quella propinata dai seminatori di odio, e si schieri anche senza questa copertura politico-istituzionale. Anche senza di essa non sono state appunto casi isolati le tante occasioni in cui è stato rispedito al mittente l’odio fascio-leghista, e nella settimana appena trascorsa se ne sono finalmente raccolti alcuni primi frutti. Non è in questa sede, a caldo, che possiamo sviluppare tutte le conseguenze implicite in questa fotografia, ma certamente alcune affermazioni ci sentiamo di poterle sostenere.
Innanzitutto crediamo sia giunto il momento che il punto di non ritorno ormai oltrepassato dall’antifascismo in questo paese debba essere riconosciuto chiaramente da chiunque si interroghi sui caratteri che dovrà avere la rappresentanza politica del nostro blocco sociale, e pensiamo che la sua ricomposizione possa addirittura essere agevolata dalla pratica antifascista quotidiana, nonostante le inossidabili certezze di un ampio arco di forze che va dall’ormai decotto popolo della sinistra fino ai rossobruni di ogni risma, oggettivamente accomunate dalla subalternità culturale a una classe dirigente che da lungo tempo recita il requiem dell’antifascismo. Questa piccola verità costituisce un tassello che se aggiunto nella cornice generale non risulta un elemento neutrale: la necessità di andare oltre l’analisi, le pratiche, l’identità, gli schemi, le alleanze, la simbologia della sinistra storica ci è ribadita costantemente dalle vicende legate alle battaglie del mondo del lavoro, alle lotte metropolitane, allo scenario politico europeo in cui affiorano finalmente forze capaci di mettere in discussione lunghi decenni di accettazione indiscussa del collaborazionismo di classe e di assoggettamento ai suoi dogmi, che spesso a sinistra hanno solo prodotto stampelle di quell’impianto strategico che va dall’eurocomunismo di ieri alla casa del socialismo europeo di oggi.
Conosciamo appunto anche un’altra storia, quella che in Italia si è recentemente coagulata in importanti momenti unitari come l’autunno di lotta del “No sociale” al referendum costituzionale, le contestazioni in occasione dell’anniversario della sigla dei Trattati di Roma fondativi dell’attuale Unione Europea, le mobilitazioni degli ultimi mesi culminate a dicembre con la splendida piazza antirazzista convocata sotto la sigla unitaria Fight/Right.
Una storia ancora in cerca d’autore, ed è in questa ricerca che primi importanti avanzamenti sono maturati in senso ai progetti della Piattaforma Eurostop e dell’alleanza di Potere al Popolo, protagoniste tra l’altro nella generosa costruzione della giornata di ieri. In questo flusso, unire da un lato la lotta contro i responsabili delle nostre condizioni di vita miserevoli e dall’altro lo smascheramento della guerra tra poveri proposta come palliativo è un imperativo, non un’opzione.
Classismo e reazione sono due facce della stessa medaglia, come in questi giorni ci ha ricordato la giusta polemica sorta attorno al progetto “Scuole in chiaro”. Le politiche del PD scritte a Bruxelles e il razzismo di Salvini sono le sponde dello stesso fiume, e Minniti si è solo assunto l’incarico di costruire un ponte tra esse. Banali evidenze dalle conseguenze vive, di fronte alle quali le parole d’ordine molto nette ribadite dalla manifestazione di Macerata hanno messo a nudo l’infondatezza di avvitamenti autoritari giustificati tramite la retorica securitaria costruita ad arte riproponendo all’infinito l’archetipo patriarcale della donna ostaggio dello straniero.
Quello che ci dice questo 10 febbraio è che non introiettare l’orizzonte della sconfitta significa saper cogliere l’enorme potenziale visto ieri all’opera: mentre piccole ma compatte forze organizzate hanno saputo attivare una composizione larga e variegata in opposizione a qualunque legittimazione delle organizzazioni fasciste, queste ultime, incapaci di rappresentare un’alternativa organizzata per reali settori sociali, si sono dovute affidare alla visibilità mediatica dei propri uomini e donne immagine, con Matteo Salvini nella platea dell’Ariston e Giorgia Meloni alle prese con una gaffe al museo e uno scivolone nella scelta della foto con cui commemorare il “giorno del ricordo”. Per quanto ci riguarda, non poteva proprio esserci giornata migliore di quella di ieri per rendere omaggio alla resistenza delle popolazioni slave contro decenni di violenza imperialista e fascista.
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