“Fallujah. La strage nascosta” è un documentario di Sigfrido Ranucci e Maurizio Torrealta andato in onda per la prima volta sulle reti televisive della Rai l’8 novembre 2005 che ha documentato le prove dell’uso di armi chimiche, in particolare ordigni incendiari e armi basate sul fosforo bianco e altre sostanze simili al napalm, come il Mark 77, e l’uso indiscriminato della violenza contro i civili da parte delle forze militari statunitensi nella città irachena di Falluja durante l’offensiva del novembre 2004.
Le interviste con ex militari statunitensi che affermano di essere stati presenti all’offensiva di Falluja supportano l’ipotesi dell’uso di armi da parte degli Stati Uniti, mentre i giornalisti che erano in Iraq discutono dei tentativi degli Stati Uniti di bloccare la diffusione delle notizie.
Vi sono filmati di armi al fosforo bianco sparate da elicotteri in aree urbane, così come riprese dettagliate mostrano i resti di persone che si suppone siano state uccise da quelle armi, tra cui donne e bambini.
Nel documentario viene intervistato l’ex soldato statunitense, ora attivista contro la guerra, Jeff Englehart, il quale discute dell’uso del fosforo bianco, chiamato “Willie Pete”, da parte degli Stati Uniti in aree edificate e descrive l’offensiva di Falluja come «un’uccisione di massa di arabi». Englehart ha trascorso due giorni a Falluja durante la battaglia.
Nel reportage si afferma che i militari statunitensi hanno deliberatamente mirato a civili iracheni e bambini durante l’offensiva di Falluja per debellare l’opposizione all’occupazione statunitense. Viene intervistato l’ex soldato statunitense Garret Reppenhagen il quale afferma che le morti civili erano frequenti e intenzionali.
Per le rivelazioni in anteprima il documentario è stato ripreso dalle maggiori testate mondiali, fra le quali Le Monde[2], El País[3], il New York Times[4], il Guardian[5], oltre alle italiane La Repubblica[6] e Il Corriere della Sera[7]; su quest’ultimo, Enzo Biagi richiamò il filmato e i suoi autori nella sua rubrica “Strettamente personale”[8].
Nel 2006 Ranucci ha vinto per il documentario il premio Alpi con la seguente motivazione: «Sigfrido Ranucci svela in esclusiva l’utilizzazione del fosforo nei bombardamenti americani su Falluja. L’inchiesta di Rai News 24 ha fatto il giro del mondo denunciando un drammatico retroscena della guerra in Iraq.»[9] Anche nel corso dell’attacco contro Gaza del 2009 l’esercito israeliano ha fatto uso di munizioni al fosforo bianco.
L’uso del fosforo bianco è un crimine di guerra. I media internazionali hanno impiegato un po’ di tempo per testimoniare quello che un occhio un po’ esperto di questioni militari ha capito fin dall’inizio dei bombardamenti. Gli aerei da caccia, gli elicotteri e gli altri vettori venduti dagli Stati Uniti e utilizzati da Tsahal hanno impiegato munizioni con fosforo bianco. Blindati e artiglieria hanno fatto seguito durante l’attacco terrestre infliggendo alle popolazioni della Striscia di Gaza, una delle zone più densamente popolate al mondo, un diluvio di materiale iper-attivo che si ossida e si infiamma al contatto dell’aria e sprigiona un forte odore di aglio.
L’uso di questo tipo di armi è devastante. Le particelle incandescenti di fosforo bianco – chiamato “affettuosamente” Willy Pete dai soldati britannici all’epoca della seconda Guerra mondiale e dai soldati USA in Vietnam – penetrano profondamente nella pelle, fino a fondere l’epidermide, la carne e le ossa.
Il fosforo bianco provoca ustioni chimiche multiple che possono continuare a bruciare all’interno del corpo, anche in assenza di ossigeno dell’aria. “Generalmente, quando un paziente presenta un’ustione, si sa come curarla e soprattutto non c’è peggioramento, racconta il dottor Nafez Abu Shaaban, capo del servizio ustionati all’ospedale Shifa. Qui, non solamente era impossibile, ma in più la piaga si ingrandiva sempre di più e, dopo qualche ora, dalla ferita usciva fumo bianco. L’unica soluzione che avevamo era di portare il più rapidamente possibile il paziente in sala operatoria.” Queste ustioni sono spesso di secondo o terzo grado.
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