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La nuova guerra fredda alla Cina

 Il 24 marzo 2021, un articolo di alto profilo che proclama “Non ci sarà una nuova guerra fredda” è apparso su Foreign Affairs, la pubblicazione di punta del Council on Foreign Relations, il principale think tank strategico degli Stati Uniti.

L’autore, Thomas Christensen, professore di affari internazionali alla Columbia University, ed ex vice-assistente segretario di stato per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico nell’amministrazione di George W. Bush, è arrivato al punto di riconoscere che “l‘amministrazione Trump ha fondamentalmente dichiarato una nuova guerra fredda alla Cina”. 1

Tuttavia, nessuna Nuova Guerra Fredda, ha indicato ottimisticamente Christensen, si sarebbe effettivamente materializzata, dal momento che Washington, sotto Joe Biden, si sarebbe presumibilmente allontanata dalle politiche estreme di Trump nei confronti della Cina, data la sua “posizione vitale nella catena del valore globale”. 2

Pechino non può essere vista come una potenza aggressiva in termini ideologici o geopolitici, ma risulta semplicemente interessata alla competizione economica.

Tuttavia, ciò che l’analisi di Christensen escludeva era qualsiasi menzione del sistema mondiale imperialista, caratterizzato dall’egemonia statunitense, che ora è minacciato dall’ascesa apparentemente inesorabile della Cina e dal perseguimento del proprio caratteristico progetto sovrano. 3

A questo proposito, il perseguimento da parte dell’amministrazione Trump di una Nuova Guerra Fredda contro la Cina non ha rappresentato un’anomalia, ma piuttosto l’inevitabile risposta degli Stati Uniti all’ascesa del gigante asiatico, e alla fine del momento unipolare di Washington.

Proprio come gli Stati Uniti hanno dichiarato una Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica e la Cina negli anni ’40 e ’50, come parte di una grande strategia per garantire la propria egemonia globale nell’era immediatamente successiva alla Seconda Guerra Mondiale, oggi stanno dichiarando qualcosa di simile alla Cina, nell’interesse di mantenere quella stessa egemonia imperiale.

In effetti, giorni prima che l’ articolo di Christensen su Foreign Affairs andasse in stampa, dichiarando che non ci sarebbe stata una Nuova Guerra Fredda, l’amministrazione Biden ha chiarito che non intendeva solo continuare tale processo, ma anche accelerarlo, spingendolo a livelli più alti.

Ciò è stato evidente nei primi colloqui bilaterali ad alto livello tra gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese, dopo l’elezione di Biden a presidente degli Stati Uniti, tenutisi il 18 marzo 2021, al Captain Cook Hotel nel centro di Anchorage, con il segretario di stato degli Stati Uniti, Antony Blinken e il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, contrapposti al direttore dell’Ufficio della Commissione centrale per gli affari esteri Yang Jiechi e al ministro degli esteri cinese Wang Yi. 4

Nella settimana precedente a questo incontro di alto livello, Washington aveva preparato il terreno, segnalando, attraverso le sue azioni, la sua intenzione di promuovere una Guerra Fredda 2.0 iper-aggressiva diretta alla Cina. Così, il 12 marzo, Biden ha incontrato i capi di stato di Giappone, India e Australia, che rappresentano la nuova alleanza strategico-militare Quad guidata dagli Stati Uniti, ampiamente vista come un tentativo di costruire un omologo asiatico della NATO.

Il Quad ha rilasciato una dichiarazione congiunta il cui intero sottotesto era l’inimicizia verso la Cina. 5

Nella stessa giornata, la commissione federale per le comunicazioni degli Stati Uniti ha inserito nella lista nera cinque società cinesi, tra cui Huawei. 6 Il 16 marzo, meno di quarantott’ore prima dell’inizio dei colloqui bilaterali con la Cina, l’amministrazione Biden ha rinnovato le sanzioni contro ventiquattro funzionari del governo cinese, in risposta alla repressione del dissenso a Hong Kong. 7

In aperta rottura con il protocollo diplomatico, Blinken ha iniziato i colloqui bilaterali del 18 marzo ad Anchorage affermando, senza mezzi termini, che lui e il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin erano appena tornati da un incontro con le loro controparti in Giappone e Corea, due importanti alleati militari degli Stati Uniti, che condividono molte delle preoccupazioni di Washington riguardo alla Cina.

L’obiettivo di Washington, ha detto, era “promuovere gli interessi degli Stati Uniti e rafforzare l’ordine internazionale basato sulle regole“.

Ha poi lanciato una sfida diretta a Pechino, riferendosi alla “profonda preoccupazione per le azioni della Cina nello Xinjiang, a Hong Kong, a Taiwan; agli attacchi informatici agli Stati Uniti ed alla coercizione
economica verso i nostri alleati. Ognuna di queste azioni minaccia l’ordine internazionale basato sulle regole che mantiene la stabilità globale”.

Gli Stati Uniti sono dunque pronti non solo a essere competitivi (fatta salva la collaborazione in alcune aree strategiche), ma anche a relazioni improntate ad un forte antagonismo con la Cina ove necessario.
Sullivan continuato facendo esplicito riferimento all’organizzazione da parte di Biden del vertice dei leader del Quad, la settimana precedente, e alle preoccupazioni per la sicurezza di questa alleanza militare nel quadrante Indo-Pacifico, mettendo in primo piano la funzione di questo patto bellicoso che si sta formando in Asia contro Pechino.

Ha aggiunto che gli alleati e i partner degli Stati Uniti hanno espresso “motivi di preoccupazione” rispetto all’uso, da parte della Cina, della “coercizione economica e militare” nei suoi “attacchi ai valori fondamentali”; ha sottolineato che gli Stati Uniti avrebbero accolto con favore la “forte concorrenza” con la Cina, essendo tuttavia preparati ad un conflitto su vasta scala. 8

Yang ha risposto insistendo sul fatto che la Cina ha sostenuto fermamente “il sistema internazionale incentrato sulle Nazioni Unite e l’approccio basato sul diritto internazionale, in alternativa a ciò che è sostenuto da un piccolo numero di paesi [come] il cosiddetto ordine internazionale basato sulle regole“.

Il popolo cinese”, ha detto, “si sta raccogliendo completamente attorno al Partito Comunista Cinese. I nostri valori sono quelli comuni all’intera umanità: pace, sviluppo, equità, giustizia, libertà e democrazia”. Ha sottolineato le diverse concezioni di democrazia rappresentate dalla Cina e dagli Stati Uniti.

Contrapponendo la politica estera di Pechino a quella di Washington, sia storicamente che nel presente, ha
affermato: “Non crediamo nelle invasioni attraverso l’uso della forza, per rovesciare governi con vari mezzi, o per massacrare la gente di altri paesi. Gli Stati Uniti hanno esercitato una giurisdizione e una repressione a lungo termine e hanno sovraccaricato la [propria] sicurezza nazionale attraverso l’uso della forza e dell’egemonia finanziaria; questo ha creato ostacoli alle normali attività commerciali. Gli Stati Uniti hanno anche persuaso alcuni paesi a lanciare attacchi contro la Cina. Per quanto riguarda lo Xinjiang, il Tibet e Taiwan, essi rappresentano parti inalienabili del territorio cinese. La Cina è fermamente contraria all’interferenza degli Stati Uniti negli affari interni della Cina. Abbiamo espresso la nostra ferma opposizione a tale interferenza e intraprenderemo azioni decise in risposta”.

Yang ha insistito sul fatto che Washington non aveva elementi per dare lezioni a Pechino sui diritti umani dato il proprio record in materia, come simboleggiato dalle proteste del movimento Black Lives Matter: “Gli Stati Uniti stessi non rappresentano l’opinione pubblica internazionale, e nemmeno il mondo occidentale”.

Per quanto riguarda gli “attacchi informatici”, ha affermato, “sia che si tratti della capacità di lanciare attacchi informatici o delle tecnologie che potrebbero supportarli, gli Stati Uniti sono i campioni in questo senso. Non possono incolpare qualcun altro di questo problema”.

Wang, a sua volta, ha rincarato la dose: “La Cina esorta gli Stati Uniti ad abbandonare completamente la pratica egemonica di interferire intenzionalmente negli affari interni della Cina. In particolare, il 17 marzo, [il giorno prima dell’incontro], gli Stati Uniti hanno intensificato le loro cosiddette sanzioni contro la Cina per quanto riguarda Hong Kong. Il popolo cinese è indignato per questa grossolana interferenza negli affari interni della Cina. Proprio l’altro giorno, prima della nostra partenza, gli Stati Uniti hanno approvato queste nuove sanzioni. Questo non dovrebbe essere il modo di accogliere degli ospiti [in questi colloqui bilaterali che si svolgono in Alaska], e ci chiediamo se questa sia una decisione presa dagli Stati Uniti per cercare di ottenere qualche vantaggio nei rapporti con la Cina”. 9

Blinken ha ribattuto riferendosi nuovamente alle domande sollevate dagli alleati e dai partner degli USA in merito alle azioni della Cina in violazione al cosiddetto ordine internazionale basato sulle regole. Ha sottolineato la determinazione di Washington a costruire alleanze strategiche dirette a contrapporsi alla Cina.

Sullivan ha quindi propagandato l’abilità tecnologica degli Stati Uniti e l’atterraggio, un paio di settimane prima, di un’altra sonda su Marte, frutto della collaborazione coi partner europei. Un commento, quest’ultimo, progettato per sgonfiare in anticipo l’atterraggio pianificato della Cina del suo rover Tianwen
(letteralmente “Domande al cielo”) su Marte, che sarebbe avvenuto in maggio.

Ha inoltre criticato aspramente la delegazione cinese per le “lezioncine” impartite e le “dichiarazioni lunghe e tortuose”. 10

Yang ha risposto di essersi “sentito in dovere di fare questo discorso a causa del tono utilizzato da parte degli Stati Uniti“, col quale i diplomatici statunitensi hanno scelto “di parlare alla Cina in modo paternalista da una posizione di forza“, con tutta l’apparenza di avere attentamente “pianificato” e “orchestrato” questo confronto.

Wang ha poi ripreso il velato riferimento di Blinken al Giappone e alla Corea del Sud riguardo alle loro preoccupazioni sulle misure coercitive messe in campo da parte della Cina. Ha indicato che non era chiaro se questo provenisse effettivamente da questi stessi paesi o fosse semplicemente una proiezione degli Stati Uniti. 11

Per una stampa stupita, assistere all'[intero] scambio“, come osservò poco dopo Thomas Wright dalle colonne del The Atlantic, “è stato come essere presenti all’alba di una nuova guerra fredda“. 12

Infatti, come David Stilwell, ex assistente segretario di Stato per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico sotto Trump, e Dan Negrea, socio emerito del Center for Strategic and International Studies, hanno scritto, dieci giorni dopo, sul National Interest: “Trent’anni dopo la fine dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda, il mondo si trova in una fase simile”, stavolta avente come obiettivo la Cina. 13

Washington ha continuato nelle settimane successive con i suoi attacchi alla Cina:

-22 marzo: gli Stati Uniti, insieme all’Unione Europea, al Regno Unito e al Canada, hanno emesso sanzioni contro quattro funzionari cinesi per presunte violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. 14

-24 marzo: i ministri degli esteri dei trenta stati della NATO hanno dichiarato di essere pronti ad opporsi alle “minacce autoritarie all’ordine internazionale basato sulle regole“, in cooperazione con i loro alleati e partner nell’Asia-Pacifico, individuando così la Cina come comune nemico.

-25 marzo: una settimana dopo i colloqui bilaterali, Biden in una conferenza stampa ha dichiarato che “Xi [Jinping, il presidente della Repubblica popolare cinese] non ha nulla di democratico” e lo definiva “autocrate”. 15

-28 marzo: la rappresentante commerciale degli Stati Uniti Katherine Tai ha annunciato che gli Stati Uniti non avevano intenzione di rimuovere i dazi che Trump aveva imposto sulle merci cinesi importate negli Stati Uniti, che interessavano la maggior parte delle esportazioni cinesi negli Stati Uniti. Tali dazi erano stati progettati per sostenere il processo di scollegamento delle catene del valore delle multinazionali statunitensi dai propri fornitori cinesi. 16

-30 marzo: l’amministrazione Biden ha accusato unilateralmente la Cina di “genocidio e crimini contro
l’umanità“, presentando formalmente tali accuse nel suo rapporto annuale sui diritti umani, sebbene prive di prove credibili a sostegno. 17

-8 aprile: Washington ha inserito nella lista nera sette aziende cinesi di supercalcolo. 18

-30 aprile: l’amministrazione Biden ha organizzato un incontro pubblico tra i rappresentanti ufficiali del
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e le loro controparti di Taiwan. Questo ha rotto con l’accordo (noto come “dei Tre Comunicati) con la Cina, risalente agli anni ’70, secondo il quale gli Stati Uniti avrebbero evitato tutti i contatti ufficiali con Taiwan, che la Cina considera del proprio territorio, seppur soggetto ad un diverso sistema di governo. 19

-5 maggio: Il Gruppo delle Sette principali nazioni capitaliste, composto da Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Canada, si è presentato come il garante globale dell'”ordine internazionale basato sulle regole“, criticando fortemente la Cina sulla gestione di alcuni affari interni. 20

-7 maggio: in una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite presieduta da Wang Yi, Blinken ha criticato la Cina e la Russia per aver violato il diritto internazionale. Pur non facendo riferimento diretto alla Cina, ha ripetutamente rivolto ad essa accuse di genocidio, affermando: “Riconoscere il diritto alla giurisdizione nazionale non equivale, in nessun caso, a dare ad alcuno stato un assegno in bianco per schiavizzare, torturare, ed intraprendere azioni di pulizia etnica o violare i diritti umani in qualsiasi altro modo”. 21
-26 maggio: Biden ha ordinato alle agenzie di intelligence statunitensi di indagare sulle presunte origini del SARS-CoV-2 in laboratori cinesi; al contempo, Kurt Campbell, coordinatore per gli affari indo-pacifici del Consiglio di Sicurezza Nazionale, il luogotenente asiatico di Biden, ha dichiarato che “il periodo di mutuo impegno collaborativo con la Cina è giunto al termine“. 22

Nei suoi primi cento giorni, l’amministrazione Biden non ha perso tempo a intensificare la pressione militare degli Stati Uniti sulla Cina.

Da gennaio ad aprile 2021, l’attività militare statunitense lungo i confini della Cina è aumentata notevolmente. Le incursioni di navi militari statunitensi nelle acque territoriali rivendicate dalla Cina sono aumentate del 20%; le incursioni di aerei militari statunitensi nello spazio aereo cinese sono risultate in crescita del 40%.

A marzo, la Germania ha schierato una nave da guerra nel Mar Cinese Meridionale; Washington ha accolto tale azione come la dimostrazione del “sostegno della Germania ad un ordine internazionale basato sulle regole nel quadrante Indo-Pacifico”.

Ad aprile, gli Stati Uniti hanno inviato ulteriori rinforzi alle proprie portaerei nel Mar Cinese Meridionale. Nel frattempo, la Gran Bretagna sta inviando il suo gruppo d’attacco della portaerei Queen Elizabeth II nel Mar Cinese Meridionale.23

Visto in questo contesto generale, il confronto tra Washington e Pechino ad Anchorage, piuttosto che costituire semplicemente uno scambio rabbioso tra diplomatici adirati, può rivelare i contorni di base della grande strategia imperiale degli Stati Uniti nei confronti della Cina, e la natura della risposta strategica della Cina.

L’insistenza di Washington sul concetto di un “ordine internazionale basato su regole”, in contrasto con la difesa, da parte di Pechino, di un ampio ordine di Stati sovrani basato sulle Nazioni Unite e sostenuto dal diritto internazionale (tradizionalmente indicato come il sistema di Westfalia), è molto più che una disputa fraseologica.

Piuttosto, rappresenta l’attuale strategia degli Stati Uniti di costringere la Cina a rispettare l’ordine politico-economico egemonico imposto da un’alleanza di grandi potenze sotto la guida degli Stati Uniti, in modo da “bloccare” le attuali relazioni di potere imperiale.24

Come ha indicato la Cina, se l'”ordine basato sulle regole” è “stabilito dai soli Stati Uniti, esso non può essere assimilato a delle regole internazionali, ma piuttosto a delle regole egemoniche“, stabilite da una “cricca” di paesi e contrarie al principio di democrazia; tali regole, dunque, secondo la Cina, non saranno accettate dalla maggior parte dei paesi del mondo. 25

In particolare, gli Stati Uniti e le altre economie capitalistiche all’apice del sistema mondiale (Canada, Europa occidentale e Giappone) sono impegnate a preservare non solo le istituzioni egemoniche forgiate nell’era della Guerra Fredda, come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, insieme al sistema di alleanze militari dominate dagli Stati Uniti, ma anche quello che viene definito l’ordine internazionale liberale emerso durante l’era del “nudo imperialismo” (dal 1990 in poi) ad oggi e reso possibile dal vuoto creato dalla scomparsa dell’Unione Sovietica dalla scena mondiale e dal conseguente “momento unipolare” statunitense. 26

Durante l’era post-guerra fredda, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno portato avanti un flusso continuo di “interventi umanitari” negli affari di altri stati, generando un’era di guerra perpetua, a partire dall’espansione del potere degli Stati Uniti (e della NATO) nell’Europa orientale con lo smembramento della Jugoslavia. A questo hanno fatto seguito svariati interventi militari in Medio Oriente e in Africa, in
violazione della sovranità degli stati. 27

Questa nuova posizione imperiale aggressiva è stata legittimata dal concetto della “responsabilità di proteggere”, e dalla cosiddetta promozione di “democrazia” e valori “umanitari”; concetti, questi, determinati dagli Stati Uniti e dalle altre principali potenze capitaliste, che costituiscono i pilastri del cosiddetto “ordine internazionale basato sulle regole”. 28

L’obiettivo strategico della Nuova Guerra Fredda sulla Cina dal punto di vista degli Stati Uniti e dei loro alleati non è tanto quello di contenere la Cina economicamente, politicamente e militarmente, cosa non possibile, quanto piuttosto di trovare modi per vincolarla, rendendole impossibile l’effettuazione di cambiamenti nell’ordine globale nonostante la sua posizione di potere emergente.

La nuova grande strategia imperiale è quindi progettata per replicare su scala globale (e nell’era termonucleare) la famosa “diplomazia delle cannoniere” imposta alla dinastia Qing dalle principali potenze imperiali durante il “secolo dell’umiliazione” cinese, che risale alle guerre dell’oppio fino alla seconda guerra mondiale. 29

Ciò fu simboleggiato soprattutto dalla distruzione britannica del Palazzo d’Estate dell’imperatore nel 1860, progettata per umiliare la dinastia Qing. Nel 1900, durante la cosiddetta Ribellione dei Boxer (Movimento Yihetuan), le grandi potenze invasero la Cina nella cosiddetta Alleanza delle otto nazioni (allora composta da Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Germania, Austria-Ungheria, Italia, Giappone e Russia), imponendo la propria autorità alla dinastia Qing e ulteriori trattati capestro al paese. 30

Parte della giustificazione fornita all’epoca era che la Cina aveva bisogno di conformarsi alle regole internazionali del commercio. 31

In modo analogo al trattamento riservato alla Cina nel diciannovesimo e all’inizio del ventesimo secolo, la Cina di oggi, secondo l’attuale grande strategia imperiale degli Stati Uniti, deve essere vincolata economicamente, geopoliticamente e militarmente da un’ampia alleanza di poteri imperiali. L’obiettivo è, in definitiva, quello di provocare la scomparsa del Partito Comunista Cinese (PCC) e di legare strettamente la Cina all’ordine imperiale del capitale finanziario monopolistico globale, riducendola allo status di subalterno permanente.

Il mezzo principale per raggiungere questo obiettivo sarà un sistema di trattati ineguali – l’ordine internazionale basato sulle regole – imposto da una coalizione di grandi potenze, con gli Stati Uniti al vertice. 32

Il meccanismo principale per sconfiggere la Cina è stato spiegato nel 2017 dall’analista di politica estera di Harvard Graham Allison, membro del Council on Foreign Relations, nel suo libro Destined for War: Can America Escape the Thucydides Trap?, un’opera molto apprezzata da Biden, dall’ex segretario di stato americano Henry Kissinger e dall’ex direttore della CIA ed ex capo del Comando Centrale degli Stati Uniti, David Petraeus.

Nelle parole di Allison: “Le forze statunitensi potrebbero addestrare e supportare segretamente gli insorti separatisti. Esistono già crepe nello stato cinese. Il Tibet è essenzialmente un territorio occupato. Lo Xinjiang, una regione tradizionalmente islamica nella Cina occidentale, ospita già un attivo movimento
separatista uiguro responsabile di un’insurrezione di basso livello contro Pechino. E i taiwanesi che osservano la mano pesante di Pechino a Hong Kong difficilmente hanno bisogno di
incoraggiamento per opporsi alla riunificazione con questo governo sempre più autoritario.

Il sostegno degli Stati Uniti a questi separatisti potrebbe trascinare Pechino in conflitti con gruppi islamici radicali in tutta l’Asia centrale e in Medio Oriente? Se è così, potrebbero diventare pantani, rispecchiando l’intervento sovietico in  Afghanistan, dove i “combattenti per la libertà” mujaheddin sostenuti dagli Stati Uniti hanno dissanguato l’Unione Sovietica?

Uno sforzo sottile ma concentrato per accentuare le contraddizioni al centro dell’ideologia comunista cinese… potrebbe, nel tempo, minare il regime e incoraggiare movimenti indipendentisti a Taiwan, Xinjiang, Tibet e Hong Kong. Separando la Cina in patria e mantenendo Pechino impegnata nel mantenimento della stabilità interna, gli Stati Uniti potrebbero evitare, o almeno ritardare sostanzialmente, la sfida della Cina al dominio americano”. 33

Tutto questo è ora la politica della Nuova Guerra Fredda. 34 Inoltre, attaccando la Cina con accuse di “genocidio” e “crimini contro l’umanità” in relazione alle citate problematiche interne, gli Stati Uniti sono in grado di giustificare la loro Nuova Guerra Fredda contro la Cina, una guerra ibrida che combina una serie di attacchi, economici, finanziari, tecnologici, cibernetici con l’utilizzo di più tradizionali mezzi militari, palesi e occulti. 35

L’ordine basato sulle regole e la nuova grande strategia imperiale degli Stati Uniti

Il principale teorico statunitense dell’ordine internazionale basato sulle regole è G. John Ikenberry, professore di politica e affari internazionali all’Università di Princeton e membro del Council on Foreign Relations, il cui lavoro ha avuto una forte influenza sull’amministrazione Biden. 36

In un famoso saggio del 2004 su “Liberalismo e impero“, Ikenberry, pur non negando che il passato e il presente degli Stati Uniti siano stati spesso caratterizzati dalla dominazione imperiale (arrivando persino a  citare importanti storici revisionisti di sinistra come William Appleman Williams, Gabriel Kolko e Joyce Kolko) — ha nondimeno polemizzato con forza contro coloro i quali sostenevano che, in politica estera, gli Stati Uniti dovessero comportarsi apertamente come un impero. 37

Una strategia egemonica più efficace, sosteneva Ikenberry all’epoca, sarebbe stata quella di utilizzare il momento unipolare per stabilire un ordine internazionale basato su regole che assicurasse il dominio globale degli Stati Uniti e dell’Occidente come fatto compiuto in futuro, anche di fronte a eventuali perdite di potere degli Stati Uniti. 38

Mentre l’ascesa storica della Cina diventava più evidente, Ikenberry scrisse un saggio per Foreign Affairs nel 2008 su “L’ascesa della Cina e il futuro dell’Occidente“, in cui insisteva sul fatto che il “sistema capitalista globalizzato” e l’ordine internazionale liberale occidentale potevano essere preservati solo se l’egemonia diretta degli Stati Uniti avesse lasciato il posto ad un ordine basato su regole imposto dal peso collettivo degli Stati Uniti insieme ai suoi maggiori alleati. 39

In questo modo, un “ordine egemonico liberale guidato dagli americani” avrebbe potuto essere assicurato a tempo indeterminato.40

Come ha affermato il segretario di Stato americano Hillary Clinton, era essenziale impedire l’emergere di un “mondo multipolare” istituendo al suo posto un “mondo multipartner”, un insieme di alleanze e partnership guidate dagli Stati Uniti che garantissero il dominio continuo di Washington nel ventunesimo secolo. 41

Questa concezione di un ordine basato su regole come mezzo per organizzare una sorta di controrivoluzione globale ha trovato un forte sostegno bipartisan negli Stati Uniti e, soprattutto, all’interno del Pentagono. Il segretario alla Difesa di Trump, James N. Mattis (noto come Mad Dog Mattis), parlando ai segretari di gabinetto e ai capi di stato maggiore congiunti il 20 luglio 2017, sostenne che “il più grande dono che una grande generazione di leader ci ha lasciato è stato l’ordine internazionale del dopoguerra basato su regole”, che include “il patto atlantico, i mercati internazionali di capitali ed i vari accordi commerciali di cui gli Stati Uniti sono firmatari”.

Sicuramente, questo ordine internazionale non rappresenta il diritto internazionale – e men che meno il sistema incentrato sulle Nazioni Unite – ma piuttosto il regime dominato dagli USA e dalla NATO; un ordine internazionale e strategico liberale. 42

Quindi, centrale per l’intera concezione di un ordine internazionale egemonico basato su regole, secondo Ikenberry, è il superamento di un sistema basato sull’ONU, orientato all’uguaglianza sovrana degli stati e a un mondo policentrico, e che includa Cina e Russia come membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.

Invece, l’ordine internazionale basato su regole ha lo scopo di codificare i cambiamenti introdotti negli anni ’90, stabilendo il “carattere contingente della sovranità“, in modo tale che le grandi potenze abbiano “il diritto – ed anche un obbligo morale – di intervenire negli stati in difficoltà per prevenire il genocidio e le uccisioni di massa. Gli interventi della NATO nei Balcani e la guerra contro la Serbia“, ha scritto, “forniscono esempi di azioni di questo tipo”. 43

La dottrina dell’imperialismo umanitario basata sul “diritto alla protezione” diviene così la chiave per la definizione dell’ordine internazionale basato su regole.

La natura contingente della sovranità è stata chiarita da Richard Haass, ex vice segretario di Stato incaricato della pianificazione politica durante la presidenza di George W. Bush e attuale capo del Council on Foreign Relations, il quale ha spiegato che il passaggio a concezioni più limitate della sovranità rifletteva la nuova visione egemonica secondo cui “la sovranità non è un assegno in bianco. Piuttosto, lo status di sovranità è subordinato all’adempimento da parte di ciascuno Stato di alcuni obblighi fondamentali, sia nei confronti dei propri cittadini che della comunità internazionale. Quando un regime
non è all’altezza di queste responsabilità o abusa delle sue prerogative, rischia di perdere i suoi privilegi sovrani; questo include, in casi estremi, la sua immunità dall’intervento armato”. 44

E quando si tratta di intervento armato, come ha affermato Haass altrove, gli Stati Uniti rappresentano uno
“sceriffo” autoproclamato dell’ordine internazionale, mentre gli stretti alleati (Canada, Europa Occidentale, Giappone) ne
rappresentano la posse. 45

Sebbene gli Stati Uniti si siano recentemente lamentati dell’aggressione cinese e della crescente minaccia globale derivante da essa, a causa dell’unica base militare straniera cinese situata a Gibuti, in Africa, Washington, da vero sceriffo globale, dispone di un migliaio di basi militari in tutto il mondo; molte di queste basi sono localizzate in zone circostanti la Cina. 46

La dottrina di un ordine internazionale basato su regole è stata utilizzata per giustificare i continui interventi militari USA/NATO e i colpi di stato sponsorizzati dagli USA diretti alle popolazioni in cinque dei sei continenti abitati a partire dagli anni ’90, il tutto in nome della promozione della democrazia e diritti umani. 47

L’internazionalismo liberale“, secondo Ikenberry, il suo più strenuo difensore intellettuale, “è stato implicato in interventi militari praticamente costanti durante l’era del dominio globale americano“, mentre sotto il neoliberismo, la controparte economica è stata rappresentata da una semplice “piattaforma
di regole e istituzioni per le transazioni capitalistiche”, favorendo invariabilmente i poteri costituiti. 48

La Repubblica popolare cinese: una superpotenza sovrana emergente

Commentando nel gennaio 1850 i primi moti della Rivolta dei Taiping (1850-1864) in Cina, Karl Marx e Frederick Engels indicarono la nascita del “socialismo cinese”. I reazionari europei con i loro eserciti, essi scrissero, sarebbero potuti un giorno arrivare alle frontiere della Cina solo per “trovare lì l’iscrizione: Repubblica cinese, Libertà, Uguaglianza, Fraternità” 49

L’intuizione straordinariamente preveggente di Marx ed Engels era prematura di un secolo. Sei anni dopo il loro scritto, l’esercito britannico e quello francese attaccarono di nuovo la Cina nella seconda guerra dell’oppio, approfittando del disordine creato dalla Rivolta dei Taiping per estendere l’imposizione europea di trattati iniqui alla Cina, portando a compimento un processo avviato dagli inglesi nella prima guerra dell’oppio nel 1839, alla fine del quale la Cina era stata costretta a cedere Hong Kong alla Gran Bretagna nel Trattato di Nanchino nel 1842. 50

Le guerre dell’oppio hanno avviato il cosiddetto secolo dell’umiliazione per la Cina, che sarebbe durato fino alla vittoria della Rivoluzione Cinese e alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949. 51

Storicamente, la fine di tale periodo è fatta coincidere con il discorso di Mao Zedong “Il popolo cinese si è rialzato“, tenuto il 21 settembre 1949, alla prima plenaria della Conferenza consultiva politica del popolo cinese. In quell’occasione Mao dichiarò:

Il popolo cinese, che comprende un quarto dell’umanità, ora si è rialzato. I cinesi sono sempre stati una nazione grande, coraggiosa e operosa; è solo nei tempi moderni che sono rimasti indietro. E ciò era dovuto interamente all’oppressione e allo sfruttamento dell’imperialismo straniero e dei governi reazionari interni. Per oltre un secolo i nostri antenati non hanno mai smesso di condurre lotte inflessibili contro oppressori nazionali e stranieri, inclusa la Rivoluzione del 1911 guidata dal Dr. Sun Yat-sen, il grande precursore della rivoluzione cinese… Abbiamo chiuso i nostri ranghi e sconfitto nemici sia interni che stranieri attraverso la Guerra Popolare di Liberazione e la Grande Rivoluzione Popolare. Ora stiamo proclamando la fondazione della Repubblica Popolare Cinese […] La nostra non sarà più una nazione soggetta a insulti e umiliazioni. Ci siamo rialzati”.52

Oggi, la Repubblica Popolare Cinese (RPC) rimane concentrata, attraverso quella che è ora vista come una lotta lunga un secolo, che culminerà nel 2049, sul superamento delle rimanenti tracce di quella che Mao chiamava la “storia di insulti e umiliazioni” che risale alle guerre dell’oppio 53.

In tal modo, la Repubblica Popolare ha avviato un nuovo corso noto come “Sogno Cinese”, da un famoso discorso enunciato da Xi nel novembre 2012. Si tratta di un processo che riflette l’intero percorso dello sviluppo postrivoluzionario cinese.

Solo sostenendo il socialismo con caratteristiche cinesi“, ha dichiarato Xi, “possiamo riunire e guidare l’intero Partito, l’intera nazione e le persone di tutti i gruppi etnici nella realizzazione di una società moderatamente prospera entro il centenario del PCC nel 2021, e nel trasformare la Cina in un paese socialista prospero, democratico, culturalmente avanzato e armonioso entro il centenario della Repubblica Popolare Cinese nel 2049”. 54

A questo si è aggiunto l’obiettivo a lungo termine di creare una civiltà ecologica e una bella Cina, con l’ecologia che viene vista come “la forma più inclusiva di benessere pubblico”. 55

Il traguardo del primo centenario, quello del 2021, è ormai visto come raggiunto. Restano gli obiettivi del 2049. Il centenario della RPC segnerà, attraverso la “modernizzazione socialista“, il “ringiovanimento nazionale” della Cina, che potrà finalmente dichiarare conclusa la fase di grande divergenza, in
termini di prosperità, con l’Occidente, a seguto del secolo o più di oppressione straniera e interna. 56

Spinta da questo progetto storico sovrano, la Cina è rimasta un nemico dell’imperialismo e un difensore forte e incrollabile del sistema di sovranità statale, non solo nei termini della Pace di Westfalia e della Carta delle Nazioni Unite, ma anche sostenendo il obiettivi della Terza Conferenza Mondiale di Bandung del 1955, che, basandosi in parte sul principio leninista dell’autodeterminazione delle nazioni, affermava l’uguaglianza dei diritti dei paesi in via di sviluppo e l’importanza di un mondo policentrico. 57

Xi ha articolato questa posizione antimperialista nel 2017:
Dai principi di uguaglianza e sovranità stabiliti dalla Pace di Westfalia oltre 360 anni fa all’umanitarismo internazionale affermato nella Convenzione di Ginevra più di 150 anni fa; dai quattro scopi e sette principi sanciti nella Carta delle Nazioni Unite più di 70 anni fa ai Cinque Principi di Coesistenza Pacifica sostenuti dalla Conferenza di Bandung più di 60 anni fa, molti principi sono emersi nell’evoluzione delle relazioni internazionali e sono stati ampiamente accettati.

Questi principi dovrebbero guidarci nella costruzione di una comunità di futuro condiviso per [l’umanità]. L’uguaglianza sovrana è stata la norma più importante che ha governato le relazioni tra Stati negli ultimi secoli e il principio  cardine osservato dalle Nazioni Unite e dalle sue agenzie e istituzioni.

L’essenza dell’uguaglianza sovrana è che la sovranità e la dignità di tutte le nazioni, grandi o piccole, forti o deboli, ricche o povere, debba essere rispettata; i loro affari interni non possono subire interferenze; le nazioni hanno il diritto di scegliere autonomamente il proprio sistema sociale e il proprio percorso di sviluppo”. 58

La posizione antimperialista della Cina è legata al suo intero il suo percorso di sviluppo. Il suo straordinario progresso, che include l’aver quadruplicato la propria economia dalla fine degli anni ’70 e la recente eliminazione della povertà assoluta, è dipeso non solo dalla sua crescente integrazione nell’economia mondiale, ma anche, fattore non meno importante, dai limiti che ha saputo imporre alla natura capitalistica di tale integrazione. 59

Fondamentale a questo proposito è l’esistenza di una serie di elementi chiave di orientamento socialista che contraddistinguono il sistema cinese:

(1) proprietà sociale della terra, che nelle campagne è ancora parzialmente gestita collettivamente dalle comunità di villaggio;

(2) controllo statale del settore finanzario;

(3) proprietà statale di settori chiave dell’industria, comprese le banche, fatto che consente alti tassi di investimento; e

(4) un sistema di pianificazione, complementare all’economia di mercato, diretto dal Partito Comunista mediante piani quinquennali.

C’è una continua enfasi all’interno del PCC sulle concezioni marxiste e dialettiche, che sono viste come chiavi per la realizzazione del progetto sovrano della Cina e della creazione di una “democrazia socialista” moderna e sviluppata con caratteristiche cinesi. Un elemento centrale nella teorico-pratica, e nella concezione rivoluzionaria cinese della democrazia socialista è il concetto della linea di massa , o la nozione del “dalle masse alle masse”. 60

Insieme, questi tratti contraddistinguono la Cina come una società postrivoluzionaria che non è né interamente capitalista né interamente socialista, ma che sta seguendo un percorso di sviluppo complessivo che tiene aperta la possibilità di un movimento continuo verso quest’ultima opzione. 61

Il dinamismo interno dell’economia cinese, le sue infrastrutture altamente sviluppate e il suo basso costo unitario del lavoro (spesso comportante uno sfruttamento estremo nelle industrie di esportazione) ha attirato enormi investimenti da parte delle multinazionali, permettendo alla Cina di diventare la nuova
officina del mondo in quella che è stata definita come la Terza Rivoluzione Industriale, basata sulla tecnologia digitale. 62

Grazie alla forza del suo sistema di pianificazione, la Cina è stata in grado di trattenere una quota maggiore del plusvalore complessivo generato rispetto alla maggior parte dei paesi in via di sviluppo e di creare partnership con multinazionali che le hanno permesso di acquisire tecnologie avanzate. 63

Pur essendo ancora un paese povero, con un reddito pro-capite pari a un quinto di quello degli Stati Uniti, la Cina è riuscita a portarsi in prima linea in quella che Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum, ha definito la Quarta Rivoluzione Industriale, caratterizzata da nuove tecnologie progettate per fondere il mondo fisico, digitale e biologico. 64

Diversi sono i fattori che hanno disturbato i principali paesi capitalisti: l’abilità tecnologica della Cina; i suoi controlli sui movimenti di capitali, che limitano il potere dell’ordine imperiale dominato dagli Stati Uniti; l’affermazione geopolitica del concetto di una Cina unica, che include la riconquista del suo territorio storico. Gli Stati Uniti e i suoi principali alleati imperiali vorrebbero vedere la Cina strettamente legata a quella che Thomas Friedman chiamava la “camicia di forza d’oro” dell’ordine globalizzato prevalente, che è progettato per porre vincoli alle libertà politiche ed economiche delle nazioni, impedendo loro di andare contro le regole e le relazioni esistenti di potere globale. 65

Parte dell’attualizzazione del ruolo storico della Cina, come concepito oggi da Pechino, è la resurrezione dell’antica Via della Seta, una rotta commerciale che si estendeva dalla Cina all’Asia meridionale e dal Medio Oriente fino all’Europa.

Nell’autunno 2013, Xi ha proposto il suo vasto progetto One Belt, One Road (noto in Occidente come Belt and Road Initiative) che prevedeva la costruzione di una cintura economica della Via della Seta, che si estendesse dall’Asia meridionale e centrale al Medio Oriente e all’Europa, insieme ad una Via della Seta marittima del XXI secolo che avrebbe collegato la Cina al sud-est asiatico, al Medio Oriente, all’Africa e all’Europa attraverso varie rotte navali.

Nel 2017, la Cina ha esteso ulteriormente la sua Via della Seta Marittima all’America Latina. La Cina doveva essere il principale iniziatore e fondatore di One Belt, One Road, fornendo il capitale iniziale, ma altri paesi sono stati invitati a partecipare al finanziamento e alla pianificazione delle infrastrutture. Trentanove paesi dell’Africa subsahariana, trentaquattro dell’Europa e dell’Asia centrale, venticinque dell’Asia orientale e del Pacifico, diciotto dell’America latina e dei Caraibi, diciassette del Medio Oriente e del Nord Africa e sei del sud dell’Asia sono ora affiliati all’iniziativa One Belt, One Road.

In tutto, l’iniziativa Belt and Road comprende 139 paesi e quasi i due terzi della popolazione mondiale. Come ha osservato con disappunto il Consiglio per le relazioni estere, “Xi Jinping invita i capi di stato in Cina per i forum Belt and Road, contribuendo all’idea che Pechino sia una potenza economica alla pari degli Stati Uniti“. 66

All’incontro di Anchorage tra gli alti diplomatici statunitensi e cinesi nel marzo 2021, Blinken ha lodato gli sforzi dell’attuale amministrazione statunitense per ottenere il controllo della pandemia di COVID-19. 67 I suoi omologhi cinesi furono senza dubbio indifferenti. Nel maggio 2021, gli Stati Uniti hanno registrato oltre seicentomila morti per COVID-19, un tasso di mortalità di oltre 1.800 morti per milione. Al contrario, la Cina aveva registrato meno di cinquemila morti, un tasso di 3 morti  per milione. 68

Il governo cinese anni prima, ai massimi livelli, quindi, “inadeguata” dello sviluppo cinese, caratteristica del modello di crescita capitalista. Ciò si manifesta nell’approfondimento della disuguaglianza di classe, nelle crescenti fratture tra aree rurali e urbane, nella promozione dello sviluppo economico a scapito dello sviluppo culturale e in un insostenibile rapporto con l’ambiente. 77

Quindi, opportune correzioni al modello socialista verso maggiore uguaglianza economica, autosufficienza nazionale, civiltà ecologica, rivitalizzazione rurale, sviluppo culturale e la creazione di un
modello di “doppia circolazione” (progettato per ridurre la dipendenza della Cina dai mercati esteri e dalla tecnologia) sono tutti considerati obiettivi cruciali per l’emergere della Cina come “grande società socialista moderna”. 78

La leadership del PCC continua a definire la Cina come “il più grande paese in via di sviluppo del mondo“, sebbene essa si trovi nella “fase primaria del socialismo“, sottolineando così i suoi collegamenti diretti con il Sud del mondo, di cui si vede parte.

La politica internazionale ufficiale cinese è dettata dai “cinque principi di coesistenza pacifica”, definiti come: (1) rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale, (2) non aggressione reciproca, (3) non interferenza reciproca negli affari interni dell’altra nazione, (4) uguaglianza e perseguimento di mutui vantaggio (5) coesistenza pacifica. 79

Sebbene la Cina, come potenza globale emergente, sia sempre più frequentemente accusata di voler stabilire una nuova agenda egemonica, e di cercare di ribaltare l’attuale ordine internazionale basato sulle regole imposto dai principali stati capitalisti, questo, piuttosto che presagire l’anarchia, come indicato da Blinken, agli incontri bilaterali del 18 marzo, ha assunto in gran parte la forma di una forte difesa del concetto di uguaglianza sovrana, che va necessariamente contro la struttura del sistema imperiale esistente. 80

Il percorso da seguire nella Terza Rivoluzione cinese non sarà ovviamente facile, e quella che Xi ha definito la “contraddizione principale”, sotto forma di sviluppo diseguale, è evidente nelle vaste lotte che si svolgono a tutti i livelli nella società, e nelle relazioni con il mondo esterno alla Cina.

Non sarebbe un’esagerazione dire che la Terza Rivoluzione cinese è stata accolta dagli Stati Uniti e dalle altre principali potenze capitaliste con una combinazione di incredulità, shock e rabbia. Non essendo l’Occidente abituato a pensare storicamente e dialetticamente, basandosi su meri schemi di analisi formalistica e credendo nell’inevitabile trionfo del capitalismo, l’ideologia dominante in Occidente è stata
letteralmente quella della “fine della storia”. 81

L’idea che il progetto sovrano della Cina, alla fine, avrebbe portato a una sfida, piuttosto che al suo assorbimento all’interno dell’ordine capitalista e imperialista esistente era quindi scarsamente considerata a Washington. Come hanno scritto Kurt M. Campbell, ex assistente segretario di Stato per l’Asia orientale
e gli affari del Pacifico nell’amministrazione Barack Obama, ed Ely Ratner, nominato da Biden assistente segretario alla difesa per gli affari di sicurezza indo-pacifici, in Foreign Affairs  nel febbraio 2018, l’idea che “la potenza e l’egemonia statunitensi” non sarebbero riuscite a “modellare la Cina a piacimento degli Stati Uniti” era fino a poco tempo fa completamente estranea all’establishment statunitense.

Ancora più scioccante è stata la scoperta che la Nuova Era della Cina, associata a Xi, avrebbe iniziato ad assomigliare per molti versi più alla Cina rivoluzionaria di Mao che all’era delle riforme di Deng. 82

La risposta furiosa dell’élite al potere negli Stati Uniti al perseguimento imperterrito, da parte della Cina, del proprio progetto sovrano è stata quella di lanciare una Nuova Guerra Fredda incentrata sulla Cina (che comprende anche i suoi alleati, come Russia e Iran). Questo è ora visto nei circoli della classe dirigente statunitense come una nuova guerra per l’egemonia, anche se tale sforzo appare completamente privo di un’analisi storica obiettiva e intellettualmente onesta, che richiederebbe una valutazione onesta dell’imperialismo passato e presente.

Piuttosto, l’opera di Allison, che ha direttamente influenzato Biden, ha tratto i suoi presunti fondamenti storici non da una precisa concezione del sistema mondiale capitalista, o da una comprensione dell’imposizione imperiale di trattati ineguali alla per garantire che quest’ultima sia mantenuta,  erpetuamente, in uno stato subalterno.85

Dire che queste condizioni pongono la popolazione mondiale in un’era di pericolo quasi senza precedenti sarebbe un eufemismo. Nessuna nuova guerra fredda può aver luogo senza una corsa agli armamenti nucleari e un aumento del pericolo di una guerra termonucleare.

La Cina, le cui testate nucleari sono nell’ordine dei 200, rispetto alle 1.400 testate nucleari dispiegate negli Stati Uniti, sta cercando di raddoppiare il numero di testate entro il 2030. Gli Stati Uniti, da parte loro, sono attualmente impegnati a spendere 500 miliardi di dollari per le proprie dotazioni nucleari nel prossimo decennio; 50 miliardi di dollari l’anno.

Ciò include 100 miliardi di dollari da investire nel cosiddetto deterrente strategico a terra, un sistema missilistico nucleare terrestre progettato per sostituire il vecchio sistema di missili balistici intercontinentali Minuteman III.86

Il mondo è sopravvissuto alla Guerra Fredda. Non sappiamo se sopravviverà alla Nuova Guerra Fredda. L’umanità del XXI secolo si trova ora di fronte, in ogni ambito della sua esistenza, a una scelta inevitabile: “rovina o rivoluzione”. 87

(Traduzione a cura di Andrea Genovese)

Note

1. Thomas J. Christensen, “There Will Not Be a New Cold War,” Foreign Affairs, Mach 24, 2021. Sul Council on Foreign Relations e l’amministrazione Biden, si veda Laurence H. Shoup, “The Council on Foreign Relations, the Biden Team, and Key Policy Outcomes,” Monthly Review 73, no. 1 (May
2021): 1–21.

2. Christensen, “There Will Not Be a New Cold War.” La maggior parte delle argomentazioni di Christensen si basa sul tacito presupposto che una Nuova Guerra Fredda assumerebbe esattamente la stessa forma della vecchia Guerra Fredda. Questo è ovviamente improprio.

3. Per una descrizione dell’ordine imperialista, si veda Cheng Enfu and Lu Baolin, “Five Characteristics of
Neoimperialism,” Monthly Review 73, no. 1 (May 2021): 22–58.

4. “How It Happened: Transcript of the U.S.-China Opening Remarks in Alaska,” NIKKEI Asia, March 19, 2021.
5. “Quad Leaders’ Joint Statement: ‘The Spirit of the Quad,’”White House, March 12, 2021.

6. “US-China Relations in the Biden-Era: A Timeline,” China Briefing, May 13, 2021.

7. “US Sanctions 24 China and Hong Kong Officials Ahead of Talks,” S. News, March 17, 2021.

8. “How It Happened.”

9. “How It Happened.”

10. “How It Happened.”

11. “How It Happened.”

12. Thomas Wright, “The U.S. and China Finally Get Real with Each Other,” Atlantic, March 21, 2021.

13. David Stilwell and Dan Negrea, “Wanted: Alliance Networks for a New Cold War,” National Interest, March 28, 2021.

14. “US-China Relations in the Biden-Era.”

15. “Biden: China’s Xi Jinping Doesn’t Have ‘a Democratic… Bone in His Body,’” USA Today, March 25, 2021.

16. “Trade War: Biden Administration Not Ready to ‘Yank’ China Tariffs, but Open to Talks,” Forbes, March 28, 2021; “Biden Has Left Trump’s China Tariffs in Place,” CNN, March 25, 2021; John Bellamy Foster and Intan Suwandi, “COVID-19 and Catastrophe Capitalism,” Monthly Review 72 no. 2 (June 2020): 14–15.

17. “In Report, Biden Administration Formalizes Genocide Declaration in China,” Seattle Times, March 30, 2021. Dire che le accuse di genocidio sono false non significa ovviamente negare che la repressione abbia avuto luogo. Ma il problema rimane il primo. Le affermazioni sul “genocidio” cinese nello Xinjiang costituiscono uno dei casi più estremi della tecnica di propaganda della Grande Menzogna nei tempi moderni. Sebbene la repressione sia stata esercitata dalla Cina nella sua regione autonoma dello Xinjiang in risposta all’attività terroristica nella regione, le prove indicano una realtà molto lontana da qualsiasi cosa somigli al genocidio. Si veda, ad esempio “Xinjiang: A Report and Resource Compilation,” Qiao Collective, September 1, 2020; “The Xinjiang Genocide Determination as Agenda,” Transnational Foundation for Peace and Future Research, April 27, 2021; Kim Petersen, “Does the West Repeating Claims That China Committed Genocide in Xinjiang Reify It?,” Dissident Voice, February 22, 2021. Persino il Council of Foreign Relations ha notato che la repression esercitata dalla Cina non avrebbe alcuna attinenza con la definizione di genocidio secondo la Convenzione di Ginevra. Si veda: John B. Bellinger III, “China’s Abuse of the Uighurs: Does the Genocide Label Fit?,” Council on Foreign Relations, February 3, 2021. Per una discussione molto interessante sulla situazione cinese odierna, si veda: Keith Lamb (interviewed by Alexander Norton), “All the Questions Socialists Have About China but Were Too Afraid to Ask,” Challenge, May 24, 2021.

18. “US-China Relations in the Biden-Era.”

19. “China Slams U.S.-China Meeting as Biden Flexes New Diplomatic Muscle Against Beijing,” S. News, May 3, 2021; Peter Beinart, “Biden’s Taiwan Policy Is Truly, Deeply Reckless,” New York Times, May 5, 2021; Xi Jinping, The Governance of China, vol. 1, 2nd ed. (Beijing: Foreign Languages Press, 2018), 2; Xi Jinping, The Governance of China, vol. 3 (Beijing: Foreign Languages Press, 2020), 26.

20. “G7 Foreign and Development Ministers’ Meeting: Communiqué,” European Union External Action, May 5, 2021.

21. “U.S., Russia, China Poke Each Other at UN Security Council,” Reuters, May 7, 2021.

22. “Biden Orders Review of COVID Origins as Lab Leak Theory Debated,” Reuters, May 27, 2021; “Biden’s Asia Czar Says Era of Engagement with China Is Over,” Bloomberg, May 26, 2021.

23. “China Says US Increasing Military Activity Directed at It,” Associated Press News, April 29, 2021; “U.S. Military Activity on China’s Borders Has ‘Sharply Increased’ Since Biden Took Charge,” Morning Star, April, 6, 2021; Sam LaGrone, “S. Carrier Strike Group, Amphibious Warships Massed in South China Sea as Regional Tensions Simmer,” USNI News, April 9, 2021; Rick Rozoff, “International Law vs. Rules-Based International Order: China, Russa Call for UN Security Council Summit,” Anti-Bellum, March 23, 2021; “The US Has a Massive Presence in the Asia-Pacific,” The World, August 11, 2017.

24. John Ikenberry, Liberal Leviathan (New Haven: Yale University Press, 2020), 97–98, 144, 207, 234, 273; Joe Biden, “Why America Must Lead Again,” Foreign Affairs 99, no. 2 (2020); Stephen M. Walt, “China Wants a Rules-Based International Order, Too,” Foreign Policy, March 31, 2021. On China and the Westphalian system, see Xi Jinping, The Governance of China, vol. 2 (Beijing: Foreign Languages
Press, 2017), 590.

25. “Foreign Ministry Spokesperson Wang Wenbin’s Regular Press Conference on May 6, 2021,” Ministry of Foreign Affairs of the People’s Republic of China, May 6, 2021.

26. Si veda: John Bellamy Foster, Naked Imperialism (New York: Monthly Review Press, 2006).

27. Diana Johnstone, Fool’s Crusade: Yugoslavia, NATO, and Western Delusions (New York: Monthly Review Press, 2002); Jean Bricmont, Humanitarian Imperialism: Using Human Rights to Sell War (New York: Monthly Review Press, 2006); Horace Campbell, Global NATO and the Catastrophic Failure in Libya (New York: Monthly Review Press, 2013).

28. “Foreign Ministry Spokesperson Wang Wenbin’s Regular Press Conference on May 6, 2021.

29. Matt Schiavenza, “How Humiliation Drove Modern Chinese History,” Atlantic, October 25, 2013; Xi, The Governance of China, vol. 2, 269–70. Le narrazioni cinesi non enfatizzano la nozione del secolo dell’umiliazione, poiché questa storia è ben nota e dolorosa, preferendo alludervi indirettamente o facendo riferimento alle guerre dell’oppio. L’accento è posto piuttosto sul ringiovanimento. La nozione del secolo dell’umiliazione cinese è, tuttavia, una coordinata centrale delle discussioni militari statunitensi sulla Cina. Si veda: Elizabeth C. Economy, The Third Revolution: Xi Jinping and the New Chinese State (Oxford: Oxford University Press, 2018), 3; Major Daniel W. McLaughlin, “Rewriting the Rules: Analyzing the People’s Republic of China’s Efforts to Establish New International Rules,” Journal of Indo-Pacific Affairs: The Department of the Air Force’s Professional Journal for America’s Priority Theater, March 8, 2021.S. Stavrianos, Global Rift (New York: William Morrow, 1981), 309–32; Dong Wang, “The Discourse of Unequal Treaties in Modern China,” Pacific Affairs 76, no. 3 (2003): 399–425. Sarebbe sbagliato, come ha sostenuto Wang Hui, dire che la modernizzazione in Cina è stata spinta dallo shock delle guerre dell’oppio. Piuttosto, la Cina stava già attraversando il proprio processo di modernizzazione. Wang Hui, The End of Revolution (London: Verso, 2009), 126–29.

30. Ironia della sorte, questa nozione imperialista è stata forse meglio espressa da George Bernard Shaw nella sua stesura del manifesto della Fabian Society, ove Shaw ha dichiarato che la Gran Bretagna aveva ragione nelle sue guerre imperialiste progettate per far rispettare “i diritti internazionali di commercio e di viaggio… Se i cinesi stessi non possono stabilire l’ordine nel nostro senso, le Potenze devono stabilirlo
per loro”.

31. Si veda: John Bellamy Foster, “China 2020: An Introduction,” Monthly Review 72, no. 5 (October 2020): 1–5.

32. Graham Allison, Destined for War: Can America and China Escape the Thucydides Trap? (Boston: Houghton Mifflin Harcourt, 2017), 224–25.

33. Vijay Prashad and Jie Xiong, “Why Xinjiang Is Emerging as the Epicenter of the US War on China,” People’s Dispatch, April 17, 2021; “’Wipe Out China’: US-Funded Uyghur Activists Train as Gun-Toting Foot Soldiers for Empire,” Grayzone, March 31, 2021.

34. Sulle accuse fasulle e prive di prove di “genocidio” e di “crimini contro l’umanità” rivolte alla Cina rispetto allo Xinjiang, e la relazione di ciò con la grande strategia imperiale degli Stati Uniti, vedere Max Blumenthal, “Xinjiang Shakedown: U.S. Anti-China Lobby Cashed in on ‘Forced Labor’ Campaign that Cost Uyghur Worker Their Jobs,” Grayzone, April 30, 2021; Gareth Porter and Max Blumenthal, “US State Department Accusation of China ‘Genocide’ Relied on Data Abuse and Baseless Claims by Far-Right Ideologue,” Grayzone, February 18, 2021.

35. Michael Hirsh, “Why Liberal Internationalism Is Still Indispensable and Fixable,” Foreign Policy, December 5, 2012.

36. John Ikenberry, “Liberalism and Empire: Logics of Order in the American Unipolar Age,” Review of International Studies 30, no. 4 (2004): 611; Ikenberry, A World Safe for  Democracy (New Haven: Yale University Press, 2020), 297; William Appleman Williams, The Tragedy of American Diplomacy (New York: Dell, 1972); Gabriel and Joyce Kolko, The Limits of Power (New York: Harper and Row, 1972).

37. Si veda: “Australia’s Security and the Rules-Based Order,” Lowy Institute, March 12, 2021.

38. John Ikenberry, “The Rise of China and the Future of the West,” Foreign Affairs 87, no. 1 (2008): 32–34.

39. Ikenberry, Liberal Leviathan, 281.

40. Hillary Clinton (speech, Council on Foreign Relations, Washington DC, July 15, 2009), citato in Ikenberry, Liberal Leviathan, 325.

41. Robert F. Worth, “Can Jim Mattis Hold the Line in Trump’s War Cabinet?,” New York Times Magazine, March, 26, 2018. La politica di Trump, fin dall’inizio, è stata quella di impegnarsi in una Nuova Guerra Fredda con la Cina, raggiungendo una distensione con la Russia. Alla fine, il risultato bipartisan fu di attaccare sia la Cina che la Russia, trattata come un mostro a due teste, ma con la Nuova Guerra Fredda con la Cina come principale direttiva dell’amministrazione. Sebbene Mattis, in qualità di segretario alla difesa di Trump, cercasse di armare la nozione di ordine internazionale basato sulle regole, Trump stesso non aderiva a questa nozione, ed era fortemente osteggiato non solo da Mattis ma anche da Blinken,  l’attuale segretario di Stato di Biden, su quella base. Si veda: “Australia’s Security and the Rules-Based Order”; Antony Blinken, “Bannon’s Vision of the World Isn’t What Makes America Great,” Foreign Policy, February 28, 2017; John Bellamy Foster, Trump in the White House (New York: Monthly Review Press, 2017), 32, 51–52, 84–85.

42. Ikenberry, Liberal Leviathan, 247; Samuel Moyn, “Soft Sells: On Liberal Internationalism,” Nation, October 3, 2011, 43.
43. Richard Haass, “Sovereignty: Existing Rights, Evolving Responsibilities” (lecture, Georgetown University, January 4, 2003), quoted in Ikenberry, Liberal Leviathan, 249. On Haass, see Foster, Naked Imperialism, 97–106.

44. Foster, Naked Imperialism, 115–16; Richard Haass, The Reluctant Sheriff: The United States After the Cold War (New York: Council on Foreign Relations, 1997), 54, 93.

45. Kurt M. Campbell and Ely Ratner, “The China Reckoning: How Beijing Defied American Expectations,” Foreign Affairs 97, no. 2 (2018); Nick Turse, “Does the Pentagon Really Have 1,180 Foreign Bases,” Guernica, January 9, 2011; “US General Warns China Is Actively Seeking to Set
Up an Atlantic Naval Base,” The Hill, May 7, 2021; John Reed, “Surrounded: How the U.S. Is Encircling China with Military Bases,” Foreign Policy, August 20, 2013; Economy, The Third Revolution, 213.

46. Ikenberry ha recentemente sostenuto che la nuova apertura ai cosiddetti interventi umanitari è essa stessa costruita sul sistema westfaliano della sovranità degli stati. Ma questo va contro il senso diffuso che questi interventi, che hanno portato a continue guerre sotto l’egida degli Stati Uniti sin dagli anni ’90, costituiscano di fatto un cambiamento fondamentale nell’ordine internazionale, identificato con la nozione di ordine internazionale basato su regole. Forse a causa del conflitto che ciò pone alla concezione dell’internazionalismo liberale di Ikenberry, lo stesso Ikenberry, nel suo ultimo lavoro, ha in gran parte abbandonato il termine ordine basato su regole che lui stesso ha tanto promosso e che ora è associato a un sistema di egemonia liberal-interventista imposto dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Si veda: Ikenberry, A World Safe for Democracy, 298.

47. Ikenberry, A World Safe for Democracy, 245, 253, 276.

48. Karl Marx and Frederick Engels, Collected Works, vol. 10 (New York: International Publishers, 1975), 266–67, 672–73. Si veda, anche: Samir Amin, “China 2013,” Monthly Review 64, no. 10 (March 2013): 25. Sulla Rivoluzione di Taiping, si veda: John Newsinger, “The Taiping Peasant Revolt,” Monthly Review 52, no. 5 (October 2000): 29–37.

49. Marx fu forse il maggior critic Europeo della Seconda Guerra dell’Oppio. Si veda: Karl Marx and Frederick Engels, On Colonialism (New York: International Publishers, 1972), 112–25, 212–25, 231–49; Samir Amin, “Forerunners of the Contemporary World: The Paris Commune (1871) and the Taiping Revolution (1851–1864),” International Critical Thought 3, no. 2 (2013): 159–64.

50. Amin, “China 2013,” 25–26.

51. Mao Zedong, “The Chinese People Have Stood Up!” (opening address, First Plenary Session of the Chinese People’s Political Consultive Conference, Beijing, September 21, 1949), available at china.usc.edu.

52. Xi, The Governance of China, vol. 1, 37; Xi Jinping, The Governance of China, vol. 3, 14; Allison, Destined for War, 122.

53. Xi, The Governance of China, vol. 1, 6–22; Xi, The Governance of China, vol. 2, 269.

54. Xi, The Governance of China, vol. 3, 6, 20, 25, 417–24.

55. Xi, The Governance of China, vol. 3, 20; Kenneth Pomeranz, The Great Divergence: China, Europe and the Making of the Modern World Economy (Princeton: Princeton University Press, 2000).

56. Vijay Prashad, “The Internationalist Lenin: Self-Determination and Anti-Colonialism,” MR Online, August 10, 2020.

57. Xi, The Governance of China, vol. 2, 590.

58. Ikenberry, “The Rise of China and the Future of the West,” 26; “What Does It Mean to Eradicate Absolute Poverty?,” Qiao Collective, December 3, 2020; “China’s Economic Development in 40 Years,” China Daily.

59. Amin, “China 2013,” 14–28; Foster, “China 2020”; Wang Hui, China’s Twentieth Century (London: Verso, 2016), 140; Xi, The Governance of China, vol. 2, 311–17, 352–58. Xi indica, in queste pagine, la sua ammirazione per il libro di Robert Heilbroner: Marxism: For and Against (New York: W. W. Norton, 1980). Si veda anche: Xi, The Governance of China, vol. 3, 96–98.

60. Amin, “China 2013,” 26; Paul M. Sweezy, “Post-Revolutionary Society,” Monthly Review 32, no. 6 (November 1980). Il sistema politico-economico cinese viene talvolta definito “capitalista di stato”. Amin ha adottato questo termine, per amor di discussione, come una designazione utile ma in qualche modo fuorviante, riconoscendo che tendeva a semplificare eccessivamente. Per Amin, il capitalismo di stato era una fase necessaria nello sviluppo del socialismo per i paesi in via di sviluppo. Ciò che contava era il carattere particolare del capitalismo di stato, che nel caso cinese era visto come parte del lungo cammino verso il socialismo. Più di recente, la designazione di “capitalismo di stato” per la Cina è stata accolta dal Council on Foreign Relations. Altri, come Lowell Dittmer, uno specialista dell’Asia orientale a Berkeley, si riferiscono alla realtà attuale della Cina, in particolare nell’era Xi, come “una forma cinese di socialismo di stato, con caratteristiche capitalistiche limitate (e strettamente monitorate)”. Nessuna delle due caratterizzazioni cattura del tutto la complessità dell’attuale formazione sociale cinese, a cui la leadership cinese si riferisce come una società nella fase primaria del socialismo. Vedere: Amin, “China 2013,” 20; Robert D. Blackwill and Jennifer M. Harris, War by Other Means (Cambridge, MA: Harvard University Press, 2016), 36–37; Lowell Dittmer, “Transformation of the Chinese Political Economy in the New Era,” in China’s Political Economy in the Xi Jinping Epoch, ed. Lowell Ditmer (Singapore: World Scientifixa Publishing, 2021), 6–8.

61. John Bellamy Foster and Robert McChesney, The Endless Crisis (New York: Monthly Review Press, 2012), 155–83; Intan Suwandi, Value Chains (New York: Monthly Review Press, 2019), 42–67.

62. Peter A. Petri, “Technological Rivalry,” in China 2049, ed. David Dollar, Yiping Huang, and Yang Yao (Washington DC: Brookings Institution, 2020), 278–301; Amin, “China 2013,” 24, 27.

63. Klaus Schwab, Shaping the Fourth Industrial Revolution (New York: Currency, 2018); “Comparing United States and China by Economy,” Statistical Times, May 15, 2021; “How It Happened”; Xi, The Governance of China, 523.

64. Thomas Friedman, The Lexus and the Olive Tree (NewYork: Anchor, 2000), 101–11. Per la Cina, I suoi territori storici includono non solo Hong Kong, Macao e Taiwan, ma anche isole nel Mar Cinese Meridionale. Si veda: “Historical Support for China’s South China Sea Territorial Stance,” Maritime Executive, August 10, 2019.

65. David Sacks, “Countries in China’s Belt and Road Initiative,” Council on Foreign Relations, May 24, 2021; Xi, The Governance of China, vol. 1, 315–24; Xi, The Governance of China, vol. 2, 544–49.
66. “How It Happened.”

67. “Reported Cases and Deaths by Country or Territory,” COVID-19 Coronavirus Pandemic, Worldometer, accessed June 1, 2021.

68. Xi, The Governance of China, vol. 2, 594.

69. Wang Hui, “Revolutionary Personality and the Philosophy of Victory: Commemorating Lenin’s 150th Birthday,” Reading the China Dream (blog), April 21, 2020.

70. “Why China’s Vaccine Internationalism Matters,” Qiao Collective, April 8, 2021 [updated June 2021]; “EU Vaccine Exports Outstrip Number of Shots Given to Its Own People,” Bloomberg, April 14, 2021; “EU Vaccines: Millions Exported to Rich Countries, Less to Poor Countries,” Brussels Times, May 8, 2021.

71. “US Secretary of State Antony Blinken Talks to FT Editor Roula Khalaf,” Financial Times, May 4, 2021; “State of the Order: Assessing February 2021,” Atlantic Council, March 16, 2021.

72. “China Close to Producing 5 Billion COVID-19 Vaccine Doses Per Year,” CGTN, April 21, 2021.

73. Xi, The Governance of China, vol. 3, 12.

74. Xi, The Governance of China, vol. 3, 12.

75. Economy, The Third Revolution, 10–12.

76. Xi, The Governance of China, vol. 3, 20. La traduzione qui utilizzata segue una precedente versione ufficiale del discorso di Xi, che impiegava il termine contraddizione principale invece di sfida principale. Si veda: Xi, “Secure a Decisive Victory in Building a Moderately Prosperous Society in All Respects and Strive for the Great Success of Socialism with Chinese Characteristics for a New Era,” Xinhua, October
18, 2017, 16.

77. Xi, The Governance of China, vol. 3, 20; “What We Know About China’s ‘Dual Circulation’ Economic Strategy,” Reuters, September 15, 2020.

78. Xi, The Governance of China, vol. 3, 13, 79. Negli ultimi anni, la Cina è stata spesso accusata dalle élite di potere e dai media occidentali di aver istituito prestiti predatori verso paesi Africani e in via di sviluppo, col fine di acquisire risorse da questi paesi. Tuttavia, uno studio della John Hopkins University ha dimostrato che è vero il contrario, dimostrando che la Cina è più indulgente per quanto riguarda i prestiti e le condizioni verso i paesi in via di sviluppo rispetto alle istituzioni finanziarie e ai governi occidentali. Si veda: Kevin Acker, Deborah Brautigam, and Yufan Huang, “Debt Relief with Chinese Characteristics” (working paper no. 39, China Africa Research Initiative, Johns Hopkins School of Advanced International Studies, June 2020).

79. “How It Happened.”

80. Francis Fukuyama, The End of History and the Last Man (New York: Free Press, 1992).

81. Campbell and Ratner, “The China Reckoning”; Orville Schell, “Crackdown in China: Worse and Worse,” New York Times Magazine, April 21, 2016.

82. Allison, Destined for War, vii.

83. Immanuel Wallerstein, The Politics of the World-Economy (Cambridge: Cambridge University Press, 1984), 37–46.

84. Rick Rozoff, “NATO Headquarters: Foreign Ministers of One Billion People Throw Down Gauntlet to China, Russia,” Anti-Bellum, March 24, 2021; Rozoff, “International Law vs. Rules-Based International Order”; Haass, The Reluctant Sheriff, 54, 93; Clinton quoted in Danny Haiphong, “Off the Rails: New Report by Coorporate-Funded Think-Tank Reveals How Profit-Driven Moteives Drive New Cold War
Against China,” Covert Action Magazine, June 5, 2021.

85. Jeremy Kuzmarov, “What’s Behind the Biden Administration’s New $100 Billion Nuclear Missile System?,” Covert Action, March 9, 2021; “Defense Primer: Ground Based Strategic Deterrent (GBSD) Capabilities,” Congressional Research Service, November 10, 2020.

86. Karl Marx and Frederick Engels, Ireland and the Irish Question (Moscow: Progress Publishers, 1971), 142; Karl Marx and Frederick Engels, Collected Works, vol. 25, 153.

* da Monthly Review, Luglio 2018

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