Menu

Il 2022 sarà considerato l’anno della “de-occidentalizzazione”.

In un articolo comparso sul South China Morning Post, il prof. Wang Wen “mette a nudo il Re” parlando del 2022 come dell’anno della de-occidentalizzazione del mondo contemporaneo. Non solo, secondo Wang Wen “Il 2023 non sarà un mondo tranquillo, ma il movimento di de-occidentalizzazione è irreversibile e non potrà che evolversi”. L’analisi è decisamente interessante, sia per l’intuizione che per la visione. Ne pubblichiamo il testo qui di seguito.

*****

L’importanza globale del 2022 è stata ampiamente sottovalutata. La sua importanza per la storia mondiale supera di gran lunga quella del 2001, quando si verificarono gli attentati dell’11 settembre, e del 2008, quando scoppiò la crisi finanziaria globale.

Il 2022 può invece essere paragonato al 1991, quando finì la Guerra Fredda. Se c’è una parola chiave, è “de-occidentalizzazione”.

Non si tratta solo del tentativo radicale della Russia, attraverso l’uso del potere militare, di cercare di rompere l’ordine internazionale dominato dagli Stati Uniti. Si tratta anche dell’insorgenza senza precedenti di Paesi non occidentali contro l’ordine costituito, alla ricerca di una posizione più indipendente.

La Cina, dopo il successo della convocazione del 20° congresso del Partito Comunista e nonostante le sfide del Covid-19 e della recessione economica, continua a muoversi costantemente verso l’obiettivo di diventare una moderna potenza socialista entro il 2050.

In Brasile, la rielezione di Luiz Inacio Lula da Silva come presidente significa che l’80% dell’America Latina è ora sotto governi di sinistra – negli ultimi anni, anche Messico, Argentina, Perù, Cile, Honduras, Colombia e altri hanno scelto leader di sinistra. Essi sostengono la necessità di mantenere le distanze dagli Stati Uniti e di promuovere una maggiore indipendenza e integrazione dell’America Latina.

Nel Sud-Est asiatico, che ha ospitato di recente i vertici dell’Asean, del G20 e dell’Apec, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico ha mantenuto con cura la stessa distanza dalla Cina e dagli Stati Uniti, rafforzando la propria posizione neutrale attraverso la solidarietà regionale e la vitalità economica.

In Asia centrale, i leader di Kirghizistan, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan hanno continuato a rafforzare il meccanismo di consultazione dei capi di Stato e hanno firmato importanti documenti, tra cui un trattato di “amicizia, buon vicinato e cooperazione per lo sviluppo dell’Asia centrale nel XXI secolo”. Mantenendo una distanza equa dalla Russia, dagli Stati Uniti, dall’Europa e da altre potenze, l’Asia centrale sta entrando in una nuova fase di consolidamento nazionale e di integrazione regionale.

In Medio Oriente, che ha vissuto la primavera araba e la guerra antiterrorismo degli Stati Uniti, i 22 Paesi del mondo arabo sono sempre più concentrati sul loro sviluppo strategico e indipendente. La Visione 2030 saudita, la Visione 2030 nazionale del Qatar, la Visione 2035 del Nuovo Kuwait, la Visione 2040 dell’Oman e la Visione 2050 degli Emirati Arabi Uniti, tra gli altri, sono piani di sviluppo a lungo termine che hanno suscitato le aspettative del mondo.

I recenti eventi che hanno ospitato la Coppa del Mondo di calcio del Qatar, il Vertice Cina-Stati Arabi e il Vertice Cina-Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) hanno inoltre accresciuto il prestigio e l’influenza della regione a livello globale.

Anche le potenze regionali che nutrono sogni di grandezza si mantengono a distanza misurata dall’Occidente. L’India ha resistito alle pressioni occidentali per unirsi alle sanzioni contro la Russia, mantenendo la sua politica di cooperazione con Cina e Russia. Come presidente del Gruppo dei 20, meglio noto come G20, nel 2023, l’India ha un’enorme opportunità di rafforzare la propria influenza.

I media occidentali tendono a concentrarsi sullo scenario G2 della competizione tra Stati Uniti e Cina, quando invece il mondo presenta uno scenario a doppio binario: egemonia occidentale e sviluppo de-occidentalizzato e più indipendente.

L’Occidente non può fermare questa tendenza. Gli Stati Uniti hanno guidato il mondo nelle principali crisi del secolo scorso, ma la loro leadership è diventata meno convincente sulla scia della pandemia Covid-19 e della guerra in Ucraina. Ciò è avvenuto mentre gli Stati Uniti hanno dovuto affrontare sfide interne senza precedenti, come l’epidemia di Covid-19, i conflitti razziali, la ripresa economica e l’ordine politico.

Nel frattempo, la quota dell’Europa nell’economia globale continua a diminuire. E l’economia indiana è diventata più grande di quella della Gran Bretagna, il suo ex padrone coloniale, in un anno che ha visto anche un uomo di origine indiana diventare primo ministro britannico.

Secondo le statistiche ufficiali della Cina, nel 2020 gli investimenti diretti esteri in uscita del Paese sono stati per la prima volta al primo posto nel mondo. Il Paese è già al primo posto nella produzione manifatturiera e nel commercio di beni.

Negli ultimi anni, la Cina ha anche superato molti Paesi occidentali nell’attrazione di capitali esteri, dimostrando che i capitali non sono quasi sempre bloccati in Occidente. Nel 2022 è entrato in vigore il più grande accordo di libero scambio al mondo, il Partenariato economico globale regionale (RCEP). Questo è un riflesso della perdita del monopolio dell’Occidente sul libero scambio.

Questa de-occidentalizzazione si estende anche a una crescente de-dollarizzazione del commercio globale, in quanto i Paesi si allontanano dal dollaro statunitense, e a una “de-americanizzazione” della tecnologia.

Negli ultimi 20 anni, la quota del dollaro statunitense nelle riserve internazionali è scesa costantemente da oltre il 70% a meno del 60%, attestandosi ora sui minimi di 25 anni, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale. Con la quarta rivoluzione industriale, i Paesi europei e americani hanno anche perso il loro vantaggio tecnologico nelle tecnologie intelligenti, nell’informatica quantistica, nei big data, nel 5G e altro ancora.

Quale mondo? Quale ordine? È finito il tempo in cui l’Occidente può decidere

Insieme, il mondo non occidentale sta presentando un quadro mai visto prima. La loro risposta all’egemonia occidentale non è necessariamente il confronto, il conflitto o l’insistenza su pesi e contrappesi.

Al contrario, si stanno semplicemente scrollando di dosso il controllo occidentale mettendo sempre più al centro strategico i propri interessi nazionali. Una forma più democratica di politica internazionale e il rispetto reciproco sono le loro principali richieste.

Si sta costruendo un rapporto politico più equo tra l’Occidente e gli altri, che sarà una caratteristica importante della politica mondiale in questo terzo decennio del XXI secolo. Il 2023 non sarà un mondo tranquillo, ma il movimento di de-occidentalizzazione è irreversibile e non potrà che evolversi.

*Wang Wen è professore e preside esecutivo dell’Istituto di studi finanziari Chongyang dell’Università Renmin di Cina.

da South China Morning Post 3 gennaio 2023

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

2 Commenti


  • Gianni Sartori

    Mentre imperversa la minaccia jihadista nel Sahel, peggiorano le relazioni tra Parigi e alcune ex colonie. Espulso dal Burkina Faso l’ambasciatore Luc Hallade

    PRESENZA FRANCESE NON SEMPRE GRADITA NELLE EX COLONIE

    Gianni Sartori

    Non sembrano dover migliorare, per lo meno non a breve, le relazioni tra Parigi e alcune sue ex colonie africane. Dopo il contenzioso con il Mali (inaspritosi con il golpe del 2020), ora prende quota anche quello con il Burkina Faso.

    Negli ultimi giorni le “autorità di transizione” di Ouagadougou (insediate con il golpe della notte tra il 30 settembre e il 1 ottobre 2022) avevano già dichiarato come “non gradito” l’ambasciatore Luc Hallade. Un esplicito messaggio ufficiale in tal senso, proveniente dalla ministra degli Affari esteri Olivia Rouamba, era stato consegnato direttamente al Quai d’Orsay. Con la richiesta di poter “cambiare interlocutore”.

    Stando a una ricostruzione di Le Monde, il contenzioso sarebbe nato (pretestuosamente?) per una lettera inviata da Hallade ai connazionali francesi residenti a Koudougou. Un messaggio con cui li sconsigliava dal rimanere in città e li invitava a “ricollocarsi nella capitale o a Bobo-Dioulasso”. In quanto Koudougou, terza città del Paese, sarebbe ormai “passata in zona rossa dopo il colpo di Stato del 30 settembre” e rimanervi “rappresenta un grave rischio”.

    E puntualmente, il 3 gennaio, il portavoce del governo Jean-Emmanuel Ouedraogo ne ha annunciato l’espulsione.

    Il “governo di transizione” (23 ministri, con tre militari a capo del ministero della difesa, dell’amministrazione territoriale e sicurezza, dell’ambiente; primo ministro l’avvocato Joachim Kyelem de Tembela, direttore del Centro di ricerche internazionali e strategiche) insediato dal capitano Ibrahim Traoré in teoria dovrebbe, entro il luglio 2024, ripristinare la Costituzione e indire nuove elezioni.
    In precedenza, il 24 gennaio 2022, un altro golpe, opera del colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba, aveva estromesso il presidente Marc Khristian Kaboré regolarmente eletto.

    Causa principale dei due colpi di stato quasi consecutivi, l’allargarsi delle insorgenze jihadiste soprattutto nel nord del paese. Si calcola che attualmente più del 40% del territorio rimanga fuori dal controllo statale.

    Tra le aggressioni delle bande jihadiste più recenti (e sanguinose) quella del 26 settembre 2022 quando una quarantina di persone sono rimaste uccise nell’attacco a un convoglio di camion che trasportavano cibo e rifornimenti per le popolazioni del nord in difficoltà.

    Da segnalare che – come era avvenuto per il Mali dove ormai si parla di “rottura diplomatica” – oltre che dalla Francia  il Burkina Faso sembra prendere le distanze anche dalla Ecowas/Cedeao (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale). Proprio nel delicato momento in cui attorno a questa si andava costituendo una nuova unità antiterrorismo (vedi la riunione del 19 dicembre in Guinea Bissau per la formazione di un esercito comune). In prosecuzione e sostituzione della operazione Barkhane (ormai definitivamentearchiviata) e per garantire reciproco supporto logistico e consulenza strategica nel contrasto all’insorgenza jihadista.

    Pur criticando (ed escludendoli da qualche riunione iniziale) i governi attualmente al poter grazie al colpo di Stato (come appunto quelli del Burkina Faso e del Mali) la Cedeao ha comunque auspicato che possano partecipare alle fasi ulteriori degli accordi sulla sicurezza.
    Preoccupata dal fatto che ormai gli attacchi jihadisti si estendono anche al di fuori del Sahel (come in Togo e e nel Benin).

    Tornando alle deteriorate relazioni tra la Francia e il Mali, va ricordato come il ministro degli esteri maliano sia intervenuto pesantemente contro Parigi addirittura in sede onusiana.

    Nel suo intervento del 18 ottobre 2022 al Consiglio di sicurezza, Abdoulaye Diop (oltre alle scontate critiche alla Minusma, la missione Onu in Mali) ha rilanciato le accuse (già formulate in agosto) di aver fornito “sostegno ai terroristi” (addirittura ?!?), di aver condotto operazioni “di aggressione e spionaggio” e “violato lo spazio aereo maliamo” (l’unica plausibile, direi). 

    Accuse prontamente rispedite al mittente come “infondate e menzognere” da parte dell’ambasciatore francese Nicolas de Rivière.

    Gianni Sartori


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *