Prendo spunto dai filmati appena proiettati con le interviste a Gideon Levy e Ilan Pappè per riferire su voci ebraiche, israeliane e non, che chiedono aiuto per salvare Israele da se stesso e per denunciare il fallimento del progetto sionista.
Ilan Pappè da tempo parla e scrive di futura implosione della società israeliana; sostiene che il colonialismo di insediamento è alla fine e che stiamo assistendo all’inizio della fine del sionismo. Ritiene assolutamente necessarie sanzioni per accelerare questo percorso (conferenza a Londra il 21 gennaio 2024, a Firenze il 25 febbraio 2024 e in altre occasioni).
Sarit Michaeli di B’Tselem (associazione israeliana di giuristi) ha affermato che Israele da tempo non ha più anticorpi e che è necessario un intervento esterno.
Gideon Levy il 15 settembre 2024 ha scritto l’articolo il cui titolo è riportato nella locandina di questa serata: “Gli israeliani devono chiedersi se sono disposti a vivere in un paese che si nutre di sangue”.
Afferma Levy: “….. Siamo in una realtà genocida; è stato versato il sangue di decine di migliaia di persone.” Per inciso: basta parlare di 45.000 uccisi. Secondo un rapporto di Lancet, una delle più importanti riviste mediche mondiali, dobbiamo calcolare almeno 186.000 vittime. E il rapporto risale ormai a un paio di mesi fa.
Prosegue Levy: ”noi israeliani siamo disposti a vivere nell’unico Paese al mondo la cui esistenza è fondata sul sangue? L’unica visione diffusa in Israele ora è quella di vivere da una guerra all’altra, da uno spargimento di sangue all’altro, da un massacro all’altro, con intervalli il più possibile distanziati… Non esiste nessun altro paese come questo al mondo……
Attraverso campagne che demonizzano e disumanizzano i palestinesi un coro unito e mostruoso di commentatori ci sta vendendo con successo l’idea che possiamo vivere per l’eternità di sangue… Abbiamo già massacrato il popolo palestinesi… I detenuti, gli orfani, i traumatizzati, i senzatetto non torneranno mai più a essere ciò che erano. I morti di certo non torneranno. Ci vorranno generazioni perché Gaza si riprenda, se mai ci riuscirà. Questo è genocidio, anche se non soddisfa la definizione legale. Un paese non può vivere di una simile ideologia, certamente non quando intende continuare ad esistere”.
Faccio notare due cose: usa due volte il termine genocidio, termine che non piace alla signora Segre, ma se ne dovrà pur fare una ragione; attribuisce allo stesso Israele il rischio di estinzione cioè il pericolo della distruzione di Israele viene non tanto dall’esterno quanto dall’interno.
Ed infine: l’ordinanza della Corte internazionale di giustizia del 26 gennaio 2024, di cui parleremo, usa il termine “probabile genocidio” e non “genocidio” per il semplice motivo che si era alle prime battute del processo ed ancora non era stata espletata alcuna istruttoria. Parlare già di genocidio sarebbe stata una imprudente anticipazione del giudizio. Oggi, molto probabilmente, eliminerebbe l’aggettivo.
Un documento di ebrei israeliani, residenti in Israele e all’estero, è ancora più recente, di questo ottobre, ed è stato sottoscritto da circa 2000 persone. È una vera e propria invocazione e una richiesta di aiuto: salvateci da noi stessi.
Cito alcuni passaggi:” noi, cittadine e cittadini israeliani residenti in Israele e all’estero, chiediamo alla comunità internazionale-alle Nazioni Unite e alle sue istituzioni, agli Stati Uniti, all’Unione europea, alla Lega degli Stati arabi e a tutti gli Stati del mondo-di intervenire immediatamente applicando nei confronti di Israele ogni possibile sanzione….
Molti di noi sono militanti che operano da tempo contro l’occupazione……. Purtroppo la maggioranza degli israeliani sostiene la continuazione della guerra per cui un cambiamento dall’interno non sembra attualmente possibile……. Lo Stato di Israele sta percorrendo una strada suicida e semina distruzione, devastazione che aumentano di giorno in giorno…
I cittadini palestinesi di Israele sono perseguitati e messi a tacere… La repressione, l’intimidazione e la persecuzione politica impediscono a molti cittadini che condividono le nostre idee di unirsi a quest’appello…
La mancanza di un’effettiva pressione internazionale, la continuazione delle spedizioni di armi ad Israele, il mantenimento dei partenariati economici e di sicurezza, delle collaborazioni scientifiche e culturali, portano la maggior parte degli israeliani a credere che le politiche del loro governo godano del sostegno internazionale. I leader di molti paesi si indignano e condannano Israele ma queste condanne non sono supportate da azioni concrete.
Siamo stufi di parole vuote senza conseguenze…… Salvateci da noi stessi.”
Faccio notare il passaggio sulla persecuzione politica nei confronti dei cittadini israeliani che condividono il contenuto dell’appello ma hanno paura a sottoscrivere. Con buona pace del ritornello su Israele come “unica democrazia del Medioriente”.
Un’altra autorevole voce ebraica è quella di Pierre Stambul, presidente dell’Unione ebraica francese per la pace, che, descrivendo i contrasti all’interno della società israeliana, parla di una vera e propria “guerra tra tribù”.
Merita di essere ricordata anche l’associazione SISO, da tempo in campo e il cui acronimo significa Save Israel Stop Occupation. Anche SISO mette in relazione l’occupazione con i rischi interni alla società israeliana.
È importante notare come quanto sta accadendo era ampiamente prevedibile e previsto. Vi leggo alcuni passaggi della trascrizione di un intervento di Ilan Pappè a Friburgo il 4 giugno 2005.
È importante l’epoca: siamo ben oltre Oslo e poco dopo la seconda intifada. Dice Pappè: “Quando una politica dimostra di non riuscire a portare assolutamente nessun cambiamento nella realtà vissuta dalle persone, allora si ha come risultato la frustrazione. Si prepara la terza intifada! Scoppierà nel momento in cui ci saranno abbastanza persone coscienti che gli attuali negoziati hanno fallito e che non hanno nulla da offrire alle popolazioni…
Se il progetto di pace continua ad essere sostenuto dagli europei, dagli americani, dai russi e dall’Onu, vorrà dire che Israele avrà il via libera per proseguire la sua politica di pulizia etnica. Bisogna anche sapere che gli israeliani si stanno già preparando ad affrontare la prossima insurrezione palestinese; questa volta essi non esisteranno più ad utilizzare i peggiori mezzi di repressione in confronto alle armi utilizzate nel corso della prima e della seconda intifada. Inoltre in questo momento non stiamo parlando semplicemente di pulizia etnica bensì del reale pericolo di una politica di genocidio…
Un movimento contro l’occupazione all’interno di Israele non ha alcuna possibilità di successo. Nessuna. Esiste un solo modo di bloccare lo scenario che vi ho appena descritto: tramite le pressioni, le sanzioni, l’embargo, equiparando lo Stato di Israele al Sudafrica durante regime di apartheid. Non esiste altro mezzo.”
Pappè nel 2005 parlava di terza intifada – quella ora in corso – di genocidio, quello in corso, di inesistenza di un movimento per la pace e contro l’occupazione in Israele e della necessità di sanzioni ed embargo come fu fatto contro il Sudafrica. Non poteva sapere Pappè che proprio dal Sudafrica sarebbe venuta la più importante iniziativa giudiziaria internazionale contro Israele 19 anni dopo, quella che ha portato Israele avanti alla Corte internazionale di giustizia per il crimine di genocidio, crimine che, ritenuto probabile dalla Corte nel gennaio 2024, è oggi sotto gli occhi di tutti.
Il rischio di deriva ultranazionalista di stampo fascista all’interno della società israeliana era stato in realtà individuato sin dal 1948 pochi mesi dopo il sorgere dello Stato ebraico. Il 2 dicembre 1948 28 intellettuali ebrei, tra i quali Albert Einstein e Hannah Arendt, inviarono una lettera alla redazione del New York Times per denunciare la deriva fascista imposta dal futuro primo ministro Menachem Begin alla natura dello Stato israeliano.
Scrivono: ”Fra i fenomeni più preoccupanti dei nostri tempi emerge quello relativo alla fondazione nel nuovo Stato di Israele del Partito della libertà (Tnuat haherut), un partito politico che nell’organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti nazista e fascista. È stato fondato fuori dall’assemblea e come evoluzione del precedente Irgun Zvai Leumi, un’organizzazione terroristica, sciovinista, di destra …
Oggi il signor Begin parla di libertà, democrazia e anche imperialismo, mentre fino ad ora ha apertamente predicato la dottrina dello Stato fascista. È nelle sue azioni che il partito terrorista tradisce il suo reale carattere, dalle sue azioni passate possiamo giudicare ciò che farà nel futuro….. Un esempio scioccante è stato il loro comportamento nel villaggio arabo di Deir Yassin……..
Il 9 aprile bande di terroristi attaccarono questo pacifico villaggio che non era un obiettivo militare uccidendo la maggior parte dei suoi abitanti (240 tra uomini, donne e bambini) e trasportando alcuni di loro come trofei vivi in una parata per le strade di Gerusalemme….. All’interno della comunità ebraica il partito della libertà ha predicato un misto di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale.”
E’ il caso di ricordare che Begin nel 1978 fu addirittura insignito del premio Nobel per la pace e che è il fondatore del Likud, il partito al governo di Israele sotto la guida di Benjamin Netanyahu. Faccio anche notare che quanto accaduto a Deir Yassin riproduce, in dimensione ridotta, quanto sta accadendo oggi e il comportamento dei soldati israeliani di allora anticipa gli osceni comportamenti dei soldati israeliani che tutti abbiamo visto nei filmati da Gaza.
Parole analoghe sulla deriva della società israeliana sono state pronunciate da un importante storico ebreo israeliano, molto attivo in Peace Now, morto nel 2020: Zev Sternhell: ”in Israele cresce non solo un fascismo locale ma anche un razzismo vicino al nazismo ai suoi esordi”.
Una sintesi del sionismo era stata enunciata solo quattro anni prima della nascita dello Stato d’Israele, nel 1944, da Ben Gurion: ”il sionismo è un transfer degli ebrei. Riguardo al transfer degli arabi questo è più semplice. Ci sono stati arabi nelle vicinanze”. Quanto sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania manifesta l’intenzione di espellere tutti quei palestinesi che non si riesce ad uccidere.
In questo contesto è doveroso, però, ricordare anche quelle realtà ebraiche, israeliane e non, che coraggiosamente lottano per la pace e contro l’occupazione: Standing together, Breaking the silence, i refusnik, Jewish voice for peace. Nell’ottobre 2023 centinaia di ebrei occuparono la stazione di New York in solidarietà con i palestinesi; 200 di loro furono arrestati e, con un pizzico di ironia, fu detto che si trattava della più grande retata di ebrei dal dopoguerra.
Voglio anche ricordare un’esperienza personale recente. Il 5 ottobre ero a Roma alla manifestazione vietata. Eravamo completamente circondati dalle forze dell’ordine. Vedo un gruppetto di giovani e riconosco una ragazza con cui mi ero confrontato a Milano in una iniziativa alla Casa delle donne.
Questi giovani reggevano uno striscione e distribuivano un volantino firmato The Jewish bloc. Vi si legge, tra l’altro: “da ottobre 2023 ebrei di tutta Europa hanno fatto parte del movimento globale di protesta contro l’assedio genocidario di Israele su Gaza……. C’è un numero crescente di ebrei che rifiuta i crimini di Israele contro il popolo palestinese e l’ideologia suprematista ebraica dello Stato sionista.
Nonostante la brutalità del genocidio inflitto a Gaza la maggior parte delle organizzazioni e istituzioni ebraiche in Europa continuano a sostenere lo Stato di Israele, rendendosi così complici delle atrocità commesse… Noi rappresentiamo non solo una voce politica ma anche un movimento ebraico in via di sviluppo in Europa che si fonda su principi di giustizia e l’uguaglianza per tutti. Rivendichiamo la nostra identità ebraica prendendo le distanze dallo Stato di Israele ed a tutte le forme di politica suprematista e coloniale…
Condanniamo la cinica equiparazione tra antisionismo e antisemitismo… La sicurezza degli ebrei nel mondo è minacciata dall’esistenza di Israele come etnocrazia ebraica… Siamo in piena e inequivocabile solidarietà con il popolo palestinese e la sua lotta per l’autodeterminazione.”
Rendo volentieri e sinceramente onore al coraggio di tutte queste persone di religione ebraica ma ho il timore che rappresentino percentualmente una modesta realtà ininfluente politicamente. Naturalmente spero di sbagliarmi e mi auguro di essere al più presto smentito.
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Nei filmati proiettati si è parlato anche di disumanizzazione dei palestinesi.
Hajo Meyer, un sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz, ha detto: “La mia grande lezione da Auschwitz è che chiunque voglia disumanizzare un altro deve prima essere disumanizzato lui stesso”. Gli ebrei hanno subito nella storia sulla loro pelle la disumanizzazione: nel medioevo venivano raffigurati con corna, coda, barba da caprone ed emananti un particolare fetore.
I sionisti hanno sempre rappresentato i palestinesi come un popolo arretrato, negandone la ricca cultura. Nei libri scolastici spesso sono raffigurati a fianco di cammelli e con poveri abiti. Si vedano i testi di Nurit Peled che analizzano il contenuto dei libri scolastici israeliani mettendone in evidenza l’insegnamento del disprezzo e dell’odio verso i palestinesi. Dal disprezzo all’odio e poi alla disumanizzazione il passo è breve e si giunge alla famosa frase del ministro Yoav Gallant “ stiamo combattendo animali umani”.
Si resta molto colpiti dall’immenso numero di bambini uccisi a Gaza deliberatamente e viene in mente l’affermazione di Poliakov nel suo “Storia dell’antisemitismo”: ”per giustificarsi di avere massacrato dei bambini abbiamo visto gli uccisori nazisti parlare di vendicatori potenziali”.
All’odio, al disprezzo, al timore di vendicatori potenziali si aggiunge però anche la teorizzazione della possibilità, anzi della necessità, di uccidere civili. Israel Shahak, per 20 anni presidente della Lega dei diritti umani e civili, associazione mista israeliana/palestinese, scrive nella sua “Storia ebraica e giudaismo”, pag.162:
”Vari commentatori rabbinici del passato giunsero alla logica conclusione che, in tempo di guerra, i gentili che appartengono a un popolo ostile agli ebrei possano, e persino debbano, essere sterminati. Dal 1973 questa dottrina è insegnata pubblicamente nelle guide spirituali dei soldati israeliani religiosi. La prima di queste esortazioni la troviamo ufficializzata in un opuscolo pubblicato dal comando della regione centrale dell’esercito di Israele la cui giurisdizione comprende tutto il West Bank.
“Quando le nostre forze – scrive il rabbino capo del comando – incontrano civili durante i combattimenti o in un raid o nel corso di un rastrellamento, visto che non sappiamo con certezza se quei civili sono veramente innocui e non intendono né possono arrecarci danno, è permesso e persino doveroso ucciderli, come stabilisce l’Halakhah che autorizza ed esorta a uccidere tutti i buoni civili, cioè quei civili che danno l’impressione di essere buoni”.
Poiché il genocidio in corso a Gaza è operato soprattutto con l’utilizzo di cannonate da carri armati e da navi e di bombardamenti, è evidente che viene meno la distinzione tra combattenti e civili. Scompare anche la figura del cosiddetto “danno collaterale” cioè dei civili uccisi nel corso di azioni militari contro combattenti.
Una recente inchiesta di +972Magazine e Local Call ha narrato il ruolo di Lavender nel genocidio in corso. Lavender è lo strumento di intelligenza artificiale che dirige i bombardamenti su Gaza e sceglie gli obiettivi. Ha selezionato 37.000 sospetti militanti di gruppi armati. Non è previsto alcun controllo umano per la verifica della selezione anche se è stato statisticamente accertato che è presente una percentuale di errore del 10% (quindi quantomeno 3700 persone sono destinate ad essere uccise senza avere nulla a che fare con Hamas o altre organizzazioni della resistenza).
Le persone selezionate vengono bombardate di notte nella propria abitazione, quindi con la propria famiglia, da bombe definite “stupide” in contrapposizione a quelle “intelligenti”, molto più costose e quindi utilizzate in altre circostanze. Le vittime collaterali accettate sono nell’ordine di 15/20 civili per un semplice militante; si sale fino a 100 ed anche 300 civili per un militante di alto rango.
L’inchiesta mette in evidenza che i criteri adottati per qualificare un soggetto come “militante di Hamas” o altre organizzazioni sono quanto meno labili: la presenza su chat in cui è presente un sicuro militante, la frequente sostituzione del cellulare, il frequente cambio di casa eccetera. L’inchiesta riporta testimonianze di membri dell’esercito israeliano che riferiscono un clima di assoluta isteria tra i militari, nella ricerca continua di obiettivi e parlano esplicitamente non di operazioni militari ma di azioni di pura vendetta per l’attacco del 7 ottobre.
Se poi usciamo da Israele e pensiamo alle esplosioni dei cosiddetti cercapersone in Libano capiamo che ci muoviamo in un ambito di puro terrorismo.
Secondo la definizione della Convenzione internazionale per la soppressione delle attività di finanziamento del terrorismo del 1999 è terroristico “ogni atto finalizzato a causare la morte o lesioni personali gravi ad un civile o ad ogni altra persona che non prende attivamente parte alle ostilità in una situazione di conflitto armato, quando lo scopo di questo atto, per propria natura ovvero per il contesto nel quale viene commesso, è quello di intimidire una popolazione ovvero di costringere un governo o una organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere un determinato atto”.
E’ evidente che la definizione è applicabile a una organizzazione armata della resistenza ma anche a uno Stato, e a Israele in particolare.
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Venendo alla seconda parte di questo mio intervento, quella relativa alle ricadute della politica israeliana nel resto del mondo e ai rapporti di Israele con ONU, Corti di giustizia e in genere il consesso umano, è opportuno subito precisare che il danno immenso arrecato da Israele alla credibilità del diritto internazionale e degli organi preposti alla sua applicazione è dato non tanto e non solo dalla costante inottemperanza di tutte le risoluzioni dell’Onu, sia dell’Assemblea generale sia del Consiglio di sicurezza, ma dalla successiva impunità.
Mai è stata adottata alcuna sanzione, seppur minima, nei confronti di Israele. Data una norma, è fisiologica la sua violazione prima o poi ma deve allora intervenire la sanzione per la violazione se non si vuole che la norma resti un principio astratto privo di efficacia cogente.
Si può affermare che Israele è uno Stato fondato sulla menzogna: dalla più famosa “una terra senza popolo per un popolo senza terra” all’insieme di menzogne contenute già nella Dichiarazione della fondazione dello Stato del 14 maggio 1948. Questa dichiarazione non è sufficientemente conosciuta ed è opportuna la lettura di alcuni suoi passaggi.
“…. Dichiariamo la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel che avrà il nome di Stato di Israele. Decidiamo che con effetto dal momento della fine del mandato stanotte fino a quando saranno regolarmente stabilite le autorità dello Stato elette secondo la Costituzione che sarà adottata dall’assemblea costituente eletta non più tardi del 1 ottobre 1948, il consiglio del popolo opererà come provvisorio Consiglio di Stato…”
È da notare come da subito lo Stato viene definito ebraico, definizione che sarà più recentemente ribadita dalla Basic Law del luglio 2018 che riconosce il diritto all’autodeterminazione esclusivamente agli ebrei. Un inciso: uso sempre il termine “ebrei” e non “popolo ebraico” avendoci Shlomo Sand bene spiegato che il popolo ebraico è una mera invenzione.
Tornando alla Dichiarazione, è anche da notare che si prevede una Costituzione che ad oggi non è stata mai emanata.
Ma il passaggio successivo è quello che riassume un concentrato di buoni propositi, nella piena consapevolezza che saranno tutti disattesi ma nella necessità di enunciarli per essere ammessi all’ONU. Si afferma: “lo Stato di Israele sarà aperto per l’immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo del Paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace come predetto dai profeti d’Israele, assicurerà completa uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite per l’applicazione della risoluzione dell’Assemblea generale del 29 novembre 1947 e compirà passi per realizzare l’unità economica di tutte le parti di Eretz israel”.
Mi sembra superfluo ogni commento. Voglio invece raccontare un aneddoto curioso e significativo. L’avvocatessa Felicia Langer, vicepresidente della Lega dei diritti umani e civili presieduta dal ricordato Israel Shahak, nonché strenuo difensore per tutta la sua vita dei diritti del popolo palestinese e dei palestinesi nelle aule dei tribunali militari, più volte nel corso dei processi ha tentato di produrre la Dichiarazione di fondazione o quantomeno di leggerne passaggi per evidenziare il contrasto con la realtà.
Le è sempre stato impedito. Pensate a cosa succederebbe qui da noi se a un avvocato venisse impedito di leggere un articolo della nostra Costituzione. Ci tengo ad evidenziare anche un altro aspetto che mi è stato recentemente ricordato da un’amica, Vera Pegna: la Dichiarazione è stata stilata da 37 ebrei nessuno dei quali nato in Palestina essendo tutti europei tranne uno yemenita.
Assistiamo a un paradosso storico politico: è in corso la demolizione di quel sistema di garanzie creato nel dopoguerra (Statuto Onu, Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Convenzioni di Ginevra eccetera) ad opera soprattutto di quello stato, Israele, il cui sorgere in quegli anni era stato favorito anche da quel sistema di garanzie. Sappiamo che Israele nasce su un progetto di fine ‘800, rilanciato dopo la prima guerra (dichiarazione Balfour 1917), ma il progetto di spartizione è della raccomandazione 181/47.
A proposito di questa raccomandazione vorrei riferire un fatto poco noto: quando si seppe in Palestina di quello che si stava discutendo all’Onu una delegazione di notabili palestinesi partì per dire la propria ma non venne loro concesso il visto di ingresso negli USA. Insomma, da sempre, ai palestinesi non è stato riconosciuto il diritto di scegliere il proprio futuro o quantomeno di interloquire.
Israele nasce subito violando ogni norma e con la Nakba si appropria di ulteriore territorio rispetto a quanto previsto da una proposta di spartizione sin troppo generosa (dal previsto 56% al 78%). Poi proseguirà di violazione in violazione, sempre impunite. Sino alla situazione attuale in cui finalmente si alza qualche flebile voce che invoca sanzioni ed anche la sua espulsione dall’Onu.
I rapporti di Israele con l’Onu sono caratterizzati da un crescendo di ostilità. In passato avevamo solo la continua inottemperanza di tutte le risoluzioni, sia dell’Assemblea generale sia del Consiglio di sicurezza (2334/2016 la più recente).
Abbiamo assistito a un continuo dileggio pubblico con la Carta fondativa dell’Onu strappata platealmente in due occasioni in Assemblea generale; l’Onu è stata definita una palude di antisemiti; il segretario Guterres è stato dichiarato persona non grata e gli è stato vietato l’ingresso in Israele; il 22 luglio di quest’anno L’UNRWA è stata definita organizzazione terroristica e il 28 ottobre è stata messa al bando. Sul terreno l’ostilità si è tradotta con l’uccisione di 233 dipendenti e con i recenti attacchi al UNIFIL in Libano anche utilizzando fosforo bianco. È il caso di evidenziare che l’attacco all’UNRWA non comporta solo enormi problemi sui fronti dell’alimentazione e dell’istruzione dei profughi ma ne nega il fondamentale diritto al ritorno.
Non meno ostili sono i rapporti di Israele con il resto del mondo. Significativa una frase del ministro Smotrich:” costruiremo una nuova colonia per ogni Paese che riconoscerà lo Stato di Palestina”. Detto fatto in occasione di cinque riconoscimenti dello Stato di Palestina.
Per quanto attiene ai rapporti con gli organi di giustizia preposti all’applicazione delle norme vi è da dire che non una decisione di questi organi è mai stata rispettata. La ormai famosa ordinanza della Corte internazionale di giustizia del 26 gennaio 2024 che ha ritenuto che fosse altamente probabile un genocidio in corso imponeva anche una serie di obblighi per ridurre i danni, obblighi tutti non rispettati.
Con due successive ordinanze di marzo e maggio 2024 la Corte ha ribadito di porre fine all’offensiva e tenere aperto il valico di Rafah senza alcuna conseguenza. Il 19 luglio 2024 è intervenuto il suo parere consultivo che ha dichiarato illegale l’occupazione, ha affermato che in Israele vigono leggi e prassi discriminatorie che violano il divieto di segregazione razziale e di apartheid, ha ordinato il ritiro dai territori occupati, da Gaza e da Gerusalemme est, ha ordinato di cedere il controllo delle frontiere, le risorse naturali, lo spazio aereo e le acque territoriali e, infine, di garantire libertà di movimento tra Gaza e Cisgiordania.
L’Assemblea generale dell’Onu il 18 settembre 2024, in conformità a questo parere, ha fatto proprie le conclusioni della Corte ed è andata oltre stabilendo che gli Stati terzi avrebbero dovuto da subito interrompere qualsiasi forma di aiuto o assistenza a Israele, incluse le forniture di armi, nonché cessare ogni rapporto commerciale con gli insediamenti illegali entro e non oltre 12 mesi. L’isolamento internazionale di Israele è dimostrato dal risultato della votazione: 124 paesi favorevoli, solo 14 contrari e 43 astensioni tra cui purtroppo l’Italia.
Voglio segnalare come dopo questa decisione dell’Assemblea generale è profondamente cambiato anche il diritto al boicottaggio di Israele che diventa un vero e proprio dovere. Da diritto politico a obbligo legale. Spero che questo affossi definitivamente un vergognoso disegno di legge che pende da anni che criminalizza il movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni).
Per completezza di informazione è il caso anche di ricordare la decisione del 10 maggio 2024 dell’Onu che ha conferito allo Stato di Palestina una serie di privilegi aggiuntivi tanto da dare l’impressione di un riconoscimento pieno della Palestina all’interno dell’Onu. In realtà la Palestina è qualificata per divenire Stato a pieno titolo superando l’attuale condizione di Stato osservatore e può partecipare ai lavori dell’Assemblea senza però ancora diritto di voto.
Un cenno infine alla Corte penale internazionale dinanzi alla quale pende da anni un procedimento penale nei confronti di esponenti politici e militari israeliani. Dopo una accelerazione conferita all’indagine dalla procuratrice Bensouda sono intervenute le richieste di arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant da parte della subentrato procuratore Karim Khan.
In un articolo del 17 ottobre 2024 il docente di diritto internazionale nonché membro del team di difesa dei palestinesi avanti alla Corte Triestino Mariniello sottolinea che sono trascorsi ben cinque mesi da quando il procuratore ha presentato le richieste di mandato di arresto senza che la Camera preliminare della Corte che si deve pronunciare sull’emanazione dei mandati abbia adottato la decisione.
Mariniello assume che il ritardo è imputabile alle pressioni di alcuni Stati, in primis la Gran Bretagna, che, senza averne alcun titolo, hanno interferito con il procedimento. Anche gli Stati Uniti, che non sono neppure membri della Corte, e la Germania si sono opposti all’emanazione dei mandati. Mariniello denuncia anche quello che comunemente viene definito “doppio standard” e cioè un contrasto di decisioni in situazioni simili, ricordando che in altri contesti la Corte è stata molto celere nell’emettere mandati di arresto, come nel caso del presidente russo Putin per crimini di guerra in Ucraina.
Conclude Mariniello: ”Ora la Corte si trova un bivio. Agire in linea con il proprio mandato, tenendo fede solo allo Statuto di Roma, dunque valutare le richieste di Khan sulla base delle prove documentali presentate ed emettere mandati di arresto; o arrendersi alle pressioni e alle minacce.
Questa seconda strada comporterebbe il definitivo diniego di qualsiasi possibilità di giustizia per le vittime palestinesi per le quali la Corte rappresenta l’unico strumento a disposizione. Offuscherebbe ulteriormente l’immagine della Corte come istituzione indipendente imparziale oltre a confermare le ragioni alla base della crescente disillusione nei confronti del progetto di giustizia penale internazionale tra i Paesi del sud del mondo. E contribuirebbe ad assestare il colpo definitivo alla legittimità e alla credibilità di un’istituzione già minata dai mancati processi per presunti crimini internazionali commessi dalle truppe britanniche in Irak e da statunitensi in Afghanistan.
Se, alla luce del genocidio in corsa Gaza, i giudici decidessero di non intervenire fornirebbero l’ulteriore dimostrazione della permanenza di una giustizia asimmetrica che discrimina sia le vittime che i responsabili di crimini internazionali sulla base della loro nazionalità”.
In un simile contesto è comprensibile che sia finalmente intervenuto un appello di giuristi internazionali che chiedono l’espulsione di Israele dall’ONU. Primo firmatario è Pino Arlacchi, già vice segretario delle Nazioni Unite.
Si legge nell’appello: ”La misura è colma. Riteniamo che i tempi siano più che maturi per l’applicazione nei confronti di Israele dell’articolo 6 della Carta delle Nazioni Unite il quale prevede che “un membro delle Nazioni Unite che abbia persistentemente violato i principi enunciati nel presente Statuto può essere espulso dall’organizzazione da parte dell’Assemblea generale su proposta del Consiglio di sicurezza”.
Un tale provvedimento andrebbe acla tragedia di essere vittime delle vittimecompagnato dall’adozione di sanzioni a partire da un embargo totale immediato sugli armamenti… Siamo consapevoli del possibile veto che membri permanenti delle Nazioni Unite, fra i quali soprattutto gli Stati Uniti, da sempre protettore e complice di Israele, potrebbero interporre ma riteniamo che tale veto possa essere aggirato da una votazione a maggioranza dell’Assemblea generale come già avvenuto in altre occasioni”. Le firme sono già numerose. La parola passa ora dai giuristi ai governi.
Quali conclusioni possiamo trarre? Direi innanzitutto basta essere vittime del ricatto strumentale dell’antisemitismo e della colpa europea della Shoah. Golda Meir ha detto: ”Dopo la Shoah tutto ci sarà permesso”. Finora è stato così, ora basta. I palestinesi sono perfettamente consapevoli del ruolo della Shoah nella loro tragedia: Edward Said ha così sottotitolato il suo libro “La questione palestinese”: “la tragedia di essere vittime delle vittime”.
Appoggiamo gli ebrei e gli israeliani del dissenso. Ripristiniamo le regole infrante, seguiamo le indicazioni della Corte internazionale di giustizia, difendiamo la Corte penale internazionale dagli attacchi, applichiamo sanzioni, interrompiamo ogni cooperazione ed in particolar modo ogni fornitura di armi. Attiviamoci per favorire l’espulsione di Israele dall’Onu consacrando così il suo status di Stato paria estraneo al consesso civile.
L’estromissione di Israele potrebbe essere un primo passo verso quel reset dell’Onu invocato da molti giuristi. Iain Chambers, antropologo e sociologo britannico, ha recentemente scritto:” Il diritto internazionale è finito in pezzi ora che non serve più alle potenze che storicamente si presumeva lo incarnassero. L’Occidente si pone contro tutti gli altri sempre più spesso in forma nuda e cruda, senza scuse o coperture legali. Questa rinuncia all’autorità morale è a tal punto pubblica a livello globale da stare inaugurando un altro ordine planetario… E’ chiaramente giunto il momento di riformare le Nazioni Unite… La comunità globale ha bisogno di un reset”.
Purtroppo questa necessità è sul tappeto da troppo tempo irrisolta. Sin dal 1999 Luigi Ferraioli si poneva il problema politico del futuro del diritto internazionale, della pace e degli stessi diritti umani vedendo il rischio che il progetto di convivenza disegnato dalla Carta dell’Onu venisse sostituito da uno nuovo ordine/disordine fondato su di un’alleanza militare come la Nato e sulla guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali.
L’impunità di Israele ha giocato un ruolo determinante in questa tragica trasformazione.
*giurista, Milano
(Rielaborazione dell’intervento all’iniziativa dell’associazione culturale ROSSOsi spera del 29 ottobre 2024)
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