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Il caso George Ibrahim Abdallah

Pubblichiamo l’introduzione al volume “Il Caso Georges Ibrahim Abdallah”, a cura di Giacomo Marchetti, pubblicato recentemente da PGreco.

Il volume è una traduzione del libro “L’affaire Georges Ibrahim Abdallah” pubblicato dalle Premiers Matins de Novembre Éditions, scritto dallo studioso e attivista franco algerino Saïd Boumama, ed uscito nel 2021 in Francia.

Si tratta della prima e più completa ricostruzione della biografia politica del comunista libanese imprigionato in Francia, della sua tortuosa vicenda giudiziaria, dei suoi lunghi anni di detenzione in cui non ha mai smesso di prendere parola e posizione senza mai abiurare la propria causa.

La sua edizione italiana è un contributo alla campagna per la sua liberazione, e per quella di tutti i prigionieri arabo-palestinesi nelle carceri sioniste od in quelle dei propri complici occidentali.

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Georges Ibrahim Abdallah, il più “vecchio” prigioniero politico nella patria dei diritti dell’uomo

Si verifica una lotta. Si giudica della «equità» e della «giustizia» delle pretese delle parti in conflitto. Si giunge alla conclusione che una delle parti non ha ragione, che le sue pretese non sono eque, o addirittura che esse mancano di senso comune. Queste conclusioni sono il risultato di modi di pensare diffusi, popolari, condivisi dalla stessa parte che il tal modo viene colpita dal biasimo. Eppure questa parte continua a sostenere di «avere ragione», di essere nell’«equo» e ciò che più conta, continua a lottare, facendo dei sacrifici, ciò che significa che le sue convinzioni non sono superficiali e a fior di labbra, non sono ragioni polemiche, per salvar la faccia, ma realmente profonde e operose nelle coscienze. Significherà che la quistione è mal posta e mal riposta. Che i concetti di equità e di giustizia sono puramente formali”

Morale e politica, in Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno, Antonio Gramsci

Il “Medio-Oriente” in fiamme

Il 2 ottobre del 2024, il quotidiano francese Le Monde pubblica un lungo articolo scritto a sei mani dall’eloquente titolo “George Abdallah. Prigioniero a vita della «ragion di Stato»”.

L’inchiesta di Christophe Ayad, Benjamin Barthe e Abel Mestre che ripercorre il caso giudiziario e le vicende politiche di Georges Ibrahim Abdallah è preceduta da una foto scattata l’anno prima che lo ritrae con un’espressione serena mentre è seduto sul letto nella cella del carcere di Lannemzan negli Hautes-Pyrénées francesi.

Georges è accanto ad una bandiera del “Che” che riproduce in bicromia rosso-nera la famosa foto scattata da Korda a Guevara, una sciarpa con i colori e l’immagine del territorio della Palestina storica prima della creazione dello Stato d’Israele nel 1948 e differenti plichi con numerosi ritagli di giornale oltre a svariate lettere.

Nonostante la lunga detenzione la fibra politico-morale del comunista libanese, militante prima del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) e poi fondatore delle Frazioni Armate Rivoluzionarie Libanesi (FARL), non è stata assolutamente scalfita, come testimoniano anche le poche battute scambiate con gli intervistatori del quotidiano francese.

Le condizioni di vita sono molto migliori qui che a Gaza” dice Abdallah.

In un’intervista precedente al quotidiano comunista francese L’Humanité, pubblicata un paio di settimane prima ed a firma Luis Reygada, aveva usato gli stessi toni, affermando che: “Di fronte alla situazione del mondo, agli attacchi ripetuti contro il diritto dei popoli e la loro libertà (…) la mia liberazione è un dettaglio”, spiegando che si indignava del “genocidio perpetrato dagli israeliani e dagli americani a Gaza”.

La guerra perpetrata contro i palestinesi a Gaza – sia detto per inciso – secondo le statistiche ufficiale del Ministero ha provocato più di 48 mila morti (48.319 per l’esattezza) e più del doppio di persone ferite, 111.749 per la precisione, oltre a rendere la Striscia una distesa di macerie.

Qualche giorno prima dell’anniversario dell’operazione “Diluvio d’Al-Aqsa” – il 7 ottobre – e dell’inizio della rappresaglia israeliana che ha assunto i caratteri del conflitto regionale, sarebbe riesploso – il 1 ottobre – il conflitto israeliano-libanese, o per essere più precisi l’ennesima aggressione israeliana al Libano.

L’ennesimo tentativo ( dopo quelli del 1978, 1982, 2006) di invasione via terra con l’attraversamento della Linea Blu da parte dell’esercito Israeliano era stato preceduto dai bombardamenti a tappeto israeliani del 23 settembre, con un’ecatombe di 500 morti in sole 24 ore.

Si trattava dell’ultima – in ordine temporale – aggressione sanguinosa scatenata da Israele con il pretesto di annientare la resistenza libanese di Hezbollah, e quella palestinese presente in Libano.

Una vera e propria guerra estesa a più parti del territorio libanese, compresa la parte meridionale della capitale libanese e la valle della Bequa che terminerà (al netto delle continue violazioni delle IDF) la mattina del 27 novembre con un cessate-il-fuoco patrocinato dagli USA.

Una guerra prontamente rimossa dal cono di luce dei media occidentali che di lì a poco saranno concentrati nel raccontare la vittoriosa offensiva jihadista dei “ribelli” della coalizione Hayat Tahrir Al-Cham (HTC) contro la Repubblica Araba di Siria che cadrà l’8 dicembre, dopo che proprio il 27 novembre – giorno in cui è entrato in vigore il cessate al fuoco in Libano – le milizie islamiste erano uscite dalla “sacca” di Idlib conquistando Aleppo.

Approfittando della situazione creatasi, Israele ha consolidato ed esteso alla zona de-militarizzata la propria occupazione delle alture del Golan, ed avviato dei bombardamenti a tappeto sulle infrastrutture militari siriane. Dal monte Hermón, situato a circa 40 Km da Damasco, Israele controlla il valico di frontiera di Masnna, il Sud del Libano e la valle della Beqa.

57 giorni di conflitto in Libano hanno provocato la morte di più di 3700 libanesi ed il ferimento di circa 15000 abitanti del Paese dei Cedri, con ben più di un milione di persone costrette a lasciare “temporaneamente” le proprie abitazioni, ed una distesa di macerie nuovamente provocate da Israele, dalle 3 alle 4 volte maggiori del conflitto del 2006, che entro due mesi (dal 27 novembre) si era impegnata a lasciare il sud del Paese permettendo un ridispiegamento delle truppe dell’ONU e dell’Esercito libanese.

Un ritiro che però non è stato compiuto nei tempi previsti e che non ha permesso a circa 100 mila libanesi di tornare nei propri villaggi distrutti nella zona meridionale del Paese, oltre a provocare nuovi morti e feriti a gennaio con l’IDF che il 26 ha sparato sulla folla di persone desiderose di tornare nei luoghi che abitavano.

Una cessate il fuoco quindi che non è coinciso con il ritiro delle truppe israeliane dal Sud del Libano e dal rientro dei profughi nei propri villaggi nella parte meridionale del paese. Non solo: a fine febbraio, l’IDF non ha completato il ritiro già posticipato al 18 febbraio, ma ha espressamente dichiarato di voler mantenere 5 posizioni sul confine di fatto creando una “zona cuscinetto” tra i due Stati.

Si è trattato dell’aggressione più lunga e sanguinosa di Israele dal 2006, avvenuta nella cosiddetta guerra dei 34 giorni, allora “conclusasi” con la risoluzione 1701 dell’11 agosto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu – mai definitivamente implementata – che è servita da riferimento per il recente cessate il fuoco patrocinato dall’amministrazione statunitense uscente.

Dalla cella della sua prigione, Abdallah, vedeva nuovamente il suo paese invaso e bombardato dagli Israeliani, con la piena complicità delle cancellerie occidentali – come era avvenuto costantemente da sessant’anni a questa parte – che non hanno intrapreso nessuna assertiva azione diplomatica, anche quando venivano presi di mira da parte di Israele i “caschi blu” dell’ONU della missione d’interposizione UNIFIL creata nel 1978.

Dalla carcere Addallah ha visto la perpetrazione del genocidio palestinese a Gaza temporaneamente “sospeso” dalla prima parte di un precario cessate il fuoco iniziato il 19 gennaio, con Israele che contestualmente ha iniziato con l’operazione militare “Muro di Ferro” in Cisgiordania il più massiccio intervento dalla fine della Seconda Intifada (2000-2005) con circa 40 mila persone espulse dalle proprie abitazioni, di cui 15 mila solo dal campo profughi di Jenin.

40 anni di reclusione

Alcune settimane dopo l’intervista citata su Le Monde, nel mentre il “Medio Oriente” precipitava sempre più in una guerra regionale che ha in Israele il maggiore vettore del conflitto, il 25 ottobre 2024 la lunghezza della sua prigionia, raggiunge i 40 anni.

La sua detenzione è iniziata a Lione, nel 1984, quando pedinato dall’intelligence francese crede di essere seguito da un commando israeliano che vuole ucciderlo in un momento in cui gli assassini extragiudiziali dei rappresentanti politici palestinesi – cioè vere e proprie esecuzioni mirate restate fino ad ora impunite – erano pratica comune sul suolo europeo, purtroppo anche in Italia.

Il suo pedinamento, era dovuto allo sviluppo delle indagini iniziate con la segnalazione in seguito all’arresto a Trieste – da parte della dogana italiana – di un uomo che aveva nella propria valigia 6 chilogrammi di esplosivo.

La collaborazione italo-jugoslava portò all’identificazione di una donna, Ferial Daher, che sarebbe stata in contatto con l’uomo, e che in Francia risulta avere un doppio domicilio, uno a Parigi ed uno a Lione.

A Lione, la DST (Direction de la Surveillance du Territoire) – i servizi segreti interni – scoprono che l’appartamento è abitato da un uomo che cominciano a pedinare.

Convinto di essere seguito dal Mossad, Abdallah si reca al commissariato di Lione e viene trovato in possesso di due passaporti, entrambi falsi, o meglio uno falso (maltese) e l’altro vero (algerino) ma con un nome falso.

Le FARL, un gruppo marxista-leninista libanese che lottava contro l’aggressione del proprio paese da parte di Israele e dei suoi complici occidentali, sono state attive durante la prima metà degli Anni Ottanta compiendo due omicidi e differenti tentativi d’assassini di personale di alto rango israeliano e statunitense.

Hanno ucciso a Parigi colpi d’arma da fuoco, l’attaché militare aggiunto dell’ambasciata statunitense in Francia, Charles R.Ray, il 18 gennaio del 1982, e qualche mese dopo, fuori dal proprio domicilio a Boulogne-Billancourt, il vice-segretario dell’ambasciata israeliana, Yacov Barsimantov.

A parte questi due omicidi mirati, le FARL avevano cercato di uccidere tra l’altro – il 12 novembre 1981 – Christian Adison Chapman – chargé d’affaires all’ambasciata degli Stati Uniti.

Per la cronaca, Chapman, era stato assistente dell’ambasciatore statunitense arrivato a Teheran da Beirut dopo il colpo di Stato orchestrato da USA e Gran Bretagna nel 1953 e successivamente anche in Indocina (Vietnam e Laos) prima e durante la guerra in Vietnam.

Il 23 aprile 1985, le FARL prendono in ostaggio Gilles Sidney Peyroles, direttore del centro culturale francese a Tripoli, figlio del famoso giornalista Gilles Perrault, ed amico del direttore dell’epoca della DST, Yves Bonnet, chiedendo la liberazione di Abdallah.

Grazie all’intervento dell’intelligence algerina che entra in contatto con le FARL su richiesta francese, e con il “semaforo verde” da parte dell’allora ministro degli interni francese, si decide di assecondare lo scambio di fronte all’ultimatum delle FARL che avevano minacciato di uccidere Peyroles se non fosse stato liberato Abdallah.

Ma se Peyroles viene liberato, Abdallah rimane detenuto, contrariamente all’impegno preso da parte del capo della DST, questo dopo il “miracoloso” ritrovamento dell’arma che sarebbe servita per l’uccisione dei due diplomatici in un appartamento parigino già perquisito in precedenza!

Condannato nel 1987 all’ergastolo per complicità in un duplice omicidio commesso in Francia ai danni di Charles R.Ray e Yacov Barsimantov in piena “Guerra del Libano”, il comunista libanese originario di un villaggio maronita nel nord del Paese dei Cedri ha passato più anni della sua vita di ultra-settantenne in carcere che fuori.

É il prigioniero politico che ha scontato più anni di carcere in Europa mentre la sua detenzione è la più lunga nella storia della politica francese, più estesa di quella di August Blanqui che ai tempi venne soprannominato appunto “il recluso”, Enfermé. Inoltre è la persona che ha scontato più anni per fatti relativi al conflitto arabo-israeliano: nessun palestinese tra i circa 9500 prigionieri stimati nell’ottobre del 2024 aveva passato nelle carceri israeliane più di 40 anni.

Sarebbe “scarcerabile” da circa 25 anni – dal 27 ottobre 1999 per la precisione – , ma per ben 11 volte – dal 2001 – le istanze di liberazione presentate dai suoi avvocati sono state rigettate, a seconda delle varie domande, in differenti gradi gradi di giudizio: prima istanza, in appello od in cassazione, oppure la sua liberazione impedita per un atto politico arbitrario del governo francese nonostante il giudizio favorevole della magistratura competente.

A fine marzo 2020 in piena pandemia Covid-19, la ministra della giustizia Nicole Belloubet ordina la liberazione di 13500 detenuti nei due mesi successivi, soprattutto di persone che hanno scontato l’essenziale della propria pena, una misura di cui teoricamente avrebbe potuto beneficiare Abdallah.

La sua esclusione trova, per così dire una giustificazione nelle dichiarazioni della Guardasigilli all’Assemblea nazionale – la camera bassa francese – l’8 aprile con cui precisa che la misura di scarcerazione non riguarda: “i criminali, le persone dei fatti violenti all’interno del nucleo familiare ed i detenuti terroristi”.

Abdallah ha negato di essere responsabile degli omicidi mirati per cui è stato condannato, rivendicando allo stesso tempo la legittimità di tali azioni di fronte alla corte, viene quindi considerato terrorista.

Rispetto ai fatti attribuitigli, nel processo del febbraio 1987, Adallah affermò: “Se il popolo non mi ha confidato l’onore di partecipare a queste azioni anti-imperialiste che voi mi attribuite, almeno ho l’onore di esserne accusato dalla vostra corte e di difendere la loro legittimità di fronte alla criminale legittimità degli aguzzini”.

Abdallah, anche se fosse veramente colpevole, “non ha commesso delle azioni terroriste nel senso in cui le si intende abitualmente” – scrive Pierre Carles su Le Monde Diplomatique dell’agosto 2020 – cioè attacchi indiscriminati tesi a terrorizzare la popolazione civile.

L’allora ministra della giustizia francese sembrava volere riproporre così l’ingiusta attribuzione alle FARL dell’ondata di attentati terroristici contro stazioni della metro RER, uffici postali e magazzini TAT avvenuti prima del suo secondo processo.

Una nuova istanza, la prima da 8 anni, è stata presentata nel 2024, forte del fatto che nel 2021 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stimato che le pene di reclusione a vita, con possibilità di liberazione condizionata solo dopo 40 anni d’incarcerazione, erano incompatibili con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Uno spiraglio che ha avuto una prima parziale conferma con una sentenza della Giustizia francese che a metà novembre ha accettato la sua liberazione a condizione che ritorni in Libano, questo in considerazione della sua età e della durata della sua detenzione: “sproporzionata a riguardo dei fatti commessi e della sua attuale pericolosità” secondo quanto riporta la stampa francese.

La corte d’appello ha espresso il suo giudizio il 20 febbraio del 2025 condizionando la sua liberazione all’indenizzazione delle vittime civili, questione che il prigioniero – detenuto da più di 40 anni min carcere – dovrebbe risolvere (secondo la corte) entro il 19 giugno.

Giustamente la legale di Abdallah, la signora Chalanset, l’ha definita una “meschinità giuridica” ed una forma di “tortura morale” nei confronti del proprio assistito.

Contro la sua liberazione, fino ad ora ha agito un combinato disposto che avuto come motore principale – ma non unico – la pressione statunitense che non ha mai cessato – anche recentemente scrivendo alla Corte d’appello di Parigi – di esercitare la sua ingerenza prima nel corso del suo giudizio con il processo conclusosi nel 1987 in cui si sono costituiti “parte civile”, e poi lungo la sua incarcerazione.

Un’ingerenza che ne ha impedito sempre la sua scarcerazione, facendo pressioni sul potere politico dimostratosi fino ad ora prono a Washington, quando si apriva una prospettiva di liberazione come nel 2013 od oggi.

Il primo processo, unicamente per il possesso di armi e “faux papiers”, oltre che per associazione criminale, si è concluso il luglio del 1986, con una condanna a 4 anni di reclusione, ed una reazione piuttosto stizzita dell’ambasciata nord-americana che si disse “sorpresa” per la “leggerezza” della pena. Un’ingerenza ai tempi ritenuto irricevibile dalle autorità francesi che di lì a poco cambieranno radicalmente atteggiamento.

La situazione, infatti, muterà ben presto a causa della precipitazione degli eventi sul suolo francese dovuti alla forte ostilità nelle relazioni franco-iraniane.

Il secondo processo per complicità in assassinio nel duplice omicidio, avviene nel febbraio dell’anno seguente in un clima di estrema tensione, in cui il ministro dell’interno Charles Pasqua ed il suo delegato alla sicurezza Robert Pandraud hanno ingiustamente attribuito alle FARL i 6 attentati che dal settembre del 1986 hanno insanguinato la Francia facendo una decina di morti e svariate centinaia di feriti.

Abdallah diviene il capro espiatorio per la volontà di Parigi di non ricercare i reali esecutori delle azioni terroristiche per cui verrà poi confermata la “pista iraniana” in un momento in cui si stavano tenendo difficili trattative sul contenzioso nucleare Eurodif con Teheran. L’Iran allora riservava un atteggiamento di aperta ostilità nei confronti dell’Esagono a causa del suo appoggio all’Iraq di Saddam Hussein nel conflitto che lo opponeva alla Repubblica Islamica (1980-1988).

In un clima in cui l’opinione pubblica – a causa del della narrazione tossica dei media compresa quella di Le Monde – era convinta che Abdallah fosse il nemico pubblico numero uno, o come scriveva il Nouvel Observateur, l’uomo che “fa tremare la Francia”, viene condannato all’ergastolo il 28 febbraio del 1987, a differenza della pena massima di 10 anni chiesta dal procuratore!

Che Abdallah venne condannato per “ragione di Stato” è un fatto considerato che il primo suo avvocato, Jean-Paul Mazurier, era in realtà un agente dei servizi segreti francesi, come lui stesso ha raccontato in un libro inchiesta uscito poco dopo il processo insieme ad un giornalista di Libération, oltre che per varie ammissioni ex-post ed a distanza di anni di persone chiave nel dossier Abdallah come ex magistrati ed ex esponenti dei servizi segreti.

Oltre a questo, ed anzi, forse prima di questo bisogna considerare che Abdallah ha inchiodato Francia, Stati Uniti ed Israele – e l’Occidente in genere – alle proprie responsabilità nella costante destabilizzazione esercitata nei confronti del Libano e nell’oppressione sionista del popolo palestinese.

George Ibrahim Abdallah: un combattente

Georges Ibrahim Abdallah è un comunista libanese, nato del Nord del Paese dei Cedri che ha dedicato la sua intera vita alla causa arabo-palestinese.

Insegnante, si installa nel campo profughi palestinese di Nahar El-Bared, nei pressi di Tripoli.

Aderisce al Fronte Popolare della Liberazione della Palestina formazione della sinistra rivoluzionaria arabo-palestinese e si reca poi al Sud del Libano dove nel 1978 sarà ferito nel corso della lotta contro il primo tentativo di occupazione sionista del Paese, a qualche anno dallo scoppio della cosiddetta Guerra Civile libanese.

La sua vita si intreccia con la lotta per la liberazione del popolo arabo contro il sionismo e contro le complicità occidentali con Israele, una battaglia condotta sia nel suo Paese dorigine che in Occidente.

Il 1982, è stato lanno dellInvasione israeliana del Libano con lOperazione Pace in Galilea che era già stata tentata infruttuosamente nel 1978 con lOperazione Litani. Un tentativo di aggressione che si ripeterà senza successo nel 2006, a pochi anni dal ritiro definitivodal Sud del Libano avvenuto nel 2000, e come abbiamo visto nell’autunno del 2024.

Ma il 1982 è stato anche lanno in cui la destra falangista libanese, con lappoggio israeliano, compì la strage nel campo profughi di Sabra e Chatila a Beirut, massacrando per tre giorni, a metà settembre, uomini, donne, anziani e bambini. Un massacro a lungo rimosso, simbolo di come lOccidente volti lo sguardo altrove quando i propri alleati commettono i peggiori crimini di guerra, esattamente come accade oggi per la Palestina.

Loccupazione sionista che, con il beneplacito degli Stati Uniti, fece 25 mila morti e quasi il doppio dei feriti tra il popolo libanese, era finalizzata allannientamento dellOrganizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e alla cattura o luccisione di Yasser Arafat, allora leader della resistenza palestinese.

Era una specie di punizione collettivaper un Paese in cui vivevano in differenti campi profughi i palestinesi cacciati da Israele nel 1948 e nel 1967 e dove una parte rilevante della popolazione e tutto il variegato fronte progressista aveva la colpa di solidarizzare con la Resistenza Palestinese, che dopo il Settembre Nero in Giordania, scelse il Libano come principale base d’appoggio per la sua lotta contro Israele.

Abdallah rifiuta di rilasciare qualsiasi dichiarazione di pentimento, premessa posta dallEsagono come concessione di una eventuale grazia da parte presidenziale. Durante tutti gli anni della sua carcerazione non ha mai rinnegato i suoi principi e il suo impegno contro limperialismo e al fianco dei popoli oppressi, in particolare verso il Popolo Palestinese, per il quale ha portato avanti diversi scioperi della fame in appoggio alle rivendicazioni dei prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

La biografia politica, le vicende giudiziarie e la campagna per la sua liberazione sono state recentemente raccontate nel documentario Fedayn. La Lotta di Georges Abdallah del collettivo Vacarme(s) realizzato nel 2021 e disponibile anche con i sottotitoli in italiano, e ancora più recentemente dalla graphic novel “Dans yes oubliettes de la Republique. Georges Ibrahim Abdallah” di Pierre Carles e Malo Kerfriden del 2024.

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