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Il paese puzza dalla testa

Ma se è vero che non si può generalizzare, è anche vero che il carattere predominante nel nostro paese è oggi quello del titolo. Siamo infatti tutti coscienti che la crisi attuale trova un paese disgregato, senza una organizzazione della classe, senza una soggettività politica e senza dignità. Lasciti, questi, cui ha contribuito ampiamente la nostra sinistra storica ormai evaporata.

Un lascito rilevante di quella storia è il presidente della Repubblica,  Giorgio Napolitano che, forte della sua rappresentatività – oggi è espressione sia del centrosinistra che del centrodestra – mostra la sua essenza guerrafondaia sulle vicende libiche facendo trasparire, dietro il suo perfetto aplomb da lord inglese, lo stesso spirito interventista e subalterno alla Nato che fu di D’Alema nell’aggressione alla Jugoslavia, nel ’99.

Se Napolitano rappresenta il lato “migliore” del paese, non c’è dubbio che l’altro presidente, Silvio Berlusconi, ne rappresenta il ventre e, di conseguenza, la crisi; risulta infatti totalmente incapace di tenere testa alle evoluzioni della situazione internazionale. L’incontro tra Sarkozy ed il presidente del consiglio ne è l’esempio più evidente. Di fatto è la certificazione formale della’nadeguatezza del nostro “sistema paese”. E’ stato accettato il punto di vista della Francia sull’aggressione alla Libia, è stata accettata la vendita della Parmalat, come quella futura dell’Alitalia (in cui Air France possiede già il 25%), come la subordinazione di Enel a Edf sul piano della energia. D’altra parte è stato favorito anche Marchionne nel suo progetto di portare la FIAT negli Stati Uniti. Infine, la moratoria sulle centrali nucleari è stata ufficialmente rivendicata come un trucco per evitare una sconfitta elettorale, riconoscendo “onestamente” l’imbroglio perpetrato alle spalle del popolo sovrano ma “schiavo dell’emotività”.

Nel valutare la disfatta dell’Italia nell’Unione Europea non bisogna però fare un errore di politicismo; cioè pensare che il responsabile della situazione attuale sia soltanto il centrodestra. La situazione è più complessa e va analizzata con attenzione. Si sta manifestando concretamente quella tendenza che avevamo definito, come Rete dei Comunisti, di crisi della nostra borghesia nazionale. Una crisi che non nasce principalmente dalla dimensione politica, ma da una idea sbagliata sullo sviluppo e sulla società italiana. Idea che hanno condiviso tutte le classi dirigenti di questo paese.

Le nazioni trainanti dell’Unione Europea, con modalità diverse, sono per riconoscimento unanime la Francia e la Germania. Paesi che hanno in comune una forte presenza dello Stato nell’economia e nel welfare. La strada scelta dal nostro paese è stata esattamente opposta, preferendo la deriva americana della privatizzazione, tradotta nello smantellamento dell’industria di Stato e delle banche pubbliche e nella fuoriuscita dello Stato dal “compromesso sociale”. Se si ha un po’ di memoria si può agevolmente ricordare che chi ha avviato e favorito questa prospettiva sono stati i governi di centrosinistra della fine degli anni ’90, quelli dell’ideologia veltroniana del “si può fare”. Ora il confronto/competizione, cha ha preso forza nella dimensione continentale europea, non può che essere condizionato dalla solidità delle economie dei singoli paesi; solidità da noi messa in crisi prima dal centrosinistra e poi incentivata dall’idiozia del “piccolo è bello” e dalla costitutiva corruttibilità del centrodestra.

Nella macina della Storia, la nostra borghesia stracciona manifesta con perversa monotonia la sua natura parassitaria. Che questa volta, però, non trova vie di fuga provvidenziali, come sembrava fosse il fascismo nella crisi successiva alla prima guerra mondiale. Perché la dimensione continentale della competizione sta producendo una gerarchizzazione delle diverse borghesie, dentro cui quella italiana non è certo quella che gode di migliore salute. Sembra se ne stia accorgendo anche il padano Bossi, il che è tutto dire.

Naturalmente qualcuno pagherà cara questa inettitudine delle nostre classi dirigenti e saranno purtroppo i “soliti noti”, ovvero il lavoro dipendente, i settori popolari e tutti coloro i quali non hanno voce in capitolo dentro un sistema che ha progressivamente tagliato ogni spazio democratico con uno spirito perfettamente bipartisan. Altrettanto naturalmente aspettiamo di vedere in opera quanti si apprestano a “salvare l’Italia dal berlusconismo” applicando di nuovo – lo si capisce dallo spirito interventista del PD nella vicenda libica e dall’ossequioso rispetto delle direttive europee – le stesse politiche che hanno generato quel mostro che dicono di voler battere.

A questa impresa dei “salvatori della patria” sembra voglia aggregarsi anche quella che fu la sinistra antagonista; certamente Sel con Vendola e parti di movimento, ma anche la Federazione della Sinistra che punta a ricostruire un “pacchetto” di parlamentari tramite l’alleanza. Di fronte a questa coazione a ripetere e alla tendenza ad una suicida disgregazione di se stessi, pensiamo che l’unico antidoto è quello della costruzione di una vera e organica indipendenza politica “senza se e senza ma”.

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