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Una morte simbolica

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Lucio Magri ha deciso di finire la sua vita. Lo ha fatto organizzando la fine in ogni dettaglio, in modo da rendere il meno spettacolare possibile il gesto. Inevitabilmente è avvenuto il contrario.

Non abbiamo molto da aggiungere a quanto detto in tanti altri casi: la libertà di decidere almeno su di sé è il minimo che si possa pretendere da una cultura laica. Farlo sobriamente e con dignità dovrebbe bastare a imporre il silenzio a chiunque osi affacciarsi su una decisione così ultima per dare giudizi.

Giù il cappello, dunque, davanti a Lucio Magri.

Qualcosa da dire invece c’è sui suoi compagni di vita, di politica e di giornalismo. Siamo rimasti basiti, come lettori attenti de “Il Manifesto”, nell’apprendere la notizia da… Repubblica.

Come ricorda Valentino Parlato nell’editoriale di stamattina, tutti loro “vecchi fondatori” sapevano, ne avevano parlato con lui, avevano provato a dissuaderlo. Lo hanno giustamente e onorevolmente accompagnato fino all’ultimo minuto, come si deve fare tra compagni di una vita, tra militanti, tra amici.

Valentino e Luciana Castellina hanno atteso la notizia in casa di Lucio Magri, a Roma. Con loro una cronista di Repubblica, cui evidentemente era stata concessa una super-esclusiva. Si può dire che in quella casa “il Manifesto” dunque c’era. Ma non c’era il giornale che anche Magri aveva fondato. Che infatti ha dato la notizia in prima pagina ma in breve, come un’ultim’ora giunta a rotative ormai in moto. Mentre nelle edicole e online Repubblica impazzava sul “fallimento politico del comunismo” e sulla presa d’atto di questo fallimento che anche questa morte così severa e austera, in fondo, rappresentava. Secondo Repubblica, ovviamente.

Stiamo anche noi alla lezione di Pintor: un giornale è un partito politico. La scelta di tener fuori il manifesto dalla morte di uno dei suoi fondatori è grave. Ma anche indicativa.

Se fosse stato previsto il silenzio avremmo potuto capirlo. La presenza della cronista Simonetta Fiori ci dice che non è così. E’ una scelta di diversa, anzi opposta. Quella di far dare la notizia a un giornale “grande”, anziché a uno “piccolo” come il manifesto. Una scelta comprensibile per qualunque gruppo industriale, sociale o politico – noi di Contropiano siamo un giornale giovane, ma cronisti non di primo pelo – che non abbia un giornale proprio.

Ma il manifesto esiste, per quanto in perenne difficoltà…

Dunque: perché?

Abbiamo letto i vari pezzi sul giornale di oggi, e non vi abbiamo trovato una spiegazione. Ci resta insomma la sgradevole sensazione che anche nel momento più alto e più serio di una vita il gruppo ristretto dei “grandi vecchi” fondatori de il manifesto abbia ragionato come un segmento particolare dell’élite italiana: quella che non crede sul serio in se stessa. E che perciò si affida ai “media veri”, così come un tempo si affidava al “grande padre” Pci anche dopo esser stata espulsa.

Un atteggiamento culturale che ha pervaso tutta la sinistra negli ultimi 40 anni, inchiodandola all’impotenza pratica e allo spreco di talenti, intelligenze, risorse. Un sentimento espresso solo a tratti, ma pervasivo e diffuso come un virus paralizzante.

Un vizio triste, di grande potenza simbolica. E da evitare come la peste.

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2 Commenti


  • giovanni

    sensazione che anche nel momento più alto e più serio di una vita il gruppo ristretto dei “grandi vecchi” fondatori de il manifesto abbia ragionato come un segmento particolare dell’élite italiana: quella che non crede sul serio in se stessa. E che perciò si affida ai “media veri”

    può anche darsi che ne abbiano parlato su Repubblica per dare il massimo risalto possibile alla notizia (e quindi al dibattito sull’eutanasia): non a caso ieri sul Corriere online è stata la seconda notizia più letta del giorno, e dubito che il 99% dei lettori del Corriere sapesse chi è Magri….


  • giancarlo

    Riflettere sull’abdicazione del proprio ruolo e sulla subalternità alla cultura dominante, questo è il vero senso del fallimento di un’area di cui Magri era parte e smbolo. Il comunismo può e deve ripartire solo lottando contro l’egemonia borghese. Il “partito di Repubblica” è una forte componente di tale egemonia sulla “sinistra” italiana.

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