Nel suo editoriale di oggi, sul non proprio secondario Corriere della sera, prende atto di un avvenuto cambiamento nella forma di governo e indica la via per renderlo irreversibile. Una sortita che coivolge contemporaneamente il piano istituzionale (e costituzionale), la cultura politica in questo paese e i rapporti tra società e politica. Insomma, i fondamentali.
Il cuore del suo ragionamento è “l’emergenza”, come si conviene per ogni invocazione tecnocratica e un tantinello golpista. Il riconoscimento al governo Monti-Napolitano – direttamente chiamato in causa come coautore della “svolta”, canalizzatore abile del disperato bisogno popolare di una figura carismatica – è per aver inaugurato “un modo nuovo di governare”, che elimina “le snervanti trattative, le infinite mediazioni, le mezze misure”.
È assolutamente vero. I “corpi intemedi” tra la società e il potere statuale sono stati bypassati con il loro stesso consenso, sotto la pressione dell’”emergenza” rappresentata dallo spread. Decenni di poteri e diritti hanno cominciato a essere travolti – siamo solo agli inizi – senza incontrare in fondo molta resistenza. Poteri in gran parte intollerabili (le lobby di interessi marginali come tassisti e farmacisti, le posizioni di rendita a partire dallo strapotere di quella immobiliare, le amministrazioni locali – e centrali – colluse con la malavita organizzata), certo. Ma anche diritti assolutamente fondanti una democrazia all’altezza del nome; da una pensione, un’istruzione e un welfare decenti, a un mercato del lavoro in cui quest’ultimo non sia soltanto “merce”, ma soggetto attivo. L’esempio peggiore viene dal ministro dell’interno, Anna Maria Cancellieri, che equipara come “perturbazioni dell’ordine pubblico” la rapina di Torpignattara e gli scioperi per Fincantieri, il killer fascista di Firenze e le manifestazioni No Tav. Delitto e diritto, stesso problema?
Una caratteristica tutta propria del governo Monti-Napolitano è dunque proprio la “cultura tecnocratica”, che si traduce in un truce tentativo di spazzar via insieme gli uni e gli altri, le pretese degli “intermediatori d’affari” e le conquiste dei lavoratori. Trattandoli come se fossero la stessa cosa, “rendite”, privilegi” e via inanellando falsi ideologici e castronerie fattuali.
Ma tutto questo a Galli Della Loggia non basta. Avverte la fragilità istituzionale e politica – di legittimazione, dunque – di un governo piovuto dai cieli di Francoforte e Bruxelles. E chiede di rendere strutturale questo “golpe gentile”, costituzionalizzandolo. O almeno rafforzando la cornice istituzionale e procedurale che può consentire, una volta scaduto il mandato, di perpetuare quel “modo di governare” che sceglie la classe dirigente dall’alto e non più tramite l’incerta selezione elettorale. Insomma, di “mostrare capacità di decisione, prontezza, non lasciare marcire i problemi, scegliere donne e uomini nuovi”.
Ma come si fa a costituzionalizzare il “governo d’eccezione”? Sono lontani i tempi di Carl Schmitt e del nazionalismo fascista, ma il problema si ripropone. Senza che peraltro si intraveda più un Hans Kelsen, un “cultore delle regole astratte” degne di una democrazia “nei limiti della sola ragione”.
Galli Della Loggia è più terra-terra. Visto che i partiti si sono così graziosamente disposti a farsi da parte nella gestione dell’emergenza, perché non chiedere loro l’ultimo sforzo prima di scomparire? Mettano mano, dunque, a “le regole che presiedono alla formazione e al funzionamento del governo […] la legge elettorale da un lato e dall’altro le prerogative dell’esecutivo e del suo capo, cioè gli articoli della Costituzione che regolano tale materia”.
Un governo “forte” (anche se torna utile affiancargli ancora l’aggettivo “democratico”), che “va dritto allo scopo”. Inutile chiedere ai golpisti chi decida di quale sia “lo scopo” giusto. È un riassetto di modello sociale e di poteri, mica un pranzo di gala… La “coesione sociale” che ci viene chiesto di rispettare è quella che ci consegna un remo da spingere a tempo, nulla di più.
È un progetto ambizioso, ma con un tallone d’Achille davvero grande: il tempo. Per ora sfrutta al meglio un consenso popolare dovuto al sollievo anti-berlusconiano. Ma, con quel programma di “riforme” sanguinolente, non può durare molto. Si vede già dalla forte riduzione della popolarità di Napolitano, passato dal ruolo di “garante della Costituzione” a suo picconatore finale.
Alla mobilitazione sociale e politica spetta quindi il compito di dar battaglia sulle misure concrete. Non tanto per “vincere subito”, quanto per frenare questo impeto golpista, deviarne il corso e il calendario. Fino a farlo deragliare.
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