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Prof. Monti, non sia monotono


La tentazione di «volgarizzare» il linguaggio, per farsi capire anche dai non addetti ai lavori, è una costante. Persino giusta, perché è necessario «farsi capire». Certo, bisogna sempre vedere se – passando a un linguaggio più «terra terra» – non si smarrisca il significato originario. O, peggio, se non si trasformi un fatto, o una linea di intervento, in pure parole suadenti.

Mario Monti ha fatto un doppio salto in poco più di due mesi. Da presidente europeo della Trilateral Commission (oltre che dell’università Bocconi, international advisor per Goldman Sachs e Coca Cola, membro del direttivo del Bilderberg Group, ecc) è diventato senatore a vita e 24 ore dopo presidente del consiglio italiano. Insomma, da uomo che viveva in corridoi, aule e sale appartate, a protagonista mediatico per obbligo istituzionale.

Il passaggio lo obbligava a cercare un linguaggio più «comunicativo», senza dubbio. Ma non era affatto obbligatorio che si trasformasse in un ideologo a tutto tondo. Per di più di infimo livello.

Prendiamo – siamo obbligati a nostra volta – le dichiarazioni fatte a Matrix (Canale 5, tempio berlusconiano che evidentemente facilita comportamenti disinvolti, se non addirittura truffaldini).

«L’idea di un posto fisso per tutta la vita? Che monotonia!».

Perfetto. Proviamo una traduzione? «Vi licenzieremo per non farvi annoiare troppo». Perché da un premier è scontato sentirsi dire che «lo facciamo per il vostro bene».

Soltanto che qui il prof. Monti si lascia andare a una sintesi di falsi ideologici davvero imbarazzante, per uno studioso del suo livello. Il mito del «posto fisso» non è stata un’invenzione del movimento operaio, ma del normale modo di operare dell’industria nel ‘900. Nel «pubblico» le cose sono andate più o meno nello stesso modo, anche se è più ovvio che determinate «professionalità» tipiche del funzionario dello stato (e giù per li rami fino all’ultimo impiegato circoscrizionale) siano strettamente legate a un lavoro che dura tutta la vita.

Avere un lavoro «sicuro» è forse noioso, ma consente di vivere pianificando la propria vita. Il sistema bancario e assicurativo si è sviluppato in modo enorme pretendendo che la propria clientela fosse «sicura», ovvero dotata di un lavoro con contratto a tempo determinato e col licenziamento non troppo facile, altrimenti come si fa a concedere un mutuo o accendere una polizza? Possibile che un professore che è stato anche ai vertici del settore finanziario della Fiat non lo sappia? Lo sa, certo che lo sa…

Quindi perché questa sortita, che sarebbe stata più adatta a uno studente poco brillante di un altro prof. poco simpatico come Toni Negri?

Immaginiamo il consulente della comunicazione nello staff montiano: «dobbiamo rendere attraente la mobilità da un lavoro all’altro, trasformare il licenziamento in un fatto positivo, in una opportunità…». Zot, il dio dell’intuizione a quel punto fulmina il cervello del consulente e gli fa tirar fuori quella parola magica tanto cercata: «che monotonia..».

Già oggi, e per tutto il dopoguerra, ma anche prima e addirittura nell’800, ogni lavoratore dipendente ha sempre goduto della facoltà di cambiare lavoro quando era stufo o trovava un’opportunità migliore. Si licenziava e faceva quel che voleva. Una scelta. Una libertà.

Venir licenziati è invece esattamente l’opposto: un’imposizione, un imprigionamento nel bisogno, nella mancanza di reddito e opportunità.

Un po’ come fare sesso oppure prostituirsi. Nel primo caso ci si diverte anche molto, nel secondo probabilmente neanche un po’. Anzi, “che monotonia”…

Monti sa meglio di chiunque altro che la migrazione «libera» da un lavoro all’altro è prerogativa dei livelli apicali delle libere professioni. Un mediocre avvocato è costretto a cercarsi i clienti, uno eccellente li seleziona tra la massa che lo cercano. Il primo fa una vita monotona, il secondo molto meno. Vale naturalmente anche per i consiglieri di amministrazione, ecc.

Nel lavoro dipendente – specie nel contesto di crisi – la «certezza» del posto è già minata dalla possibilità di chiusura o ristrutturazione aziendale. Passati i 40 anni, una nuova assunzione diventa un sogno. E, se il prof. Monti ci consente, anche la disoccupazione, in fondo, è davvero molto monotona…

Ma il consulente mediatico del prof. era consapevole di dover dare anche un’impressione liberal, un tocco di democraticismo a buon mercato, necessario per mantenere agganciati tutti quei «sinceri democratici» che cominciano a soffrire le conseguenze delle misure decise da questo governo piovuto dai cieli di Bruxelles.

Nuovo zot, nuova fulminazione. «Descriviamo la precarietà com un apartheid, quelli di sinistra si commuoveranno pensando a Mandela e tutti quei ‘negri’ che soffrivano, quindi ci proponiamo noi come liberatori…». Qui lo sforzo di mistificazione, ammettiamolo, era veramente arduo. E la frase scelta alla fine appare in ogni caso molto appiccicata con lo sputo (ci si scusi l’espressione popolar-romanesca, ma anche noi cerchiamo di adeguarci alle esigenze della comunicazione «moderna»).

«Ridurre il terribile apartheid che esiste nel mercato del lavoro tra chi è già dentro e chi fa fatica a entrare o entra in condizioni precarie».

È nota la competenza economico-matematica del prof. Monti. «Parificare» è un obiettivo che si può realizzare in molti modi. Elevando la condizione di chi sta in basso, oppure abbassando la condizione di chi sta sopra. Siamo in tempi di crisi, dicevamo: le proposte da azzeccagarbugli sull’art. 18, fatte in queste ore dal governo, chiariscono che è questa la soluzione preferita.

Prof. Monti, ci faccia un piacere: licenzi quel consulente e se ne torni al Bilderberg o a Goldman Sachs.

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