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La biforcuta lingua di Monti

Siamo sicuri che in molti saranno rimasti stupefatti, indignati e magari pure un po’ incazzati leggendo le dichiarazioni rilasciate lunedi dal premier Mario Monti in Asia, nei dieci minuti in cui si è rivolto ad una platea di investitori, finanzieri, alti dirigenti politici dell’establishment. Nei suoi discorsi in Italia – nei talk show televisivi o in varie conferenze pubbliche – Monti ha sempre parlato un linguaggio molto diverso. Ci ha parlato della maledizione dello spread sui titoli del debito pubblico, del mercato del lavoro ingessato che ostacolerebbe gli investimenti e la crescita, della recessione che ipoteca le prospettive del paese. Solo due giorni fa il ministro per lo Sviluppo Economico Corrado Passera, aveva annunciato con studiata mestizia al paese che la recessione sarebbe durata per tutto il 2012. Ma appena 48 ore dopo le esternazioni del ministro, il presidente del Consiglio Mario Monti, di ritorno dal tour asiatico, annuncia che “la crisi è superata, l’Italia è solida”. Cioè che l’Italia ha cambiato ritmo e che il peggio è passato.

Delle due l’una: o il governo soffre di schizofrenia con valutazioni diametralmente opposte sullo stato di salute del paese oppure si conferma la natura di classe del governo Monti, una natura che prevede storicamente una doppia verità, una per i suoi simili e una per gli umili. Lo stesso Gramsci ricordava come la Chiesa Cattolica utilizzasse la teologia per i ricchi e la dottrina per i poveri. Ai primi la verità come risultato di elaborazioni sofisticate e dotte, ai secondi la verità rivelata da accettare senza discutere.

Ma questa doppiezza del governo non è priva di conseguenze. Ce ne sono di sicuro e pesantissime sul piano sociale. Basta mettere in fila i provvedimenti presi e quelli in cantiere per misurare a ettolitri le lacrime e il sangue già versato, o da versare per un lungo tempo, per lavoratori, disoccupati e pensionati. Ma ce ne sono anche sul piano democratico. Le doppie verità di Monti e dei suoi ministri, le loro battute ufficiali o off the records sono una rivelazione del carattere anticostituzionale e antidemocratico dell’esecutivo al potere. Solo Napolitano può continuare a far finta di niente e a tirare la volata ai diktat del governo o, come ci conferma oggi La Stampa, dell’Unione Europea. Monti non fa mistero di sentirsi investito di una missione fuori dalle regole.

In una intervista alla edizione online del giornale tedesco Welt am Sonntag il 24 gennaio scorso, il premier Monti affermava: “Al momento in Italia c’è una sorta di grande coalizione – non dovrei dirlo in realtà, non lo si sente dire volentieri in Italia. In Italia ci sono tre partiti e gruppi politici rilevanti, che si combattono molto aspramente. Non si parlano neanche. Ma tutti e tre sostengono le misure impopolari che ha deciso il mio governo. Questo è quasi un miracolo! (…) Nessun membro del governo, me compreso, si è candidato per un mandato, nessuno di noi è stato eletto. E allo stesso tempo abbiamo un sostegno largo quanto nessun governo prima di noi. Eppure nessuno dei partiti presenti in parlamento può dire che questo governo persegua i suoi obiettivi specifici. E infine le assicuro che mai e poi mai sarei stato disposto a entrare in un governo che non fosse strano”.
Ovvero: non sarei mai entrato in un governo democratico, responsabile delle sue azioni e sanzionabile dagli elettori. Il “piccolo dittatore” inviato da Bruxelles sta perdendo il controllo del linguaggio.

Se gli opinion maker continuano a ripetere che questo governo e il suo premier godono del consenso del paese, i fatti cominciano a indicare almeno due cose molto interessanti:

a) E’ una tesi tutta da dimostrare e i risultati contraddittori degli stessi sondaggi confermano che tale consenso è solo una forzatura tripartizan niente affatto immutabile. I peana di Alfano, Bersani, Casini potrebbero non bastare più a tenere in piedi tutta l’operazione.

b) C’è un pezzo crescente della società che non accetta più i diktat della trojka Bruxelles-Quirinale-Monti né il doppio e pericoloso linguaggio del governo.

La manifestazione nazionale di Milano, sabato scorso, è stata non solo molto partecipata dai soggetti sociali che dovevano esserci (lavoratori, precari e settori popolari), ma ha anche scritto sul selciato di Piazza Affari la propria netta opposizione al governo Monti-Napolitano e ai diktat dell’Unione Europea, e non solo sull’art.18. Per molti aspetti la manifestazione di Milano è stata costituente di una interessante coalizione politico-sociale e di una diversa e antagonista via d’uscita dalla crisi economica che il capitale finanziario sta utilizzando come una clava contro gli interessi popolari.

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