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La logica dell’esproprio

Naturalmente l’ha fatto, per apparente paradosso, proprio per evitare che la crisi bancaria di un piccolissimo paese si potesse concludere con la sua uscita dall’eurozona. Determinando così una crepa nell’edificio continentale e un precedente.

Non evocheremo il fantasma di Mao quando sentenziava che “i reazionari sono degli stupidi, sollevano le pietre sopra la testa per poi lasciarsele cadere sui piedi”. Ma la tentazione è forte.

I reazionari che guidano l’Eurogruppo – Schaeuble e la Bundesbank, validamente supportati dal giovane e disinvolto collega olandese Jeroen Dijsselbloem – hanno infranto un limite fin qui invalicabile: l’esproprio di capitali privati per operazioni economico-politiche.

Naturalmente dei comunisti non ci trovano nulla di scandaloso. Ogni rivoluzione fa questo, in fondo; accompagnando questa scelta con il rifiuto di pagare il debito estero.

Ma qui non c’è nessuna rivoluzione in corso. Anzi, l’esproprio serve a irrobustire i capitali privati più forti a scapito di quelli meno rilevanti. Eppure un tabù capitalistico è stato infranto. Con leggerezza, protervia, imprudenza. L’articolo con cui IlSole24Ore saluta e critica l’iniziativa è denso di informazioni sulle conseguenze. Che di fatto si riducono a una: fine della “fiducia” nel fatto che la proprietà privata – mobiliare, intanto, ossia finanziaria – sia intangibile.

Un’economia di mercato non potrebbe subire un colpo più duro. Se un soggetto economico di qualsiasi entità può venire espropriato in qualsiasi momento per “ragioni superiori” – senza che ci sia nemmeno una guerra in corso (o sì?) – si interrompe quella libera circolazione di capitali in cerca della migliore allocazione. Si blocca la base stessa del normale “essere” del capitale.

In particolare, questa decisione indica “ai mercati” che le banche dei paesi deboli dell’eurozona sono un rifugio troppo incerto, nell’attuale tempesta. I “porti” migliori sono quelli dei paesi forti, è lì che i soldi in cerca di sicurezza devono andare.

Se questo fosse un fenomeno “naturale”, se questi spostamenti di capitali dal Sud al Nord avvenissero per il normale gioco dei “ritorni attesi”, ci sarebbe un problema da affrontare. Troppi squilibri rendono un’area politica e monetario più difficile da gestire.

Ma se questo accade per “decisione politica” – e l’Eurogruppo è, nonostante gli idioti che lo compongono, un’istituzione politica sovranazionale – allora l’Unione Europea non ha più senso. O meglio, non lo ha per i paesi deboli. Entrati nell’eurozona per accedere finalmente ai livelli di benessere, regolazione e civiltà di un continente ricco, si vedono infatti ridotti al ruolo di donatori di sangue (finanziario, certo, molto più importante di quello vero) a vantaggio di quelli “forti”.

La crisi della Ue ha insomma fatto un passo avanti, forse irreversibile. Perché ha reso plasticamente evidente che non c’entrano nulla i livelli della spesa pubblica di ciascun paese, “i vizi” di questo o quel sistema politico, i “difetti caratteriali” di questo o quel popolo. L’Unione disegnata a Maastricht e inchiavardata dai patti di stabilità più recenti (fiscal compact, six pack, two pack, ecc) ha come unica funzione quella di concentrare la ricchezza finanziaria e la potenza industriale in quei paesi che già ce l’hanno. È un disegno idiota, naturalmente, perché i più grandi “clienti” per la produzione tedesca o finlandese sono proprio i paesi che si è deciso di dissanguare. Quindi il boomerang non tarderà ad invertire la rotta (e già la Germania comincia ad accorgersene, ma stupidamente reagisce accentuando la “stretta” sui suoi contoterzisti). Ma così è.

Il precedente è stato stabilito, il Rubicone è stato passato. Espropriare si può. Il fine è “soggettivo”, non “scientifico”. Se si può farlo per “ristrutturare le banche”, si può farlo anche per “ridisegnare un paese” (o un continente, o una sua parte) e i suoi equilibri sociali. Certo, l’euro è ancora un limite. Ma se la Germania sta preparando un “piano B” per agire anche in uno scenario dove la moneta unica non c’è più, non si capisce proprio perché l’insieme dei paesi che ne stanno soffrendo le peggiori conseguenze non possano fare altrettanto, e in direzione opposta.

Sta a noi agire per rovesciare il segno. Ma un incantesimo si è rotto.

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Il piano per Cipro? Un assist alla fuga dalle banche dei Paesi a rischio (a favore di quelle tedesche)

di Fabio Pavesi
I conti da pagare alla crisi di Nicosia saranno almeno due. C’è quello immediato che finirà per pesare – dopo aver alzato l’asticella del sacrificio sopra i 100mila euro – su qualche ricco oligarca russo e su qualche benestante commerciante locale. E c’è un conto occulto assai più salato e gravoso che rischia di avere effetti più dirompenti.

Ed è il conto della fiducia. Quella fiducia che va ad evaporare grazie alla avventata cura della Trojka, che, come nel caso della Grecia, finisce per far ricadere sui creditori privati il prezzo del presunto salvataggio. Se si toccano i conti correnti dentro le banche e questa diventa una delle vie dei possibili salvataggi futuri dei Paesi, allora si ottiene un gigantesco effetto collaterale. Che è quello della fuga dei depositi dalle banche dei paesi considerati a rischio. E non c’è peggior male per una banca che veder erodere la sua base di disponibilità finanziaria. Ci si avvita e si fallisce in un battibaleno.

In fondo è un copione già terribilmente visto e che purtroppo non ha insegnato nulla alle autorità politiche europee. Come non ricordare che dalle banche greche sono fuggiti man mano che la crisi si manifestava capitali per almeno 70 miliardi. Come non ricordare l’emorragia dai conti correnti delle banche di Madrid che hanno visto defluire oltre 60 miliardi in pochi mesi. E senza andare troppo lontano come non ricordare che anche dall’Italia nel pieno della crisi tra il 2011 e l’estate del 2012 decine di miliardi di depositanti stranieri hanno preso la via di casa. Il problema è che quei soldi una volta usciti da un sistema bancario di un paese fragile non tornano più. Una prova? Tuttora, secondo i dati dell’Abi, mancano all’appello nelle casse delle banche italiane almeno 40 miliardi di depositanti esteri. Per fortuna, per le nostre banche, ha tenuto la fiducia dei risparmiatori italiani che hanno più che compensato l’abbandono degli sportelli da parte della clientela straniera.

È questa in estrema sintesi quella che i tecnici chiamano la balcanizzazione del sistema bancario, una frammentazione pericolosa che porta le banche del Sud Europa a veder impoverite le proprie casse a favore delle banche del Nord Europa, Germania in testa. Già perchè quei capitali escono dagli istituti dei paesi a rischio per andare a gonfiare gli attivi delle banche del Nord. Quel fenomeno gigantesco che, come ha mostrato l’Fmi, ha visto uscire da Italia e Spagna nell’acme della crisi la bellezza di quasi 500 miliardi di euro, si è ora ridimensionato. Grazie alle manovre di Draghi e alla decisione della Bce di predisporre la rete di sicurezza dell’Omt, gli acqusiti di bond di paesi in crisi dal parte di Francoforte. Ma se l’emorragia si è arrestata, il dramma è che la divaricazione tra Nord e Sud Europa è ormai un fenomeno strutturale. Basta vedere le posizioni nette tra creditori e debitori all’interno dell’eurozona che vedono la periferia dell’eurozona debitrice per 820 miliardi e la Germania in saldo attivo per 620 miliardi.

Una situazione che finisce per avere un effetto collaterale pesante. I capitali usciti dalle banche dei paesi fragili alimentano i depositi delle banche tedesche, finlandesi, olandesi che possono permettersi una potente leva sui prestiti a tassi tra l’altro bassissimi. Ciò finanzia l’economia reale di quei paesi. Al contrario la penuria di depositi esteri sulle banche italiane e spagnole le costringe ad abbassare i prestiti a imprese e famiglie strozzando la già fragile congiuntura economica della periferia dell’eurozona. I dati sui prestiti sono infatti inequivocabili. In Italia il calo è stato, solo nel 2012, del 3%; in Grecia del 7%; in Spagna del 4%, mentre in Olanda la crescita dei prestiti è stata del 6% e in Germania del 3%. E così ci si ritrova con un’Europa delle banche spezzata in due. Floride, anche grazie all’apporto dei depositanti in fuga prima da Grecia e Spagna e domani da Cipro, nei paesi de Nord e fiaccate nei paesi dell’eurozona.

Se non si ricompone la balcanizzazione del sistema bancario, la stessa tenuta dell’euro è a rischio e la cura per Cipro non è certo la medicina più adeguata. Al contrario. Crea le premesse per una ulteriore frammentazione dei sistemi del credito. Eccolo l’autogol dell’Europa a Cipro.

da IlSole24Ore

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3 Commenti


  • MaxVinella

    Mi chiedo : che cosa succederà allora quando i capitali saranno tutti concentrati nelle banche nei paesi cosidetti forti ??

    Forse li utilizzeranno per giocare a “Monopoli” tra di loro perchè avranno distrutto le economie di tutti gli altri paesi ed i loro capitali saranno diventati carta straccia, non potendo più trovare impieghi altrove.

    Probabilmente aveva ragione proprio Mao !!!!!


  • Giovanni

    Cipro è solo l’ inizio. Hanno portato a termine un esperimento che il dottor sottile Amato, aveva iniziato le 1992. Con Cipro hanno aperto un novo ciclo di esproprio, che vedrà nel prossimo futuro un declino sempre più veloce verso la distruzione dei popoli di ceto medio basso!


  • Gianni

    è il comunismo reale,belezza

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