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Albano medaglia d’oro

Ieri nella cittadina romana a pochi chilometri da Roma è successo qualcosa di molto importante, e di non scontato. 

Sono bastati pochi minuti dalla diffusione della notizia che i funerali del capitano nazista si sarebbero svolti ad Albano che centinaia di persone sono scese in piazza animate da un genuino sentimento di rabbia e indignazione. La città insignita della medaglia d’argento al valore della Resistenza si è immediatamente riempita non solo di attivisti antifascisti ma anche di tanta gente che non ha accettato passivamente l’affronto e la provocazione di un funerale che stava per trasformarsi in un rito di celebrazione del nazismo.
La rete di solidarietà più o meno coperta nei confronti del criminale di guerra ha ottenuto la complicità della parte più reazionaria della Chiesa cattolica, e i lefebvriani hanno pensato che un funerale con scarso preavviso e in un piccolo comune avrebbe loro permesso di celebrare i fasti del nazionalsocialismo senza particolari problemi. Complice il Prefetto di Roma Pecoraro che senza ascoltare o consultare nessuno – tranne evidentemente i propri superiori nel governo Letta – aveva accordato i permessi necessari, poi revocati quando Albano era già diventata un campo di battaglia.

Ma la città non è rimasta in silenzio, non ha accettato supinamente l’affronto e non ha permesso che per l’ennesima volta la memoria delle migliaia di vittime di Priebke e dei suoi camerati venisse oltraggiata. Per di più alla vigilia dell’anniversario del rastrellamento nazifascista del ghetto di Roma e in una città dove la Resistenza è stata assai attiva.
E’ stato un risultato importante, che ha dimostrato che l’antifascismo non è un affare di pochi ‘fissati’, è vivo ed è ancora un valore popolare. E soprattutto ha dimostrato che la lotta paga, perché nonostante l’arrivo in città di alcuni gruppetti di neofascisti – i soliti Boccacci e Castellino in testa – il funerale e le celebrazioni del criminale sono stati impediti.
Avevamo scritto in questi giorni che Priebke non meritava alcuna pietà, neanche da morto. E non certo per un autoassolutorio accanimento nei confronti di una salma senza vita dopo che Priebke per anni se ne è andato a spasso indisturbato per Roma. Ma in nome della difesa della società dall’ideologia criminale di cui è stato esecutore e portatore cosciente e non pentito, che i suoi fans avrebbero voluto ribadire e celebrare approfittando di un gesto di complice ‘pietà’ da parte di alcune istituzioni.
Dopo una vita trascolrsa all’insegna dell’impunità – anche una volta condannato Priebke ha beneficiato di una inaccettabile dose di libertà e di solidarietà – la damnatio memoriae è l’unico strumento possibile attraverso la quale impedire che la sua tomba diventi meta di pellegrinaggio per estremisti di destra e potenziali emulatori.
Che in passato si sia stati troppo indulgenti e teneri nei confronti di altri criminali di guerra nazisti e fascisti responsabili di eccidi ed efferatezze anche più gravi di quelle di cui Priebke si è macchiato non può rappresentare un motivo di indulgenza, seppur postuma, nei suoi confronti. 
Se negli scorsi anni si è sbagliato non facendo vivere adeguatamente l’antifascismo nelle lotte quotidiane in modo intransigente non è il caso di perseverare nell’errore.
Se per molti l’antifascismo è diventato un valore ‘obsoleto’ è colpa di chi in questi anni, da sinistra, ha sdoganato i fascisti e ha messo sullo stesso piano partigiani e repubblichini. O dell’allora Ministro degli Interni Giorgio Napolitano, primo ministro degli Interni di sinistra dal dopoguerra, che si guardò bene dall’aprire l’armadio della vergogna e rivelare al paese nomi e cognomi dei gerarchi e dei collaborazionisti mai puniti da una Repubblica antifascista solo a parole.
Non è certo colpa di chi contro vento e maree ha continuato a mobilitarsi affinché le organizzazioni di estrema destra siano messe fuori legge e i loro covi chiusi.

Non è per oltraggiare le spoglie del boia centenario che ieri ci si è mobilitati. E’ contro i Priebke vivi che si è scesi in piazza. Contro una chiesa che mantiene forti elementi di ambiguità e contiguità con gli ambienti e il pensiero nazista. Contro un Prefetto che farebbe bene a chiedere scusa e a dimettersi.

La mobilitazione di ieri ad Albano sia d’esempio. Non è accettabile che ad Affile un monumento celebri le gesta di Rodolfo Graziani, e non è alle carte bollate o alle petizioni su internet che gli antifascisti devono affidarsi. 

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1 Commento


  • Giovanni Nicolosi

    la Chiesa Romana non ha alcuna responsabilità in questi fatti.. I lefebvriani sono fuori dalla Chiesa di Papa Francesco.

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