E venne l’ora del partito unico… Il comitato elettorale di Renzi ha un obiettivo ambizioso: passare dal 41 al 51%, inglobando il berlusconismo anche formalmente.
Diciamolo: quel sistema partitico lì era da decenni un guscio vuoto. Persino il “bipolarismo obbligato” da leggi elettorali sempre più ostative è in fondo inadeguato ad esprimere compiutamente il “dominio della politica”. Naturalmente usiamo il termine “dominio” in senso Internettiano, come ambito identificativo; la “politica” come attività e azione, infatti, non conta e non modifica più nulla. Tutto discende dai cieli di Bruxelles, abitati da imprese multinazionali e un personale tecnico tecnicamente apolide, “formato” e foraggiato al di fuori dei contesti locali-nazionali. Si può obiettare qualcosa, non opporsi.
Anche il bipolarismo obbligato, infatti, restituisce l’immagine “novecentesca” di ideologie contrapposte, che in ultima analisi potrebbero anche rimandare a interessi sociali diversi. No, meglio farne a meno… Anche se la differenza tra schieramenti parlamentari è ormai ridotta all’atteggiamento sul divorzio breve o sulle unioni civili, non certo sulle politiche economiche o le alleanze militari, quella “divisione” potrebbe catalizzare – in un lontano futuro, certo – opzioni sociali differenti. Divisive.
Meglio, molto meglio, un partito unico. Ma come chiamarlo? “Partito della nazione” sarebbe quello più adeguato all’ideologia dominante nella classe dirigente italica, ma ci sono due problemi seri. È fascista sputato, preso di peso dall’armamentario del Ventennio. Insomma, non può sembrare “nuovo” neanche in un paese dalla memoria inesistente come questo; e in più puzza. In secondo luogo, ma più importante, “la nazione” non esiste più, avendo ceduto sovranità di bilancio e monetaria, ma anche fiscale e industriale, all’Unione Europea. Un “partito della nazione”, inevitabilmente, sarebbe obbligato prima o poi a comportarsi come tale nei confronti del livello decisionale superiore, assomigliando tragicamente ai mostriciattoli lepenisti o alle caricature leghiste. Anche perché le figure retoriche usate ogni giorno (dall’eterno “siamo tutti nella stessa barca” a “lo facciamo perché serve al Paese”, o “ce lo chiedono gli italiani”) vanno tutte in questo senso “nazionalistico”.
“Partito tenda” (big tent) fa molto boy scout, è generico quanto basta, è “ospitale” (basta pagare il biglietto…). Ma è una definizione categoriale, come catch-all party, Può servire in una discussione sulla “forma partito”, per chiarire che sotto quell’ombrello ognuno la pensa come vuole ma obbedisce agli ordini (del Capo e/o della Troika), non certo per far appassionare masse di popolazione che devono essere svenate e ridotte al silenzio consensuale. O al silenzio e basta.
Ma il bisogno della classe dirigente è chiarissimo lo stesso: se la politica non decide nulla, tanto vale avere un solo partito “vero”; uno che prende più del 50%, monopolizza il parlamento grazie a premi di maggioranza e sbarramenti. Il resto sarà pulviscolo, sigle che nascono per morire presto, vano agitarsi sulla scena di attori con poche qualità.
Un partito così, in Italia, c’è stato spesso. In forma dittatoriale, come il fascismo; o in forma “libera”, come la Democrazia Cristiana. Si può fare un terza volta, eliminando le incrostazioni di sacrestia troppo evidenti (dopo il bunga-bunga una politica “moralista”, simil-berlingueriana, avrebbe i secondi contati) e nascondendo meglio i legami con le varie mafie locali (i segnali lanciati contro la Procura di Palermo sono già degli ultimatum). Seguirà – oh, se seguirà… – il sindacato unico, la lega delle cooperative unica, leassociazioni di volontariato unificate, ecc.
Basta sapere che il timone vero sta altrove e rispettare i trattati europei. Certo, ci sarà da fare sempre delle leggi di stabilità che dovranno usare vecchi trucchi per finanziare a pioggia le imprese (a prescindere dal loro “merito”, sia occupazionale che innovativo), o per alimentare clientele comunque meno bulimiche (è finito anche per loro l’era delle vacche grasse). Ma con dei buoni tecnici presi in prestito dagli organismi sovranazionali (Monti, Saccomanni, Padoan, Cottarelli, ecc), ci si può riuscire. In fondo lo sanno tutti, nel mondo capitalistico, che qui in Italia se vuoi governare davvero devi avere un supporto “pagato”; non conviene a nessuno, per ora, far affondare una delle prime dieci economie di quel mondo.
Sì, ma come si fa a dire che questa “nuova” conformazione politica è comunque “democratica”? Perché potete sempre dividervi e litigare sul divorzio breve e le unioni civili, che diamine… Quali altre “destra” e “sinistra” credete siano possibili?
Se poi volete rappresentare interessi sociali che “nella politica” non trovano spazio, dovrete trovare altre forme di conflitto, aggregare ben altri numeri che non quelli attuali nelle piazze. Dovrete “pesare” abbastanza, altrimenti non rompete…
È un cambio d’epoca. Reazionario, ma vero. Chi continua a ragionare come faceva cinque, dieci o trent’anni fa, è un dead man walking. Sia che sieda in parlamento, sia che voglia far di tutto per entrarci e “cambiare la politica”, sia che faccia finta di “assediarlo”…
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