Da anni si parla della Francia come il vero malato d’Europa. Si metteva in luce la crisi del suo modello sociale davanti a una crisi cui l’Unione Europea aveva risposto in modo totalmente diverso dalle abitudini specificamente francesi: austerità, taglio della spesa e divieto di investimenti pubblici. I governi transalpini – sia quello di Sarkozy che a maggior ragione quello dell’evanescente Hollande – si erano adeguati malvolentieri ma rapidamente, accontentandosi di contrattare per la Francia eccezioni non concesse ad altri paesi, come il sistematico sforamento del deficit al di sopra del 3% delle regole di Maastricht o la difesa arcigna dei “campioni industriali nazionali”.
Ma mese dopo mese si era fatta comunque strada la logica per cui bisognava aumentare la competitività riducendo salari e prestazioni del welfare. Una tragedia annunciata, per l’ultimo stato “socialista” europeo.
Diciamo “socialista” nel senso bastardo che questo termine ha assunto nel dibattito contemporaneo, ovvero un sistema economico-sociale con al centro lo Stato, i suoi investimenti, le sue regole e il suo controllo sociale (nel bene e nel male, ovviamente). Appena appena keynesiano, insomma, attento a inclusione e integrazione, alla coesione. Uno Stato capace di progettare lo sviluppo del paese, orientando il sistema bancario e quello delle imprese per raggiungere obiettivi politico-sociali decisi dalla “politica”. Termine che a sua volta è sentito in Francia molto diversamente che qui da noi, perché “i politici” d’Oltralpe sono frutto – tutti, di qualsiasi schieramento – di una formazione univoca presso l’Ena (l’istituto di alti studi in scienze dell’amministrazione), non avventurieri presi per caso da un talk show o da un telequiz. Gente con qualche competenza vera, insomma, corruttibile come chiunque altro, ma capace di dimissioni se presa con le mani nella marmellata.
Questo Stato è entrato in crisi irreversibile con il progressivo trasferimento di sovranità all’Unione Europea. La progettazione è stata rapidamente smantellata, perché sono le imprese multinazionali e il sistema finanziario a dettare le nuove regole; gli Stati debbono semplicemente predisporre i rispettivi territori a presentare le migliori condizioni di investimento. Il welfare, per quanto più robusto che da noi, ha seguito la stessa strada. L’occupazione è diventata precaria e “intermittente” (il termine è nato in Francia non a caso), il salario un sacchetto sempre meno pieno. Le periferie sono diventate anche per i francesi-francesi delle banlieue vuote di futuro e prospettive, sovraccariche di disagio, isolamento, risentimento.
Un quadro sociale devastato dove anche nei quartieri tradizionalmente operai e di sinistra – come la regione Nord-Pas-de-Calais-Picardie che ha fatto atto di sottomissione a Marine Le Pen, ieri – ha cominciato a farsi strada un senso comune pauperistico e reazionario: “se c’è di meno, che quel poco sia prima per i francesi”.
Su questa landa desolata di speranze è infine arrivata la guerra asimmetrica globale, resa illegibile e incomprensibile dall’uso pervasivo del termine “terrorismo”, la notte in cui tutte le vacche sono nere e prosperano gli incubi. Guerra a cui i cretini “di sinistra” hanno reagito esattamente come la destra, senza averne la stessa credibilità sull’identico terreno. Persino i geniali pensatori che guidano il sedicente Front de gauche si sono intruppati al canto della Marsigliese, senza più farsi né porre domande. Quelle banali e semplici: da dove viene questa guerra, perché è esplosa, chi è il nemico, in cosa dovrebbe consistere “la vittoria”, ecc.
La Republique ammaina la bandiera della libertà dopo aver già seppellito quelle dell’uguaglianza e della fraternità. Lo si era intuito con la dichiarazione dello stato di emergenza, proclamato sostanzialmente all’infinito (quando mai potrà finire se “il nemico” può reclutare all’interno della metropoli?). Il massimo della libertà concepibile è quella limitata alla birretta nel bistrot, al concerto trasgressivo, ai comportamenti sessuali e alla satira contro il nemico.
Per il resto zitti e fidatevi di chi comanda. Che non a caso ora potrà anche essere in continuità diretta con il fascismo, appena appena “ripulito” e tirato a lucido, persino materno e in abiti femminili.
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