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La nazione del partito

Per fissare le coordinate del costituendo “partito della nazione” renziano prendiamo due notizie Ansa di oggi, su argomenti che appaiono lontani solo se si resta inchiodati al palinsesto televisivo.

La prima è di carattere banalmente elettorale e riguarda le sedicenti “primarie del Pd” a Napoli:

Anche esponenti di centrodestra a presidio di seggi delle primarie Pd a Napoli. Nelle immagini riprese da Fanpage e girate a Scampia, ci sono Claudio Ferrara, assessore di centrodestra dell’VIII Municipalità, candidato alle politiche del 2013 con Berlusconi e ritiratosi dopo l’esclusione di Cosentino, e Giorgio Ariosto, candidato nel 2011 alla stessa Municipalità con Pid. Ariosto nel video dà a una persona anche l’euro per il voto ed è anche presente nel comitato della candidata Valente la sera per i festeggiamenti.

La seconda investe invece gli assetti proprietari dell’industria basata su questo territorio, in un settore delicato – “strategico”, si dovrebbe dire senza peli sulla lingua – come le telecomunicazioni:

“Siamo ben felici se si creerà un polo che potrà valorizzare la cultura latina, franco-italiana, europea, ma lasciamo che sia il mercato a fare la propria parte.
“È finito il tempo in cui si investiva a parole e non con i soldi”. Così il premier Matteo Renzi, nella conferenza stampa conclusiva del vertice italo-francese a Venezia, ha risposto ad una domanda dei cronisti sull’ipotesi un possibile matrimonio tra Orange e Telecom Italia. “L’Italia – ha aggiunto Renzi – è molto lieta di accogliere gli imprenditori che hanno voglia di investire nel futuro e nel nostro Paese. Siamo molto orgogliosi dei nostri imprenditori che vanno all’estero ad acquistare società e siamo lieti che ci siano imprenditori che considerano il nostro mercato interessante”.

La prima notizia parla delle aggregazioni clientelari – in questo caso anche camorristiche, visto che Cosentino è sotto processo per “per illecita concorrenza ed estorsione aggravata per aver agevolato il clan camorristico dei Casalesi” – che si vanno ricomponendo dentro e intorno al Pd. Getta dunque luce sulla “composizione sociale” del Partito della nazione, che mette insieme vecchi gruppi d’affari orbitanti nella galassia “ex sinistra” (il ministro del lavoro, per esempio, Giuliano Poletti, è stato per 12 anni presidente nazionale della LegaCoop) e concrezioni similari da sempre orientate a destra, eredi della più inguardabile Democrazia Cristiana, comprese le reti controllate dalle mafie locali.

Specie su Roma e Napoli, in previsione di elezioni amministrative dall’esito tragico per il Pd, è stato in modo lampante messo in moto uno schema “aggregativo” che punta a far concentrare tutte le risorse disponibili a impedire che si confermi Luigi De Magistris oppure vinca un “grillino”. Non perché questi due avversari rappresentino “il socialismo rivoluzionario”, ma per un motivo ben più terra terra: non sono subordinati dai gruppi di potere che vogliono mantenere o riprendere il controllo di queste due metropoli.

Lo schema ricalca pari pari quello vigente nella politica nazionale, dove il Pd renziano (tra i patetici mal di pancia della cosiddetta “sinistra interna”) fa maggioranza solo grazie agli uomini di Angelino Alfano, i montiani (o ex) di Scelta Civica e la pattuglia di berlusconiani guiidata da Denis Verdini. A voler essere maligni, bisogna dire che in queste due città Berlusconi e Salvini stiano facendo di tutto per far restare la destra divisa, su candidati improbabili (Bertolaso!), in modo da lasciare al Pd il ruolo di competitor degli “incontrollati”. Deciderebbero probabilmente i ballottaggi, su cui sarebbe facile far convergere i voti “di destra”. Molto più, almeno, di quanto non lo sarebbe il contrario, visto che una parte dell’elettorato Pd è stato tenuto insieme per anni solo grazie all’antiberlusconismo “senza se e senza ma”. In quel caso, oltretutto, Renzi si presenterebbe molto indebolito al referendum sulle modifiche costituzionali, in ottobre, con il rischio di far riaprire la paralizzante partita sulla successione.

Da questo punto di vista, insomma, è facile dipingere il Partito della nazione come il contenitore degli affari e soprattuto del malaffare, visto che un po’ di voti servono e vanno cercati in mezzo “al popolo” (il ceto medio – lavoratori compresi, secondo le ardite definizioni mainstream – impoverito dalla crisi e schifato da questa classe politica si è ormai attestato stabilmente sull’astensionismo o al massimo nel sostegno “laico” ai grillini).

Ma la composizione sociale non è mai sufficiente a fissare gli orizzonti programmatici. Quelli che sono pronti ad appoggiarsi al Patito della nazione, infatti, sono gruppi dalla vista cortissima, limitata ale dimensioni del proprio portafoglio.

Cosa deve fare, dunque, il Partito della nazione per essere riconosciuto come affidabile partner Nato e membro autorevole dell’Unione Europea.

Finire di vendere il patrimonio industriale costruito con la fiscalità generale – le tasse pagate da lavoratori e pensionati, in primo luogo, viste le dimensioni dell’evasione tra i “possidenti” – dare spazio alle acquisizioni a prezzi stracciati di qualunque asset appetibile, fare delle città d’arte (Roma, Venezia, Firenze, persino Napoli) delle blindatissime disneyland culturali, nelle zone centrali; affidando il controllo delle periferie agli emuli di Carminati e direttamente alle mafie.

È un disegno macabro, ma è un disegno. Vi piace?

 

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