La brutale morte di Abd Elsalam Ahmed Eldanf, operaio della logistica investito e ucciso da un camion – guidato da un “padroncino” istigato da un “manager” – ha suscitato un’ondata di indignazione in tutto il paese e nel mondo del lavoro. Sia le modalità della sua uccisione che le dichiarazioni rilasciate immediatamente dal capo della Procura di Piacenza, dott. Cappelleri, hanno incendiato i sentimenti e le reazioni di migliaia di persone.
Abd Elsalam è stato ucciso da uno di quegli “imprenditori di se stessi che non hanno tempo da perdere”, padroncini “italiani” prosperati nei servizi alle imprese (come i trasporti e la logistica), spesso stritolati a loro volta da quel sistema, ma refrattari o ostili ad ogni reciproco riconoscimento con gli altri lavoratori. Quanto accaduto configura le caratteristiche del conflitto sociale in uno dei settori strategici e per questo ancora in relativa crescita: la circolazione delle merci. Si tratta di un settore sempre al limite, stressato dai ritmi e dai tempi della distribuzione, determinati dal dominio del just in time. Il tempo diventa il parametro determinante di ogni algoritmo aziendale e termometro della “competitività” dell'azienda; ogni ostacolo o ritardo diventa inaccettabile e pertanto va rimosso.
Se questo ostacolo sono uomini in carne ed ossa, che picchettano i cancelli delle aziende della logistica per rivendicare i loro diritti, la logica aziendalista vi si rapporta esattamente come abbiamo visto nella notte tra mercoledi e giovedi alla Gls di Novate (Piacenza). Quel “vai!, vai!” con cui un dirigente aziendale ha incitato il padroncino del camion a partire comunque e nonostante il picchetto, ha portato alla morte di Abd Elsalam Ahmed Eldanf. Padre di cinque figli, professore in Egitto e operaio per necessità in Italia, Abd Elsalam ha cercato di fermare quel camion per rendere efficace il picchetto cui partecipava insieme ai suoi compagni di lavoro.
Da anni ormai in questo settore le vertenze sindacali somigliano terribilmente a quelle dei primi del Novecento. Chi ha seguito le lotte della logistica in questi anni, sa bene che lo scenario di morte di mercoledi notte è stato sfiorato molte altre volte, quando camion o crumiri hanno cercato di forzare i picchetti, molto spesso coadiuvati dalla polizia. Si tratta di un segmento importante del mercato del lavoro (quasi 400.000 addetti), fortemente deregolamentato, con l’intermediazione di manodopera spesso gestita da banditi dai metodi sbrigativi, in cui la gran parte dei lavoratori addetti ai magazzini sono immigrati. L’idea padronale, fin dall'inizio, è stata proprio quella di sfruttare la ricattabilità dei lavoratori immigrati e le “nuove leggi” prodotte negli ultimi venti anni (il “pacchetto Treu” è del 1997) per abbattere costi ed limitare i conflitti.
La realtà, esattamente come nei primi del Novecento, ha prodotto l’opposto, spinta da forze incontrollabili che muovono contemporaneamente manager del capitale, “padroncini” senza margini e lavoratori generici, intercambiabili, selezionati per la pura energia meccanica.
I lavoratori immigrati, proprio perché vedono e vivono concretamente il bisogno di emancipazione – per se stessi e i propri figli – sono estremamente motivati e determinati nella rivendicazione dei diritti, per la loro estensione e consolidamento. Quando questa determinazione incontra organizzazioni sindacali vere, non compiacenti con le aziende – e l’Usb è la principale tra queste organizzazioni – la condizione oggettiva e la spinta soggettiva trovano una sintesi importante. Che produce spesso risultati vincenti.
Questa dimensione della composizione sociale del conflitto sindacale deve essere stata ampiamente sottovalutata anche dal capo della procura di Piacenza, Salvatore Cappelleri, che ha rilasciato a caldo – a pochissime ore dall’uccisione di Abd Elsalam – delle dichiarazioni quantomeno improvvide e affrettate che hanno fatto indignare tutti. Le riportiamo in calce perché è bene che nessuno le dimentichi, soprattutto a fronte delle prove video e fotografiche che lo smentiscono clamorosamente. Il dott. Cappelleri ha detto testualmente (servilmente ripreso da agenzie come Ansa e alcuni telegiornali):
"Quando è avvenuto l'incidente non era in atto alcuna manifestazione all'ingresso della Gls. Quando il Tir è uscito dalla ditta, dopo le regolari operazioni di carico, ha effettuato una manovra di svolta a destra. Inoltre escludiamo categoricamente che qualche preposto della Gls abbia incitato l'autista a partire. Davanti ai cancelli in quel momento non vi era alcuna manifestazione di protesta o alcun blocco da parte degli operai, che erano ancora in attesa di conoscere l'esito dell'incontro tra la rappresentanza sindacale e l'azienda. Allo stato attuale delle indagini riteniamo che l'autista non si sia accorto di aver investito l'uomo che è stato visto correre da solo incontro al camion che stava facendo manovra. Per questo si è deciso di rilasciare l'autista che, tra l'altro, è anche risultato negativo ai test di accertamento per le sostanze stupefacenti e l'alcol".
Leggendo queste parole sembra quasi che Abd Elsalam si sia suicidato da solo correndo contro il camion in movimento (qualcosa di simile al “malore attivo” che un altro magistrato escogitò per scagionare il commissario Calabresi dall'uccisione di Giuseppe Pinelli). Una “convinzione” maturata sulla base del solo rapporto dei poliziotti presenti e senza ulteriori riscontri, senza alcun ulteriore esame o prudenza, e che hanno portato all’immediato rilascio del padroncino del camion. Una frettolosità superficiale che sembra emendabile in un solo modo: le dimissioni del dott. Cappelleri.
Abbiamo respirato una sensazione da tribunale nella Ankara di Erdogan, da corte egiziana (a proposito dell'uccisione di Regeni, per esempio) o italo-ottocentesca. Un oltraggio alla vita e alla dignità di Abd Elsalam e di tutti gli altri lavoratori che sono costretti a mettersi di traverso – ad un camion, ad una legge ingiusta, ad un governo ostile – per vedere riconosciuti i propri diritti e seriamente rappresentati i propri interessi.
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