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Il paese del “pattuglione”

Le scene che sfilano davanti ai nostri occhi da alcuni giorni sono un pessimo scenario, presente e futuro per il nostro paese.

Proviamo a mettere in fila il pattuglione “scelbiano” della polizia alla stazione di Milano, il rastrellamento del “ghetto” nelle campagne di Foggia,la caccia ai venditori di strada a Roma – con il drammatico esito della morte di un immigrato senegalese padre di due bambini – , la valanga di misure restrittive, le condanne e sanzioni economiche arrivate ad attivisti sociali e sindacali, il Daspo applicato a Roma addirittura ai lavoratori di una società partecipata per le proteste al Campidoglio, la “trappola” e le manganellate contro i manifestanti del 1 Maggio a Torino.

Che immagine ci restituiscono del clima politico del paese? L’eccitazione di Salvini che si fa i selfie omaggiando il pattuglione ne è solo l’aspetto più ributtante. Il pesce, come noto, puzza dalla testa e oggi la testa è quella del ministro degli Interni Minniti e dei decreti che portano il suo nome.

E’ importante cogliere l’obiettivo di queste misure repressive, apparentemente preventive e momentaneamente più leggere di quelle adottate negli anni passati, ossia delle leggi d’emergenza introdotte nel paese tra gli anni ‘70 e ‘80.

A nessuno infatti può sfuggire il nesso tra l’estensione dei provvedimenti repressivi e le conseguenze della crisi economica che stanno producendo disoccupazione di massa, sfratti, chiusure di aziende, brusche precipitazioni in condizioni di povertà per milioni di persone, aumento vertiginoso delle disuguaglianze sociali.

Tutti gli indicatori di disagio sociale sono in crescita, ma è venuta completamente meno la funzione della politica: trovare soluzioni, cercare di mantenere la coesione sociale, opporsi alla crescita delle disuguaglianze sociali. In nome della governance e della sicurezza, ma anche del rispetto dei vincoli di bilancio, dei Trattati Europei, della de/responsabilizzazione del soggetto pubblico dalla gestione del welfare, le esigenze sociali si trovano di fronte sempre più spesso solo le forze dell’ordine.

Il Decreto Minniti recentemente approvato, corrisponde pienamente a questo scenario. Il governo attuale e quelli che seguiranno, sanno benissimo che per rispettare i parametri imposti da Bruxelles dovranno aumentare le misure “lacrime e sangue” andando a colpire ancora più pesantemente lavoratori, pensionati, famiglie. Insomma è stata apertamente dichiarata una guerra contro i poveri attraverso l'istituzionalizzazione di uno "Stato penale" funzionale ad essa.

Consapevoli del lavoro sporco che dovrà fare, con il decreto Minniti il governo ha creato un sistema di deterrenza che deve scoraggiare ogni protesta sociale o comunque neutralizzare i soggetti sociali, sindacali, politici più attivi. Sanzioni per migliaia di euro o restrizioni di polizia (fogli di via, obblighi di dimora, divieti di accesso ad alcune zone o città), che effetto producono su un lavoratore Lsu, un operaio di una fabbrica in via di chiusura, la lavoratrice di un supermercato, un giovane disoccupato? Infine, ma non certo per importanza, il Decreto Minniti ha introdotto un doppio standard giuridico, uno per gli “italiani”, l’altro per gli immigrati. Viene così a crearsi una legittimità “dall’alto” che copre e incentiva ogni intervento pesante sul piano dell’ordine pubblico contro gli immigrati.

E’ evidente come il dogma della legalità stia entrando apertamente in contraddizione con ogni criterio o richiesta di giustizia sociale. Il 4 dicembre un referendum popolare ha difeso la Costituzione e il suo impianto democratico da un attacco ispirato dalla filosofia della governance autoritaria.

Ma questo stillicidio ormai quotidiano di denunce, provvedimenti restrittivi, sanzioni economiche, pattuglioni di strada, Daspo etc. sta configurando uno Stato di polizia, per il momento meno clamoroso di quello di Erdogan, ma animato dalla medesima filosofia.

E’ urgente mettere in campo una vasta reazione democratica nel paese contro questo clima politico e le leggi di polizia adottate. Si impone, e rapidamente un cambio di passo. Il paese dei “pattuglioni” è un pessimo paese.

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1 Commento


  • Manlio Padovan

    Ciò che più rende amara l'esperienza è il fatto che il ministro Minniti era del PCI e questa circostanza toglie spazio alla speranza perché essa, per sopravvivere e testimoniarsi, richiederebbe che i politici fossero conosciuti perfettamente da tutti prima di eleggerli.

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