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Il Mes della discordia

L’establishment europeista e confindustriale preme ormai esplicitamente per ottenere due risultati a breve termine: a) la ripresa della “normale produttività”, fregandosene se il virus può fare strage o meno, e b) cambiare governo, scaricando la corte dei miracoli grillina e quell’avvocato pugliese paracadutato sulla poltrona di presidente del Consiglio.

Il primo obbiettivo viene raggiunto, in Italia come altrove, dividendo rigidamente “attività permesse” (lavorare in qualsiasi condizione, con o senza protezioni individuali, indifferenti al come ogni lavoratore possa raggiungere la propria postazione mantenendo il “distanziamento”) e “attività vietate” (tutte quelle del “tempo libero”, fino alla partecipazione di massa a qualsiasi tipo di evento, dalle messe agli stadi, dai concerti alle manifestazioni).

Lo si vede anche nella strumentazione repressiva, che si ferma rispettosamente davanti ai cancelli delle fabbriche o degli uffici, mentre abbonda in droni, posti di blocco ed elicotteri per interrompere corse solitarie, grigliate condominiali, funerali.

Da questo punto di vista, il governo Conte non è un problema. E’ obbediente al potere economico come tutti i predecessori.

I suoi limiti, evidenti, sono altri. L’autorevolezza, che – al contrario dell’autorità – non la si può pretendere, se non c’è. E il rapporto con l’Unione Europea, “disturbato” (nulla di più…) da quella provocatoria pretesa di non accettare il ricorso al Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) tra gli strumenti per finanziare almeno parte degli interventi colossali di sostegno all’economia resi necessari dal prolungato lockdown.

Gli schieramenti che si sono creati nelle ultime ore su questo punto sono in parte indicativi, in parte una mistificazione.

Abbiamo visto la destra “europeista” (Prodi, il Pd, Bonino, Berlusconi, ecc) stracciarsi le vesti per un “incomprensibile rifiuto” di accettare uno strumento di finanziamento “senza condizionalità”.

E la destra sedicente “sovranista” (Lega e FdI) farne il discrimine assoluto su cui misurare la credibilità di Conte.

Mentono entrambi, come sempre.

In primo luogo, è assolutamente falso che il “compromesso” trovato all’ultimo Eurogruppo – i ministri delle finanze – abbia “riscritto” le regole del Mes eliminando le condizionalità mortifere usate per scarnificare la Grecia a partire dal 2015. La proposta lì delineata, infatti, sospende quelle condizionalità a patto che lo Stato richiedente il prestito, per una cifra massima pari al 2% del prorpio Pil, usi quei soldi esclusivamente per la spesa sanitaria necessaria a contrastare la pandemia. Esattamente la ricetta indicata nel rapporto del Fmi uscito il 14 aprile.

Come perfettamente illustrato nellintervento di Coniare Rivolta, pubblicato su questo giornale, L’inganno, in quest’ultimo caso, è tutto concentrato sulla nozione di condizionalità. Per condizionalità si possono intendere molte cose […] il credito concesso dal MES sarebbe comunque condizionato al rispetto della cornice ordinaria di disciplina fiscale fissata dal Fiscal Compact, il che basta a sottoporre il Paese al ricatto del debito”.

Il diavolo, da sempre, si nasconde in quei dettagli che gli slogan (“senza condizionalità”) nascondono accuratamente. Specie nel caso dei trattati europei, scritti per essere decriptati solo da specialisti, commercialisti, avvocati d’affari, ecc.

Qualsiasi Paese chieda un prestito del Mes, in questa fase straordinaria, non dovrebbe certamente sottoscrivere tutte quelle condizionalità che hanno messo le chiavi della spesa pubblica greca in mano alla Troika (fino all’esproprio delle case dei semplici cittadini!), ma “soltanto” quelle normali, costitutive di quel fondo. Che, altrimenti, sarebbe solo un “amico disinteressato”, cui ricorrere nel momento del bisogno, invece che un arcigno organismo diretto dal “padre dell’euro”, Klaus Regling.

Tra le condizionalità normali c’è sicuramente il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, anche se ogni centesimo del prestito andasse effettivamente messo nella sanità anti Covid-19.

Ma “Una violazione del perimetro degli obiettivi di finanza pubblica significherebbe la perdita delle precondizioni per mantenere l’accesso alle linee di credito precauzionali. L’interruzione del credito fornirebbe ai mercati finanziari un segnale inequivocabile: si può attaccare il Paese, stritolandolo nei tentacoli della speculazione fino alla capitolazione, fatta di tutta l’austerità che le istituzioni europee riterranno necessaria per poter concedere di nuovo un salvagente.

Se dunque sulla carta è vero che non esistono condizionalità aggiuntive a quelle che stiamo sperimentando da trent’anni a questa parte, è vero anche che rivolgersi al MES limiterebbe ancora di più i già risicati spazi per effettuare manovre di politica economica. 

Una volta legati al MES, infatti, saremo costretti a fare quello che non abbiamo mai fatto: rispettare le mortali regole di bilancio alla lettera. In caso contrario, il MES sospenderebbe la disponibilità della linea di credito precauzionale, con effetti facilmente prevedibili: spread alle stelle, costo del debito fuori controllo e instabilità finanziaria.

La cosiddetta “condizionalità leggera” del nuovo MES rappresenta dunque l’ultima frontiera del ricatto del debito.

Chiarito questo, speriamo, vediamo quale può essere l’obiettivo dell’agognata sostituzione di Conte e – ovviamente – l’eliminazione del Movimento Cinque Stelle dalla compagine di governo.

Quel che c’è in gioco, in una situazione eccezionale come questa, non è infatti la sempiterna competizione per occupare una poltrona istituzionale e il relativo accesso a voci di spesa clientelare (c’è anche questo, certo, ma non è l’essenziale; è solo il modo per “reclutare congiurati”). L’obiettivo è dare una “guida sicura” a un Paese sottoposto, nella crisi catastrofica che si è aperta, a sollecitazioni gigantesche.

Basti dirne una. Se l’Unione Europea – nella riunione dei capi di Stato e di governo del 23 – dovesse (com’è probabile) restare ferma ai termini del “compromesso” partorito dall’Eurogruppo, dunque incapace di reagire in modo unitario per salvaguardare l’economia continentale nel suo complesso, lasciando perciò ogni Paese costretto ad arrangiarsi come può, diventerebbero irresistibili le diverse sirene geopolitiche che vanno chiamando ad alleanze molto diverse: Usa, Cina, persino Russia sono lì alla finestra. Chi con valige di soldi in mano, chi con batterie di missili nei bunker sotterranei.

Per evitare questo scenario – che implicherebbe la dissoluzione della stessa Unione in tempi non immediati, ma già intuibili – occorre “stringere” in direzione di un esecutivo che abbia un orientamento internazionale “sicuro”, meno “libero” o comunque tentennante.

E qui possiamo anche chiudere, spiegando perché la presunta “opposizione” di Lega e FdI è pura mistificazione. “Parole”, contraddette plasticamente dai fatti.

L’indicazione di Mario Draghi come nuovo premier di lunghissima durata è venuta proprio da Salvini e dalla Lega (Giorgetti, per primo). Un premier perfetto per mantenere l’Italia a disposizione dell’establishment europeo, limitare la speculazione finanziaria sul debito pubblico, rintuzzare le profferte di “via della Seta” e mantenere lo spirito “euro-atlantico” di sempre.

Il problema è quando. Cambiare le linee di comando di un Paese nel bel mezzo di una epidemia ancora fuori controllo presenta un rischio molto alto. Tale da poter far fallire anche un progetto che appare solido.

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1 Commento


  • paolo regolini

    Semplicemente perfetto. Grazie

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