Sono diventati troppi i danni e le responsabilità accumulate in meno di cinquanta giorni dalle autorità della Regione Lombardia per non arrivare alla dovute conseguenze: la cabina di comando della regione focolaio della pandemia di Covid 19 va messa da parte e commissariata.
Il j’accuse dei medici lombardi è stato il documento definitivo, così come lo è il dossier elaborato dalla Usb sulla strage nelle RSA, le case di cura dove gli anziani sono stati lasciati morire come mosche.
Abbiamo assistito ad una vera e propria escalation di deliberazioni prese autonomamente dalla Regione Lombardia, spesso – troppo spesso – in pura competizione mediatica con il governo centrale, che hanno portato alla situazione che tutti conosciamo. E che il “cauto ottimismo” diffuso a piene mani ogni sera, prima dalla Protezione Civile e poi dai telegiornali, non può più occultare.
Non è possibile passare sotto silenzio il fatto che, in Lombardia, le scelte sono state fatte secondo un ordine inversamente proporzionale tra affari e salute: privilegiando i primi a danno della seconda.
Per salvaguardare questa logica, la Giunta regionale lombarda ha usato tutte le possibilità offertegli dalla sciagurata legge costituzionale introdotta nel 2001, che ha consegnato alle regioni ampi poteri; una jattura che gli stessi ambiti politici ((Lega e Confindustria del nord) avrebbero voluto ampliare enormemente con l’autonomia differenziata.
A quel punto, piuttosto che fermare tutto in una zona ristretta, sono state create le condizioni per ritardare ovunque il fermo delle attività produttive non essenziali e per cercare di limitarne al massimo il numero.
Gli strali dell’Assolombarda e della Confindustria contro il blocco delle attività hanno trovato nella Regione Lombardia il loro punto di forza istituzionale, anche nella trattativa con il governo, che alla fine ha colpevolmente capitolato per “rispetto” dei vertici confindustriali.
Ha ceduto sull’elenco delle attività da fermare limitandolo, di fatto, al 36% del totale delle imprese.
Si è trattata di una vergognosa capitolazione dell’esecutivo ai diktat dei “prenditori” italiani, che adesso sono già pronti a battere cassa sui fondi pubblici messi a disposizione dal governo o dalle banche, ma con la copertura pubblica sui prestiti che verranno erogati. Sono già passati da “prima gli italiani” a “prima gli imprenditori”, e senza tanti controlli (“senza burocrazia”, dicono).
Operai, lavoratrici e lavoratori in Lombardia, ma a quel punto anche altrove, hanno continuato ad andare avanti e indietro, con i propri mezzi o i trasporti pubblici, mentre l’emergenza diceva che proprio questo andava evitato.
Ma c’è un altro buco nero che ha svelato il perverso intreccio tra interessi privati, istituzioni lombarde e strutture sanitarie.
Ci riferiamo a quella delibera regionale – la numero XI/2906, dell’8 marzo – che ha “chiesto” lo spostamento di malati di coronavirus nelle Rsa per anziani, contando sul fatto che un eventuale diniego avrebbe potuto magari mettere in discussione i finanziamenti regionali a quegli istituti privati. Le Rsa in Lombardia sono un enorme fattore di business privato.
I fatti sono lì a dimostrare che invece di contenere il virus si sono create le condizioni per un boom di mortalità e contaminazioni.
Infine, è venuta a galla la modalità di azione di un’altra istituzione di quella famigerata sanità privata lombarda – l’Humanitas – principale struttura sanitaria di Bergamo, ha gli stessi proprietari dell’acciaieria Teneris di Dalmine, nella stessa provincia.
La proprietà – la famiglia Rocca – è stata tra le più intransigenti nel voler tenere aperta la produzione anche nel cuore della Pandemia (il bergamasco).
Non solo. Ha preteso un sovrapprezzo dalla Regione Lombardia, per mettere a disposizione la struttura ospedaliera e sottoponendo a stress inverosimili tutto il personale sanitario.
Infine, ma non per importanza, ci sarebbe da sottolineare l’operazione tentata con l’ospedale d’emergenza alla Fiera di Milano. Nato come esempio di efficienza dell’iniziativa privata lombarda (i grandi donatori come Berlusconi e Caprotti junior) e, con la nomina di un Bertolaso finito rapidamente fuori uso, in aperta competizione con la Protezione Civile nazionale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Insomma le autorità della Regione Lombardia hanno agito in modo apertamente irresponsabile di fronte alla pandemia, ma perfettamente “responsabile” per salvaguardare gli interessi privati dei loro clientes, siano essi industriali o prenditori della sanità privata.
E lo hanno fatto anche a detrimento della salute pubblica. Se fossimo un paese normale, costoro andrebbero immediatamente espropriati dei loro poteri istituzionali, commissariati dal governo centrale e messi in custodia in attesa di un processo.
Nel Codice Penale, c’è un reato per questo. Si tratta dell’art. 438: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”. Il secondo capoverso, che riguarda gli stati d’eccezione (come quello in corso!) che prevede invece “la pena di morte”.
Diciamo che il commissariamento della Regione Lombardia sarebbe proprio il “minimo sindacale”.
Non pretendiamo neanche che vadano in galera. Basterebbe rinchiuderli alla “Baggina”…
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