Le caselle del dopo voto delle elezioni regionali e del referendum sono ormai riempite e questo consente di avanzare alcune osservazioni che riteniamo utili sulle tendenze e gli scenari futuri.
In qualche modo, i due diversi processi elettorali sono arrivati a sintesi e ci consegnano dei dati che vanno connessi tra loro.
Se partiamo dall’esito del referendum, si conferma come il messaggio anti-casta, strumentale e sballato sin dalle premesse, sia passato socialmente ancora una volta tra la gente delle periferie ed ha trovato opposizione in quella dei centri cittadini e dei ceti più abbienti.
Il dato che dovrebbe essere però colto non è quello immediatamente visibile, ma gli effetti che produrrà nel futuro del paese.
Il parlamento ridotto in questi termini perderà ulteriormente la sua funzione (quella che dovrebbe essere centrale, ossia legislativa), per diventare una istituzione oligarchica in mano ai maggiori partiti e a ristretti gruppi di interesse.
In tal senso il M5S con il referendum ha letteralmente portato acqua con le orecchie alla “vocazione maggioritaria” incarnata dal Pd e da tempo pretesa dai “poteri forti”, nazionali ed europei.
Questo impoverimento del Parlamento si sposa con la crescita inversamente proporzionale del potere delle Regioni, uscito rafforzato da queste elezioni e dall’”investitura popolare” dei governatori quali figure decisionali e decisive della governance del paese. Sembra quasi un ritorno all’epoca dei Granducati.
Ciò significa che il progetto destrutturante dell’autonomia differenziata – già invocata da Zaia come priorità – acquisterà velocità.
Non solo. Il fatto che le Regioni saranno collettori rilevanti dei finanziamenti europei in arrivo, per un verso ne aumenterà il peso politico rispetto allo Stato centrale, per un altro acutizzerà il processo di frammentazione del Paese palesemente sostenuto dalla Germania e dagli interessi dominanti europei.
Per la stessa ragione, sul piano politico, le elezioni regionali ci consegnano indubbiamente un fattore di stabilità per il governo – o comunque per la legislatura – fino alla sua scadenza naturale, nel 2023.
Nei due principali partiti dell’esecutivo, il Pd di Zingaretti sembra godere di una buona stella e i risultati – soprattutto l’insperata Puglia – gli consentono di tenere botta e di tenere al suo posto la boria di Renzi.
Il M5S per un po’ – ma non sappiamo quanto a lungo – potrà crogiolarsi con il risultato del referendum per compensare i pessimi risultati nelle regionali.
Il nuovo Parlamento a numeri ridotti e la nuova legge elettorale metteranno in angolo tutti i “cespugli” sorti negli interstizi o ai margini del PD: da Italia Viva a Calenda, da +Europa a Sinistra Italiana.
Si torna ad un maggioritario di fatto che via via estinguerà l’anomalia M5S. Com’è noto… ce lo chiede l’Europa!!
Ad aver subito le botte più pesanti è stato invece Salvini e il suo progetto “destabilizzante” di Lega nazionale.
Il plebiscito su Zaia e la sconfitta in Toscana e Puglia (si può consolare relativamente con le Marche, che però sono in mano alla competitor Meloni), dicono che il tempo della redde rationem dentro la Lega è arrivato. Se ci sono da gestire i fondi del Recovery Fund servirà la Lega di governo e dei governatori, non quella rissosa e provocatoria di Salvini.
Infine c’è da fare un bilancio della esperienza di Potere al Popolo dentro questa scadenza elettorale. Se lo guardassimo ancora con gli occhi della sinistra residuale, che ormai da anni vede nelle elezioni un possibile (ma sempre deluso) certificato di esistenza in vita, si dovrebbe dire che il risultato non c’è stato.
Se invece lo guardiamo con la logica di chi è consapevole che il tesoretto elettorale della “sinistra” è finito da tempo, ci sono indicazioni utili e positive.
I dati ci dicono che le estenuanti lamentazioni sul fatto che “insieme sarebbe stato meglio” sono sballate persino sul piano numerico. Anche “insieme”, i residui della sinistra, com’è avvenuto in Toscana, non sarebbero andati da nessuna parte e avrebbero mancato il “risultato”.
Potere al Popolo, anche a costo della rottura con il Prc nel 2018, sta via via costruendo un percorso e un approccio molto diverso. Le elezioni sono utili solo se servono a costruire e consolidare uno strumento politico che prima non c’era. A far vedere e rendere riconoscibile un’alternativa all’esistente, senza compromessi al ribasso.
Pensare di agguantare il risultato ai primi tentativi sarebbe e rimane velleitario, è come sfidare la Legge di Murphy.
Intanto, però, si è superata la soglia psicologica dello “zero virgola”, e questo non guasta affatto. In tutte le realtà in cui Potere al Popolo ha presentato autonomamente liste o candidati sta sopra ben sopra l’1% (e a Napoli città, Giugliano, Cava de’ Tirreni, ben sopra il 2%, ad Aosta si sale quasi al 3%).
Ciò significa che Potere al Popolo sta cominciando a conquistarsi il suo spazio politico e la sua credibilità, “anche” utilizzando le elezioni.
Inutile dire che il percorso avviato da Potere al Popolo è decisamente in controtendenza rispetto a quello che avviene sia sul piano politico che sul piano sociale.
La “politica” si rivela molto truccata e corrotta nei suoi meccanismi di riproduzione e ricambio.
I conflitti sociali stentano e si palesano solo lì dove resistere è questione di sopravvivenza. Il clima di insicurezza e securitario, imposto a ridosso della pandemia di Covid, avvolge come una cappa le capacità di reazione sia a livello collettivo che individuale.
L’esperienza ci insegna poi che l’attivismo sociale, di per sé, non si trasforma automaticamente in consenso politico. Il processo di costruzione della rappresentanza politica di interessi sociali definiti è molto più complesso ed agisce sia dall’alto che dal basso. Richiede la definizione di un’idea della direzione in cui si vuol portare il Paese.
Adesso, ed è già nell’agenda della discussione interna di Potere al Popolo definita nei mesi precedenti, si tratta di sedimentare e consolidare lo strumento costruito. Un primo passo è stato fatto, e nella direzione giusta.
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alberto
Buonasera,
tutto molto condivisibile ma su pap sembra di sentire i politicanti di sempre. Cioè, anche se prendiamo l’1% abbiamo vinto lo stesso. Progetto fallimentare da abbandonare subito. Non si capisce perchè la rdc debba perdere tempo ed energie.
ciao