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La maionese può impazzire

In questi giorni verranno a sintesi alcuni snodi che determineranno, in una direzione o in un’altra, gli scenari politici dei prossimi mesi o dei prossimi anni.

C’è il referendum più pazzo del mondo sul taglio dei parlamentari e ci sono le elezioni in sette regioni.

Il primo è nato già sbagliato, le seconde vengono presentate, come al solito, come l’ultima spiaggia.

Il referendum si è riempito di incognite e trasformismo, che ne confermano il male originario.

I referendum in materia costituzionale sono una cosa seria, ma è dal 2001 (quello sul federalismo) che la politica – in modo del tutto trasversale – ci gioca sopra con un avventurismo e una visione corta che spiega bene il degrado politico e sociale che abbiamo davanti agli occhi.

Usare i referendum in materia costituzionale come strumento per la tenuta o la fine di un governo è indecente da ogni punto di vista. Come diceva Calamandrei “i banchi del governo devono essere vuoti quando si parla di Costituzione”.

Vale a dire che in ogni discussione costituzionale si deve valutare il testo e non il contesto. Perché si decide su regole che dovranno valere per tutti, per decenni; dunque anche per singoli e frazioni politiche che non ci saranno più o che non sono ancora nati.

In questo c’è il senso dell’importanza delle leggi generali di un intero e della società racchiuse in una carta costituzionale. Al contrario, utilizzarne le modifiche in base alle necessità elettorali del momento è meschino , ma soprattutto avventurista. Un avventurismo che abbiamo accomunare centro-sinistra, centro-destra ed ora M5S.

E’ evidente come tale approccio, del tutto strumentale, non possa che produrre trasformismo e cambiamenti repentini di posizione che meriterebbero il pubblico disprezzo.

Praticamente tutti i partiti in Parlamento hanno votato “Sì” alla legge che riduce i parlamentari per puro calcolo elettorale di breve termine. Ma adesso assistiamo a repentini voltafaccia che indicano il “No” alla conferma della legge in sede referendaria.Il problema non ci tange, perchè. come abbiamo spiegato e motivato da tempo, noi siamo convintamente schierati per il NO.

Le motivazioni sono le più indecenti, soprattutto perché – arbitrariamente – l’esito del referendum sul taglio dei parlamentari viene legato a quello delle elezioni regionali, ossia due cose completamente diverse tra loro, per importanza e per competenze.

Se vince il Sì e il Pd non perde in Toscana la legislatura rimane com’è fino al 2023. Ma anche perdendola, non cambierebbe poi molto, se non sul piano degli strepiti propagandistici finto-contrapposti.

Se vince il No e il Pd perde anche la Toscana, invece, non essendoci più la norma costituzionale che riduce i parlamentari, le Camere potrebbero invece essere sciolte per andare ad elezioni anticipate.

A quel punto la “maionese è impazzita”.

Come vediamo si tratta di scenari di veduta corta, congiunturali in ogni caso, che nulla hanno a che vedere con l’importanza della materia costituzionale, né con la definizione di una prospettiva per il paese dentro la crisi e la perdurante emergenza Covid.

E’ evidente come nella posta in gioco dei prossimi mesi ci siano anche le decine di miliardi di finanziamenti europei da gestire e da spartire. Certo si dovrà e potrà spendere come dice l’Unione Europea, ma chi avrà le mani sul malloppo, seppur parzialmente legate, avrà a disposizione una leva di potere e di consenso rilevante.

Infine, ma questo riguarda soprattutto il nostro mondo, si pone seriamente il problema di rendere visibile e credibile una alternativa a questo perverso intreccio di visione corta e fallimento delle classi dirigenti, aumento delle disuguaglianze e delle insicurezze sociali nel paese, evidenza degli effetti devastanti dei modelli competitivi, individuali o generali che siano.

Sta in questo la responsabilità che dovrà assumersi Potere al Popolo, soprattutto se – a differenza delle disastrose esperienze della sinistra – riuscirà a crescere senza perdere l’anima.

Potere al Popolo ha accettato questa sfida solo nelle realtà locali dove dispone di un minimo di insediamento sociale e credibilità, rifiutando così la logica elettoralista che vede la partecipazione alle elezioni come un certificato di esistenza in vita.

E’ innegabile che questa sfida avviene tutta in controtendenza. Sia sul piano dei conflitti sociali, che stentano a farsi sentire e, lì dove pure agiscono, a farlo in modo coordinato. Sia sul piano politico, dove una oggi necessaria prospettiva collettiva di cambiamento e transizione sociale, ambientale, civile si scontra con l’egemonia del pensiero “corto” e dell’individualismo.

E’ sempre bene ricordare però che l’unica battaglia persa in partenza è quella che si è deciso di non combattere, e che quando si ha la ragione, ma non la forza, occorra lavorare proprio a costruirla.

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2 Commenti


  • Manlio Padovan

    Spero che si vorrà rispondere a questa mia domanda:

    perché qualsiasi referendum anche su stupidaggini richiede il quorum, mentre un referendum costituzionale che è tanto importante, come si evince dall’articolo, non richiede quorum?
    Non è illogico?

    Grazie per la risposta.


    • Redazione Contropiano

      La differenza è scritta nella Costituzione originale (il punto non è mai stato modificato).
      Il presupposto è che un referendum ABROGATIVO di una qualsiasi legge ordinaria mette in discussione la volontà maggioritaria espressa in Parlamento (magari in altri periodi e con altri parlamentari), e dunque è necessario che ci sia una maggioranza reale del popolo votante e quindi anche un quorum minimo
      Al contrario, un referendum CONFERMATIVO di una riforma approvata con la maggioranza dei due terzi (qualificata, dunque; quella di Renzi era stata approvata a maggioranza seplice) non necessita di quorum in quanto si suppone – con qualche ragione – che il parlamento attuale (che ha appena approvato quella riforma) rappresenti il popolo abbastanza fedelmente.
      E dunque che un eventuale voto contrario costringa il Parlamento a rivedere la propria decisione su quel punto specifico.

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